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Dal Kantsi al Calice, storia delle origini del vino

Kantsi
Kantsi (corno)

Le cose migliori accadono sempre per caso ed anche il vino non fa eccezioni. Infatti, verso la fine del neolitico, fu una fermentazione casuale di uva di viti spontanee, conservate in rudimentali recipienti, a dare l’incipit al processo di vinificazione che ha cambiato per sempre la storia dell’alimentazione umana.
Recenti scavi archeologici di resti di vasellame decorati con grappoli d’uva e di semi di Vitis silvestris sul fondo di grandi vasi circolari chiamati Kvevri, interrati nei pavimenti delle abitazioni ed usati, ancor oggi, per la fermentazione e conservazione del vino, hanno portato alla luce una cantina di circa 8000 anni, individuando nell’antica regione del Caucaso, oggi, grosso modo, tra Georgia, Armenia e Turchia, la zona vitivinicola più antica del mondo.

Una cantina di 8.000 anni fa
Una cantina di 8.000 anni fa

La Storia del Vino è legata a doppio filo all’etimo della sua definizione, che ne pone storicamente l’origine nella parola “gwino”, termine della lingua “kartvelica” dell’antico popolo della Colchide, sulla costa orientale del Mar Nero, territorio racchiuso, secondo antiche fonti greche, tra l’odierna Sukhumi in Abkhazia e l’odierna Turchia, identificabile, oggi, in gran parte dell’odierna Georgia occidentale.

Antiche anfore vinarie al Museo del Vino di Torgiano (MUVIT), foto di Carmen Guerriero
Antiche anfore vinarie al Museo del Vino di Torgiano (MUVIT), foto di Carmen Guerriero

Territorio fertile e straordinario, anche dal punto di vista pedoclimatico, la mitica terra del Vello d’Oro, declinava dal clima subtropicale delle sponde del Mar Nero a quello aspro delle ampie vallate fino alla fertile pianura di Alazani, ricca di frutteti e di vigneti, attraverso la catena del Caucaso. Qui, per secoli, gli abitanti usavano stendere pelli di pecora nell’alveo dei torrenti, affinché tra i riccioli del vello restassero imprigionate pagliuzze d’oro che l’acqua, scorrendo, portava con sé. Tale usanza è, probabilmente, alla base del fantastico racconto di Apollonio Rodio che, nelle “Argonautiche”, proprio da questa terra, la Colchide, fa partire il lungo viaggio di Giasòne e degli Argonauti alla ricerca del Vello d’Oro, narrando di “una fontana di vino nel palazzo di Aieti dove (gli Argonauti) dormirono all’ombra di una vite”. Anche Omero, nella sua Odissea, decanta “i vini profumati e frizzanti della Colchide”.

Gruppo di Amorgos, brocche, cultura cicladica di Keros, Syros, seconda metà del III millennio a.C., foto di Carmen Guerriero
Gruppo di Amorgos, brocche, cultura cicladica di Keros, Syros, seconda metà del III millennio a.C., foto di Carmen Guerriero

Qui, nei siti di Gadachrili Gora e Shulaveris Gora, distanti un paio di chilometri l’uno dall’altro, a circa 50 km a sud della moderna capitale Tbilisi, su un altopiano di circa 1000 metri circondato da verdi colline fertili, è stata rinvenuta una cantina di circa 8000 anni, contenente un torchio, resti di vasellame decorati esternamente con grappoli d’uva e grandi vasi circolari, per la fermentazione e conservazione del vino, chiamati Kvevri, interrati nei pavimenti delle abitazioni.

Portatori di pithoi, Palazzo Knosso a Creta
Portatori di pithoi, Palazzo Knosso a Creta

Patrimonio Unesco nel 2013, il metodo di vinificazione odierno dei georgiani è ancora lo stesso, con i Kvevri interrati fino a 6 mesi, così da ottenere un vino denso, scuro, tannico, con un tasso alcolico di 13 o 14 gradi, dal corpo notevole ed una complessità aromatica singolare, anche per i bianchi, cosiddetti “dorati”.
Il vino nella cultura georgiana aveva un fondamentale ruolo sociale, che prevedeva, in ogni banchetto, un Tamada, თამადა, letteralmente “maestro di tavola”, cui spettava il compito di chiamare i brindisi al ritmo di augurali “Gaumarjos!”(salute!) e berne, come tradizione, in un particolare calice a forma di corno, il “kantsi”.
In Turchia, il ruolo del vino nelle civiltà anatoliche degli Hittiti e degli Hatti ricoprì non solo un ruolo sociale, ma anche e soprattutto rituale e religioso ed una delle prime uve anatoliche, il Misket, si diffuse in Europa con il nome di Moscato. Successivamente, con i Frigi il vino assunse un ruolo fondamentale nella vita quotidiana, insieme al consumo dell’olio d’oliva, del pesce e del pane, secondo un preciso stile di vita mutuato, poi, dai coloni greci della costa occidentale della penisola anatolica e diffuso in tutta l’area del Mediterraneo, dando origine all’odierna Dieta Mediterranea.
In Egitto, il termine Wns/Wnst, (da cui si è originata l’odierna parola “vino”), era usato per un particolare vino su base resinata riservata ai sacerdoti, agli alti funzionari e ai re che, poi, venne mutuato dalla vicina Grecia, nella versione del suo vino più popolare, la Retzina.

Processione dei Dorofori, Palazzo Knosso, Creta
Processione dei Dorofori, Palazzo Knosso, Creta

E, però, soprattutto all’isola di Creta, che, già al tempo della civiltà minoica, si deve il merito di aver introdotto la vitivinicoltura in Europa, come testimoniano anche i bellissimi affreschi della processione dei dorofori nel Palazzo di Knosso. Gli intensi e floridi commerci nel Mediterraneo estesero la viticoltura nel sud Italia, area dalle condizione pedoclimatiche ideali, tant’è che l’ampia area che comprendeva il Cilento, la Basilicata e la Calabria era chiamata Enotria, termine greco per “terra piena di vino”.
Gli Etruschi affinarono notevolmente le tecniche di viticoltura che, poi, i Romani perfezionarono ulteriormente, accrescendo anche la conoscenza di un notevole patrimonio varietale di vitigni sia da tavola che da vino.
Nel IV secolo d.C. la crisi dell’Impero Romano creò, soprattutto nelle campagne, condizioni di instabilità che portarono ad un progressivo declino della viticoltura.
Fu grazie agli Ordini Monastici, anche femminili (pensiamo alle suore Rocchettine di Spoleto), nonché all’elite nobiliare, francese in primis, che, tra il V e il X secolo, il patrimonio vitivinicolo ebbe nuovo impulso e valorizzazione. Il vino, oltre ad essere consentito nell’alimentazione delle comunità religiose, presso cui veniva offerto anche ai pellegrini, era un prodotto fondamentale per la Chiesa, che, fedele all’ esempio di Cristo, ha sempre usato “panem et vinum” per celebrare la cena del Signore. Chi non ricorda il famoso miracolo di Gesù di trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana? Finanche nell’ultima cena, il racconto di Giuda che intinse il suo pane nel calice colmo di vino di Gesù esprime, con forza, il valore fondamentale di aggregazione sociale che il vino continua ad avere nella società, dalla sua comparsa “casuale” fino ai giorni nostri.

Carmen Guerriero

Carmen Guerriero

Laureata in giurisprudenza, giurista di formazione, è giornalista dal 1995, settore turismo enogastronomico, responsabile agroalimentare PMI - piccole e medie Imprese - International, fa parte dell'Associazione Nazionale Donne del Vino - Campania; Sommelier AIS, degustatrice ONAV, Accademia Nazionale della Cucina - Napoli, partecipa, anche come chair, a convegni (Vkusnissimo 2018), rassegne e manifestazioni (Judge of exellence Bellavita 2017/2018) dedicate al settore.

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