Da Lozzo Atestino a Wembley, andata e ritorno: Nevio Scala e la sua nuova sfida fra le vigne
Certi amori regalano un’emozione per sempre canta Eros Ramazzotti in una delle sue canzoni più celebri, e questa potrebbe essere la colonna sonora perfetta per raccontare l’emozionante storia di un personaggio sportivo, ma soprattutto di un uomo dalle nobili virtù, legato in maniera indissolubile alle sue radici contadine e alla sua terra che, partito da giovane dal suo paese natio Lozzo Atestino nei Colli Euganei, ha vissuto una fantastica carriera professionale nel mondo del calcio, prima come giocatore e poi come allenatore, trovando a Parma una seconda terra adottiva dove ha raccolto grandi successi ma soprattutto dove ha instaurato legami profondi e sinceri.
Oggi vi voglio parlare di Nevio Scala, uomo di sport e di campagna che, partito per Milano ancora ragazzo, è riuscito a calcare i più prestigiosi palcoscenici del calcio mondiale, arrivando a vincere, fra le altre cose, una Coppe delle Coppe con il suo Parma nel mitico stadio di Wembley e che alla fine del suo percorso professionale ha fatto ritorno nella sua amata Lozzo Atestino per ricominciare a fare quello che aveva sempre sognato: il contadino e il viticoltore.
Per raccontare le origini dell’azienda bisogna iniziare da un episodio non piacevole.
Siamo nel 1929 e nonno Angelo, di famiglia benestante, per aiutare un amico in difficoltà accetta di fargli da garante, ma per un avallo bancario perde tutto ed è costretto a scappare, portando con se poche cose, trovando nuova dimora a Lozzo Atestino dove il 22 novembre del 1947 nasce Nevio Scala.
Gli Scala diventano i mezzadri delle tenute dei conti Albrizzi di Este e il piccolo Nevio dimostra sin da piccino il grande amore per la terra e per la campagna, non disdegnando allegre scorribande con il trattore del padre.
Ma il lavoro nei campi non era ancora nel suo destino perché doti importanti da calciatore lo portano a 15 anni a trasferirsi a Milano, sponda Milan, ed è l’inizio di una incredibile cavalcata fatta di successi ed enormi soddisfazioni che durerà per più di quarant’anni.
Milan, Inter Roma, Fiorentina sono le principali tappe da calciatore. Importanti sono le esperienze in Italia e all’estero come allenatore con la chicca di una coppa intercontinentale vinta alla guida del Borussia Dortmund.
Ma la vita calcistica ed affettiva di Nevio Scala vede i suoi momenti più intensi ed emozionanti durante i sette anni passati a Parma. La conquista di una Coppa Italia e di una Coppa UEFA entrambe contro la Juventus, una Coppa delle Coppe nello stadio di Wembley contro l’Anversa e una Supercoppa Europea contro il Milan sono i suoi successi memorabili da allenatore dei ducali.
Ma non sono solo le vittorie a far felice Nevio perché a Parma si sente bene come nella sua campagna, il rapporto con la gente è bellissimo, tutte emozioni che si porterà per sempre nel cuore.
Però il suo desiderio è stato sempre quello di lavorare la terra, e già prima di diventare allenatore, con i proventi del calcio riesce, nel 1976, ad acquistare ed ampliare l’azienda dove lavoravano i suoi genitori e realizzare così il suo sogno.
Inizialmente l’attività si concentra soprattutto sui seminativi, mais, frumento, barbabietole, pomodori, orzo, farro per poi arrivare anche al tabacco e alla canapa, tutte coltivazioni che vengono portate avanti ancora oggi nei circa 110 ettari di proprietà.
Gli ideali e i valori radicati in Nevio lo portano da subito a pensare il lavoro in campagna non solo come mezzo produttivo fine a se stesso, ma viatico per garantire anche la salvaguardia del territorio e il recupero di zone troppo sfruttate da un’agricoltura industriale portata avanti senza troppa lungimiranza.
Per questa ragione avvia un’opera certosina di rimboschimento e pianifica un metodo di lavoro che non sfrutti eccessivamente le risorse naturali e che sia ecosostenibile. Da qui l’inizio di un percorso che porterà verso la conversione dell’azienda secondo i dettami del biologico.
L’agricoltura fa parte della tradizione della famiglia da sempre, la produzione del vino biologico di qualità è invece cosa recente.
La mente filosofica del progetto è il figlio Claudio, ricercatore universitario che assieme al fratello Sacha, architetto, convince il papà a fare il grande passo investendo nella viticoltura.
Ecco allora che iniziano i primi impianti di barbatelle che trovano dimora su terreni vulcanico-alluvionali prestando particolare attenzione al mantenimento della biodiversità fra i filari con la semina di diverse specie vegetali, mentre a bordo vigneto siepi composte da essenze autoctone offrono rifugio e nutrimento alle numerose famiglie di organismi utili che in questo ambiente trovano il loro habitat ideale.
Ogni composto di sintesi o pesticida è messo al bando e si usano solo quantità minime di zolfo e rame.
Se si parla di patrimonio varietale, la parte del leone la fa la Garganega con 3,4 ettari che sono stati i primi ad essere impiantati. Poi a seguire nei due anni successivi altre parcelle hanno ospitato 1,1 ettari di Merlot, 0,5 ettari di Cabernet Franc, 1,1 ettari di Malvasia Istriana e quest’anno un po’ di Moscato Giallo e Bianco.
L’obiettivo è quello di portare in cantina uve sane e di primissima qualità e in vinificazione limitare gli interventi, a parte qualche travaso, avvalendosi esclusivamente del patrimonio naturale di lieviti indigeni.
Al momento la vinificazione è ospitata a Gambellara nella cantina del produttore Stefano Menti, ma entro il 2020 si conta di portare a termine la ristrutturazione di una vecchia stalla all’interno della proprietà, adibita un tempo all’allevamento dei bachi da seta, che a lavori ultimati doterà l’azienda di una cantina con sala degustazione e di un laboratorio di analisi, come progettato dal figlio Sacha che è alla guida del progetto.
La prima vendemmia della Garganega è stata effettuata nell’agosto 2016 e ha portato alla vinificazione di tre differenti partite d’uva, a progressivo stato di maturazione, che sono state la materia prima di qualità per produrre i tre vini ad oggi in commercio, con numeri comunque ancora molto bassi di circa 12000 bottiglie annue.
Il Gargante è un vino frizzante. La fermentazione avviene spontaneamente in vasca di acciaio e dopo un periodo di affinamento di circa 5 mesi sui lieviti in vasca di cemento, al momento dell’imbottigliamento viene aggiunto mosto di uva garganega passita che permette una nuova fermentazione in bottiglia. L´imbottigliamento viene effettuato senza aggiunta di solfiti e ci regala un vino piacevole ed immediato che ci rallegra con le sue frizzanti bollicine.
Il Diletto è un vino fermo. La fermentazione avviene spontaneamente in vasca di acciaio e dopo un periodo di affinamento di circa 8 mesi in vasca di cemento, il vino viene imbottigliato con l´aggiunta di una minima quantità di solforosa regalando un vino di grande bevibilità.
Il terzo vino è il Còntame ed è un macerato che è stato appena imbottigliato e che sarà messo prossimamente in commercio. E’ un vino che ama la compagnia e a cui piace raccontarsi mentre lo si versa nel bicchiere. Le macerazione dura circa 13 giorni e dopo un affinamento di 10 mesi in vasca di cemento ci regala un nettare dal colore ramato/ambrato, di buon corpo, che conquista per i suoi profumi e gusto intenso.
Siamo appena agli inizi ma già si intravede nei vini prodotti, il lavoro e le idee che animano Nevio e la sua famiglia. La sua storia da viticoltore è solo agli inizi ma conoscendo l’impegno, la serietà e la determinazione con cui affronta le sue sfide, siamo sicuri che i risultati non potranno che essere gratificanti.
La cosa che più mi è piaciuta in Nevio è l’estrema serenità e gioia che traspare dal suo modo di essere e di porsi al prossimo, fiero ed appagato da una vita professionale emozionante che però non ha cambiato il suo modo di pensare e di agire.
Gli insegnamenti dei genitori gli hanno permesso sicuramente di costruirsi le grandi fondamenta che lo hanno mantenuto sempre con i piedi per terra mentre molti, quando diventano personaggi di successo, rischiano di essere deviati verso direzioni poco nobili dove contano solo fama e denaro e i veri valori sono messi in secondo piano.
Nevio ha ottenuto grandi successi sportivi ma penso che una delle cose che più lo rendono orgoglioso è l’esser riuscito a trasmettere anche ai figli gli stessi valori e la stessa determinazione.
Per un padre questo risultato penso possa esser una delle cose più belle ed appaganti e, restando in tema calcistico, rappresentano sicuramente la Coppa del Mondo della felicità.
Dialogando con il vignaiolo
Intervista a Nevio Scala con il contributo di Claudio Scala
Nevio la tua storia mi ricorda un po’ quella del “ragazzo della via Gluck” di Celentano.
A 15 anni lasci amici e la tua amata campagna per andare in città: destinazione Milano, sponda Milan. Immagino non sia stato semplice lasciare la famiglia e un ambiente rurale per immergersi in un contesto affascinante, ma pieno di insidie, come quello del mondo del pallone.
Ma la storia ci racconta di un ragazzo di belle speranze che nel tempo ha raccolto tantissime soddisfazioni e successi, prima come giocatore e poi come allenatore.
Però proprio come il ragazzo della via Gluck, non ti dimentichi della tua prima casa e decidi di tornare nell’azienda agricola che tuo padre aveva in affitto quando eri piccolo e dopo averla rilevata e pianificato un piano di ampliamento ne continui oggi la gestione con i figli.
Cosa ti ha spinto a questo ritorno al passato e a differenza del ragazzo della via Gluck, che non ha ritrovato gli amici che aveva e nemmeno il verde e la natura che aveva lasciato, che situazione ti si è ripresentata oggi nella tua terra natia?
Sicuramente lasciare il mio piccolo paese e andare a vivere in una grande città non è stato facile. Mia mamma era disperata perché non avrebbe voluto mai che suo figlio abbandonasse la sua vita normale e che, valigia di cartone alla mano, si trasferisse a Milano.
Adesso invece i genitori sono i primi che desiderano e sperano che il loro figlio possa avere l’opportunità di diventare un calciatore professionista, fanno i salti mortali per facilitare questo, gli accompagnerebbero loro stessi in taxi davanti alla sede di Milanello, molte volte per soddisfare soprattutto un proprio ego personale.
Comunque i miei genitori non mi hanno mai ostacolato e anche se non pensavano che potessi diventare un grande giocatore hanno condiviso questa mia scelta e penso anche con soddisfazione. Alla fine è stata comunque una decisione fortunata visto cosa è successo nel proseguo della mia vita.
Per quanto riguarda il ritorno in azienda, alla fine posso dire di non essermi mai realmente allontanato mantenendo sempre intatto il cordone ombelicale con le mie origini.
A 8 anni guidavo già il trattore ed ero a tutti gli effetti un piccolo agricoltore e quando ho iniziato la carriera professionistica nel calcio, approfittavo di ogni momento libero per ritornare a casa e dedicarmi a qualche lavoretto in campagna, alla guida del mio trattore che era fonte di profondo relax. Quindi è stata una scelta del tutto naturale e scontata quella di ritornare nella mia terra natia.
L’ambiente che però ho ritrovato non era sicuramente quello che avevo lasciato. Il bosco era in parte sparito per lasciare spazio a culture intensive, il paesaggio aveva subito una trasformazione che non mi piaceva, era diventato tutto una sorta di deserto, un contesto povero in termini di biodiversità e questo mi ha dato la spinta per impegnarmi in prima persona, assieme ai miei figli, a contribuire alla rigenerazione ambientale dei luoghi in cui sono nato e che sono da sempre nel mio cuore.
Ho letto delle tue belle parole dove dici che: «La terra dà delle soddisfazioni che chi non conosce non può apprezzare, non si diventa ricchi con il lavoro nei campi, è un mestiere faticoso che dipende dal cielo, dal sole, dall’acqua; è una sfida che si accetta per amore e per passione».
Sembra il messaggio esattamente opposto di quello che è diventato oggi in Italia il mondo del calcio.
Fatica, amore, passione, studio, competenza, possono essere le ricette giuste per rinverdire i fasti del nostro calcio (e aggiungo della nostra società in generale), ma sono ricette che sono ancora applicabili in questo momento storico dove l’apparire, i soldi facili senza troppa fatica e la mancanza di valori sembrano aver preso il sopravvento?
Se devo risponderti in maniera secca ti dico di sì, che è possibile.
La storia l’ha fatta l’uomo e continuerà a farla anche nel futuro, quindi chi è al comando di una società, chi ha un ruolo di responsabilità, se è convito che si possa cambiare e mette in atto politiche che vadano vero la direzione giusta, allora sarà possibile risollevarsi da un trend, che negli ultimi tempi ha conosciuto troppi scandali.
Se cominciano a farlo i vertici delle società più importanti, allora a cascata, inevitabilmente, tutti gli altri seguiranno questo esempio e il mondo del calcio potrà così essere migliorato.
Certamente è più difficile in questo momento storico, rispetto ad anni fa, perché adesso ci sono interessi economici stratosferici che impediscono, a volte, certe decisioni, ed è anche condivisibile che si deva accettare qualche compromesso, però io credo, e ne sono convinto, che se c’è la volontà si può arrivare ad essere seri, sinceri, e ritornare così a piacere alla gente, una delle cose, che a causa degli eccessi e dei troppi scandali, abbiamo un po’ perso nel mondo del pallone. Niente è impossibile se si vuole veramente una cosa.
Milan, Inter Roma, Fiorentina da calciatore. Importanti esperienze in Italia e all’estero come allenatore con la chicca di una coppa intercontinentale con il Borussia Dortmund.
Ma la vita calcistica e affettiva di Nevio Scala è legata indissolubilmente al Parma, società con la quale da allenatore hai vinto numerosi trofei in Italia ed Europa.
I fasti del Parma vedono il suo punto più basso con il fallimento del 2015, la ripartenza dalla serie D e l’approdo in soli tre anni alla massima serie in questo ultimo campionato.
Volendo trovare delle similitudini con il mondo della viticoltura, sembra di ripercorrere (fatte le dovute proporzioni) il percorso del vino italiano, che nel 1986 ebbe il suo fallimento con lo scandalo del metanolo che, oltre a parecchi morti, portò anche a una crisi che sembrava irreversibile per l’immagine del comparto enologico italiano.
Ma da quel punto più basso si ebbe la forza di ripartire con la consapevolezza che solo la massima trasparenza e l’elevata qualità del prodotto, senza trucchi e senza inganni, poteva portare a una nuova primavera.
Casi agli antipodi come quello del tuo Parma e del mondo del vino sono forse l’esempio che molte volte per ripartire in modo sano ed equilibrato sia necessario un evento traumatico e doloroso che porti alla consapevolezza che la strada che si sta seguendo è quella sbagliata e sia necessaria una svolta radicale?
Molte volte è così ma non credo sia sempre necessaria una catastrofe per cercare di risolvere un problema dovendo così ripartire da zero.
Se prendo come esempio la nostra realtà aziendale, noi non siamo dovuti partite da un fallimento per arrivare a produrre i nostri vini con una filosofia produttiva più vicina al nostro modo di pensare.
Io e i miei figli non eravamo nella condizione di dover dire di aver sbagliato tutto e di dover ripartire da zero con un altro obiettivo. Noi avevamo una azienda agricola già ben avviata dentro la quale abbiamo costruito una nicchia produttiva, con il vino, ma anche con le produzioni agricole biologiche, che spero possa diventare la nostra forza futura. Abbiamo inserito in una azienda che già funzionava, un qualche cosa in cui credevamo fortemente ma di completamente diverso rispetto alla agricoltura tradizionale e convenzionale.
Ci sono persone che hanno bisogno di vivere di persona certi fallimenti per ripartire mentre altre traggono insegnamento non solo dalla propria storia personale ma anche da quella degli altri, per evitare di ripetere gli stessi errori, e noi ci ritroviamo sicuramente nella seconda situazione.
Il fallimento dello scandalo del metanolo, quello del Parma, sono esempi eclatanti, ma non per forza tutti dobbiamo mettere le dita nel fuoco del fornello per capire che brucia, e posso dire che gli insegnamenti e i valori della mia natura contadina mi hanno aiutato molto in questo senso.
Sembra che la strada dell’uomo sia sempre più orientata verso il naturale. Stanno aumentando in maniera considerevole le aziende che hanno abbracciato il mondo del biologico. La clientela è sempre più attenta a tutte quelle tematiche che riguardano il bere e mangiare sano.
Ma sappiamo benissimo che accanto a chi sceglie questa strada per cultura e consapevolezza, c’è sempre chi cavalca l’onda del momento, annusando il profumo del business e del facile guadagno.
E questo può essere pericoloso soprattutto in un mondo, quello dei vini naturali, ricco di tanti bravi produttori, ma frammentato come la vecchia sinistra, in mille correnti ed associazioni.
A tal riguardo qual è il tuo pensiero e che direzione ha deciso di intraprendere la vostra azienda?
Per quando riguarda la nostra azienda non esistono alternative, sia come produttori sia come consumatori, perché una volta che hai abbracciato un certo modo di fare vino non riesci a tornare indietro. Ognuno è libero di seguire la propria strada ma deve esserci spazio e tutela per chi decide di fare vino naturale in modo serio.
Oramai le produzioni biologiche sono terreno fertile anche per le grandi aziende, che accanto alle linee convenzionali inseriscono nel loro portafoglio di offerta anche i prodotti biologici. L’importante è che venga fatto in modo serio e non sia solo uno specchietto per attirar un maggior numero di consumatori, giocando in maniera subdola sui prezzi, mantenendoli bassi, rispetto al valore reale, da recuperare poi con le vendite delle linee convenzionali, che offrono numeri e quindi ricavi maggiori.
Per le piccole realtà l’unica strada percorribile è quella di spiegare al meglio il proprio lavoro, cercar di far venire in azienda il maggior numero di appassionati possibile perché possano vedere con i propri occhi in che modo si lavora in vigna e in cantina e che vini si producono. Questa è l’unica arma che abbiamo, che però è uno strumento efficacissimo soprattutto oggi che c’è una maggiore attenzione della clientela verso il tema della naturalità del cibo e del vino.
Siamo ancora lontani da altri paesi, come ad esempio la Germania, dove il vino e il mangiare naturale hanno un’incidenza molto importante in termini di percentuali rispetto a noi.
Però voglio rimarcare che è fondamentale avere sì produttori consapevoli ma soprattutto anche consumatori consapevoli.
Melli, Minotti, Apolloni, il sindaco Osio, Zola sono solo alcuni dei tuoi ragazzi che hanno fatto grande il Parma. I figli Sacha, Claudio e la nuora Elisa sono invece i pilastri dell’azienda vitivinicola Nevio Scala.
Era più difficile allenare una squadra di calcio e condurla al successo per la gioia dei tifosi o è più complicato seguire oggi una vigna e portare in cantina uve di qualità capaci poi di regalare ottimi vini che trovino il consenso e il piacere del consumatore?
È una bella domanda perché sono due situazioni completamente diverse ma che entrambe hanno la necessità di un impegno costante e di una presenza continua.
Il fatto di raggiungere successi con la squadra non dipende solo da te e da come la gestisci perché accanto alla capacità e all’impegno, ci vogliono sempre un po’ di coincidenze e un po’ di fortuna.
Ma anche gestendo una vigna non è così scontato che il risultato sia straordinario perché sicuramente ci vuole conoscenza, cultura, pazienza, collaborazione, ma poi ci vuole anche il cielo perché, come nel mondo del calcio ci vuole un po’ di fortuna, nella vigna il volere della natura ha una importanza fondamentale perché c’è la pioggia, il sole, la brina, la nebbia, il freddo, il caldo, tutti fenomeni atmosferici che influiscono tantissimo sul risultato finale.
Soprattutto nel biologico, non avendo la possibilità di intervenire con sostanze chimiche che ti risolvano immediatamente un piccolo problema di iodio, peronospora, per citarne alcuni, sei molto più esposto al volere della natura.
In una mia personale contrapposizione calcio-vino potrei paragonare il Pinot Nero della Borgogna a Roberto Baggio: classe, eleganza ed emozioni allo stato puro. Mentre il vino del momento, il Prosecco, lo paragonerei a Totò Schillaci, una discreta carriera e un’epopea assoluta vissuta soprattutto nel periodo delle notti magiche nel mondiale del 1990.
La pianura tra i Berici e gli Euganei non è certo la Borgogna ma la cosa bella è che non hai ceduto alla tentazione del business facile, che oggi si chiama Prosecco. Quindi zero viti di Glera messe a dimora e largo alla Garganega, uva con minore appeal ma che se lavorata come si deve, in vigna e in cantina, può dare dei risultati sorprendenti.
Ci puoi spiegare questa tua scelta e soprattutto la Garganega può essere paragonata al tuo primo Parma, una provinciale che, con ottimi valori di base e una grande lavoro di regia, è riuscito a mettere in riga avversari sulla carta molto più quotati?
È una bella similitudine perché il fatto che noi non abbiamo seguito l’onda del successo del Prosecco, nasce da una filosofia che mio figlio Claudio ha studiato molti anni prima di mettere a dimora le prime barbatelle di Garganega.
Non abbiamo seguito la strada del guadagno facile con il Prosecco e ne siamo orgogliosi perché la Garganega ci ha regalato tante belle sorprese. È un’uva che si presta, se lavorata con intelligenza, serietà, passione, ad essere di straordinaria potenza.
Le nostre piccole produzioni ci stanno regalando enormi soddisfazioni e siamo stati fortunati ad avere dei terreni, che per composizione e caratteristiche chimiche, si sono sposati perfettamente con la Garganega e quindi proseguiremo in questa direzione senza voltarci indietro.
I paragoni che hai fatto con Baggio e Schillaci possono essere simpaticissimi ed azzeccati anche perché in effetti le due uve che hai nominato sono due tipologie completamente diverse, una concreta, seria, generosa, che nel tempo darà sempre risultati importanti se lavorata con i sistemi giusti, l’altra invece è un vitigno spumeggiante che ti dà risultati immediati ma che può anche sparire in un momento, anche se auguriamo a chi ha sposato questa causa che duri in eterno.
Fra i vostri progetti anche quello di recuperare la coltivazione di quattro vitigni scomparsi dal territorio dei Colli Euganei, ovvero la Recantina, la Corbinona, la Turchetta e la Pataresca.
Questa vostra scelta rappresenta solo un’ulteriore testimonianza del desiderio di recuperare la storia e le tradizioni di questo territorio o alla base c’è un progetto più ampio a livello commerciale?
A livello commerciale non c’è assolutamente niente ed è l’ultima cosa a cui pensiamo.
Il fatto che abbiamo recuperato questi quattro vitigni è legato all’amicizia con una persona che vive nei Colli Euganei che stava abbandonando queste coltivazioni.
Claudio, crede nella possibilità di recuperare le varietà autoctone che hanno fatto la storia di questo territorio ed è convinto che in futuro possano darci delle belle soddisfazioni, non economiche ma in termini di orgoglio per aver contribuito al recupero di un bene naturale così prezioso.
Abbiamo tagliato i tralci di queste viti, e grazie l’aiuto di un vivaista abbiamo fatto gli innesti sui portainnesti più adatti e quest’anno abbiamo piantato circa 4000 barbatelle che hanno già regalato una vegetazione straordinaria. Fra 2-3 anni valuteremo cosa fare con le uve che otterremo, che tipo di vino fare, consigliati magari da qualche amico, esperto in agronomia ed enologia che già collabora con noi.
Sicuramente saranno poche bottiglie che probabilmente berremo fra di noi, in amicizia ma con grande soddisfazione.
Un proverbio indiano che mi piace molto dice: “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”. La tua grande carriera professionale nel mondo del calcio ti ha permesso di investire tempo e parte dei tuoi risparmi sulla terra e la scelta è stata semplice visto la tua grande passione e le tue radici mai sradicate dal territorio.
Potrebbe essere questa la nuova frontiera per chi ha passione e risorse da investire, garantendosi un reddito personale e al tempo stesso salvaguardare il territorio creando anche occupazione giovanile?
Questa per noi è sicuramente una grande speranza.
Come noi abbiamo sposato questo progetto e questa filosofia, l’augurio è che lo facciano anche altri. Se si parla di biologico, nella zona dei Colli Euganei siamo in pochissimi ad aver trasformato l’azienda agricola, e aver intrapreso un processo di completa conversione.
È qualcosa in cui crediamo. Quello che hai citato è un proverbio bellissimo ed è comunque un grande ammonimento. Spero che la gente si renda conto che disastri abbiamo fatto negli anni passati e se si raggiunge questa consapevolezza, partendo da quelli piccoli come noi, poi la speranza è che l’esempio venga seguito anche da quelli più grandi e che fra qualche generazione ci siano le condizioni per poter respirare un’aria diversa, ossigeno puro in un ambiente incontaminato.
Questo sicuramente potrà creare anche occupazione giovanile, e nel biologico ci sono ancora maggiori possibilità rispetto al convenzionale. Detto questo è ovvio che ci deve essere un ritorno equo in termini di ricavi in modo che l’azienda si possa sostenere, consapevoli che i costi di gestione sono maggiori e che quindi il valore di mercato di un prodotto biologico deva essere maggiore di uno convenzionale.
E qui ritorna l’importanza che deve avere la presa di coscienza del consumatore a riguardo di tali tematiche.
Producete per ora tre vini tutti a base Garganega.
Il Gargante vino frizzante con rifermentazioni in bottiglia. Il Diletto vino fermo da fermentazione naturale. Il Contame che è da poco in bottiglia ed è un vino macerato sulle bucce.
Scegli tre persone a te care, che non vedi da molto tempo, che vorresti avere al tuo tavolo a cena per fargli assaggiare i tuoi vini e già che ci sei che piatto abbineresti a ogni tipologia di Garganega?
Alla prima parte della domanda è impossibile rispondere.
Quando i giornalisti mi intervistavano e mi chiedevano qual era stato il migliore giocatore della squadra gli rispondevo che a me le classifiche non sono mai piaciute. Vorrei quindi avere al mio tavolo tutte quelle persone che hanno il piacere di conoscerci, vorrei invitare milioni di persone, una sorte di processione che arrivi, non per comprare, ma solo per assaggiare i nostri vini in modo che riescano a capire che lavoro c’è dietro al nostro operato, quanto studio, passione, impegno ci mettiamo.
Vorrei quindi un tavolo grandissimo, quasi infinito, pieno di persone a cui ho voluto bene e che reciprocamente me ne ha voluto a me e alla mia famiglia.
Per quanto riguarda gli abbinamenti, il Gargante si presta bene come aperitivo, con i salumi, specialmente con il prosciutto di Montagnana e la soppressa veneta, con i formaggi, con la frittura di pesce.
Il Diletto con il baccalà e il Contame lo abbinerei non a una pietanza ma agli amici, perché è un vino che deve farti star bene in compagnia, ti versi un bicchiere e inizia la conversazione in modo ciarliero e spensierato.
I successi che hai raccolto nella tua carriera sono innumerevoli e importanti.
Nel mondo del vino sei solo all’inizio di un percorso che ha ancora molte pagine da scrivere.
Qual è il tuo successo sportivo che ricordi con maggior piacere e c’è un sogno od obiettivo che ti piacerebbe raggiungere con i vostri vini e la vostra azienda?
È quasi scontato dire che il successo della coppa del mondo a Tokio alla guida del Borussia Dortmunt o la coppa Uefa contro la Juventus siano stati successi straordinari, ma la cosa che ricordo con maggior entusiasmo sono i sette anni di Parma nel loro complesso.
Faccio fatica a fare una classifica, però il periodo vissuto a Parma è stato un successo globale che vivo ancora oggi con emozione perché quando ritorno nella città emiliana la gente mi accoglie con affetto e mi dice che era bello quando c’ero io, non perché abbiamo vinto grandi trofei ma per l’atmosfera che si respirava, il vivere in simbiosi con la città affrontando tutto con allegria e gioia.
L’obiettivo che vorrei raggiungere con i nostri vini è molto semplice ed è che chi viene ad assaggiarli possa poi dire che sono buoni.
Oggi è sabato 14 luglio. Domani, domenica 15, si sfideranno Francia e Croazia per la conquista del titolo mondiale. Ti devo per forza chiedere un pronostico (che pubblicherò integralmente anche se l’articolo uscirà a giochi fatti) e se fossi tu l’allenatore a sedere sulla panchina della squadra vincente, con che vino del cuore ti piacerebbe festeggiare?
È un pronostico difficile ma se devo farlo dico Francia, anche se tifo Croazia perché è una squadra che mi piace tantissimo e che ha fatto vedere in tutte le partite le sue grandissime qualità e dove c’è un giocatore per il quale rinuncerei a Ronaldo, Messi, Maradona, Pelè: se dovessi costruire una squadra partirei da Modric e poi intorno a lui modellerei tutto il resto, perché è un giocatore straordinario fondamentale nell’economia di una squadra.
Però Modric e compagni hanno tre supplementari sulle gambe e sono più stanchi dei francesi e questo alla lunga potrà essere determinante.
Il vino con cui vorrei brindare è il Gargante perché, visto che ci sarebbe tanto da festeggiare, meglio scegliere una bottiglia dove possiamo anche un po’ esagerare in quantità, berne tranquillamente una a testa, tanto, a parte la leggera ebrezza provocata dall’alcol, non ci sarebbero altri fastidiosi effetti collaterali il giorno dopo vista la naturalità del prodotto.
A proposito del nome Gargante, con un pizzico di orgoglio voglio ricordare che deriva da una mia idea, nata per caso una sera quando discutevamo su che nome dare a questa Garganega. Lo ritengo un bel nome, accattivante e simpatico, avendolo scelto io non poteva essere altrimenti (e qui scoppia una risata).
Stefano Cergolj