Cuori di merluzzo agli agrumi mediterranei e Sicilia Grillo
È “una cosa da capogiro!“, detto da mio marito poi… eppure è stato un esperimento, anche perché spesso il merluzzo risulta un po’ salato e usare il succo degli agrumi in cottura elimina il problema! Consiglio ancora di usare il cuore del filetto di merluzzo nordico, quello dal quale si ricava il migliore baccalà, che è un filetto sodo, carnoso e molto pregiato chiamato loins e se ne ricava soltanto uno da ogni pesce.
Ingredienti per 4 persone:
- 2 cuori di polpa di merluzzo da 400 g ciascuno
- 8-10 olive verdi
- 8-10 olive nere
- 4 peperoncini rossi freschi
- una manciata di capperi panteschi sotto sale
- pomodori ”datterino” gialli
- 1 arancia
- 1 limone
- 1 gambo di porro
- un cucchiaino di coriandolo in grani
- un pizzico di sale fino
- olio extravergine d’oliva quanto basta
Ammollate un po’ le olive verdi e quelle nere in acqua fresca per toglierne l’eccesso di sale. Con uno spremiagrumi ricavate il succo dall’arancia e dal limone in una scodella. Sciacquate e asciugate i cuori di polpa di merluzzo e adagiateli in una pirofila capiente. Aggiungete le olive nere e quelle verdi, i capperi sciacquati velocemente dal sale, un cucchiaino di grani di coriandolo, i succhi di limone e d’arancia, un filo d’olio e un pizzico di sale. Lasciate il tutto a marinare per almeno un’ora.
Quando la marinatura del merluzzo è completata, con un coltello affilato tagliate i pomodorini in due e schiacciatene il centro sul tagliere per eliminarne l’eccesso di acqua. Consiglio i “datterino” gialli perché sono un po’ meno acidi di quelli rossi, ma, se proprio non si trovano, cercate i pomodorini rossi più maturi.
Tagliate a rondelle i peperoncini eliminando i semi interni, quindi tagliate a rondelle anche il porro e sminuzzate tutto con la mezza luna.
In una padella antiaderente dai bordi alti fate soffriggere a fuoco moderato e senza coperchio nell’olio il peperoncino, il porro e i pomodorini per qualche minuto. Quando i pomodorini cominciano ad asciugarsi e il porro a dorare, prendete con una paletta i cuori di polpa di merluzzo dalla teglia e adagiateli sopra il soffritto, raccogliendone un po’ con un cucchiaio per cospargerlo anche nella parte superiore.
A questo punto, con calma, versate nella padella anche il liquido di marinatura rimasto nella teglia, con i capperi, le olive e il coriandolo. Mentre il pesce cuoce per una decina di minuti, raccogliete ancora per un paio di volte con il cucchiaio il liquido di cottura per bagnarlo anche nella parte superiore.
Ora alzate la fiamma e cucinate il merluzzo a fuoco vivace per far sfumare gran parte del sugo. Circa 10 minuti ancora e la cottura è ultimata. Servite i due cuori di polpa di merluzzo tagliati in due parti nei piatti di portata, ben coperti dal loro condimento di verdure. Buon appetito!
Claudia Vincastri
Il vino Sicilia Grillo “Sur Sur” 2018 Donnafugata
La società agricola Donnafugata è sorta nel 1983, quando Giacomo Rallo, erede della storica famiglia di Marsala che faceva vino fin dal 1851, ha deciso di fondare con la moglie Gabriella Anca, insegnante di lingue, una realtà produttiva moderna ed esemplare dei vini siciliani. Il nome prescelto per l’azienda è stato dedicato a Gabriella. È proprio lei la “donna fuggita” dall’attività del suo passato per iniziare con il marito una nuova, interessante, avventura nel mondo del vino che continua oggi con l’aiuto dei figli José e Antonio.
Donnafugata è diventata un vero fulcro del vino siciliano di eccellenza e ormai è famosa in tutto il mondo. I suoi vigneti si estendono per 384 ettari suddivisi in 5 tenute a tutti e tre gli angoli della Sicilia con annesse le cantine di vinificazione, maturazione e affinamento complete di vasche in cemento o in acciaio inox e di botti fatte da 20 tipi di legno diversi: Contessa Entellina, Marsala, Pantelleria, Vittoria e Randazzo (Etna). L’azienda non usa diserbanti né concimi chimici, ma pratica il sovescio e la concimazione organica, riduce al minimo l’utilizzo di fitofarmaci grazie a tecniche di lotta integrata e mantiene il controllo degli insetti (tignola) con le trappole a feromoni. Qui si applica il monitoraggio di tutti i parametri climatici, l‘irrigazione di soccorso e il diradamento per migliorare la salute delle uve, la razionalizzazione delle risorse naturali per minimizzare l’impatto ambientale, la produzione di energia alternativa grazie agli impianti fotovoltaici, la quantificazione certificata DNV delle emissioni di CO2 dell’intero ciclo produttivo (ha già ridotto la propria impronta ecologica del 10%). Nella tenuta di Contessa Entellina si fanno già le vendemmie notturne a cominciare dal vigneto La Fuga, sfruttando l’escursione termica tra il giorno e la notte per abbattere del 70% i consumi energetici dovuti al raffreddamento delle uve prima della loro pigiatura soffice.
Non è cosa da poco, poiché la produzione ormai viaggia intorno ai 2,5 milioni di bottiglie curate dagli enologi Antonio Rallo e Stefano Valla. Il corpo principale dell’azienda si trova nella Tenuta di Contessa Entellina, 283 ettari nella Sicilia occidentale, dove si coltivano 17 vitigni diversi su suoli franco-argillosi con partecipazione di calcare tra il 20 e il 35 e di sali minerali. Qui gli Inverni sono miti, le estati sono asciutte e ventilate con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte (da 16 a 18 °C), la piovosità media annuale degli ultimi dieci anni è di 667 mm. La densità di ceppi nelle vigne va da 3.500 a 6.000 per ettaro nelle località di Mazzaporro, Duchessa, Casale Bianco, Arcera, Miccina, Predicatore, Pandolfina (accanto al campo sperimentale) e Galia, con rese che variano da 40 a 85 quintali per ettaro (da 0,8 a 1,7 kg per pianta).
Con questa ricetta di merluzzo dell’Oceano Atlantico settentrionale ci sta proprio bene un vino Sicilia DOC bianco, fresco, fruttato, giovane, beverino come il Grillo “Sur Sur” 2018. Prodotto per la prima volta nel 2012, è uno dei più recenti monovarietali in purezza di Donnafugata. Colpisce già per l’etichetta, che è un vero richiamo alla primavera con la corsa di una bambina a piedi nudi sull’erba e tra i fiori, come faceva Gabriella da piccola. Il nome “Sur Sur” viene dall’antica lingua degli arabi che hanno dominato per molto tempo la Sicilia e significa proprio “grillo”. Il vitigno però non è così antico ed è un incrocio di catarratto e zibibbo realizzato probabilmente dal barone Mendola dopo la metà dell’800. L’azienda Donnafugata lo coltiva nell’entroterra collinare tra Marsala e Salemi (contrade di Baiata, Alfaraggio, Pioppo) su suoli franco-argillosi limosi a reazione sub-alcalina (pH da 7,5 a 7,9) contenenti calcare dal 25 al 30% e sali di potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco. Le vigne si trovano a un’altitudine tra i 100 e i 200 metri s.l.m. con esposizione prevalentemente a Nord-Est e sono coltivate a controspalliera con potatura guyot che lascia da 6 a 10 gemme per ogni pianta. La densità d’impianto nelle parcelle varia da 3.500 a 4.500 piante per ettaro con rese da 75 a 85 quintali per ettaro.
A Contessa Entellina dopo due annate poco piovose, in quella del 2018 si sono registrati 743 mm di pioggia, buona parte in primavera. Solo in alcune parcelle ci sono state piogge intense in estate. La vendemmia è stata fatta nella prima decade di Settembre. I grappoli sono stati accuratamente selezionati e raccolti a mano. Dopo la pigiatura soffice, il mosto è fermentato in vasche d’acciaio inox a temperatura controllata da 14 a 16 °C. Il vino è stato affinato sempre in vasche di acciaio inox per 2 mesi e in vetro per altri 3. Alcool 12,72 % (in etichetta è arrotondato), acidità totale 5,35 g/l, pH 3,25.
Di colore giallo paglierino brillante con riflessi verdolini. il Grillo “SurSur” 2018 ha un bouquet fresco con note di pesca bianca, susina, scorza di cedro e sfumature di fiori di sambuco e di campo sullo sfondo di timo e di erba tagliata fresca. In bocca è di beva piacevole e scorrevole, morbido, fragrante nella conferma delle note fruttate e fresco. È un bianco di buon corpo con una notevole finezza che contraddistingue una buona acidità e una giusta sapidità che lo accompagnano a un finale ricco, agrumato, salmastro e lungo.
Ideale da abbinare con panini sfiziosi ai frutti di mare e alle tartare di pesce, con l’insalata di piovra e primi piatti di mare e di verdure come le tagliatelle ai calamaretti freschissimi con fagiolini e pomodorini o gli spaghetti con le cozze in bianco e le zucchine. Ottimo con insalate ricche come cicorino rosso e formentino (valerianella) con camembert e prosciutto cotto alla crème fraîche e senape, ma anche con carni bianche grigliate e formaggi molto freschi. Da godere nell’arco dei primi 3 anni servito da 9 a11 °C.
NOTA AGGIUNTIVA
Questo vino siciliano è, come tutti i vini eccellenti, un perfetto ambasciatore del suo territorio. Perciò credo di interpretare anche il pensiero dei miei amici Favara nell’invitarvi ad andare in visita non solo alla tenuta e alla cantina dell’azienda Donnafugata, ma anche alla vera Donnafugata (150 km più a Est), una contrada che si trova nell’assolato altopiano a una ventina km da Ragusa, all’incrocio fra tre strade provinciali (SP71, SP21, SP80, coordinate GPS: lat. 36.882397 N, long. 14.564321 E) in un territorio ricco di oliveti, pascoli e vigneti. Vale una giornata intera. Possiamo ringraziare Giacomo Rallo e Gabriella Anca per aver portato nel mondo i loro vini con un nome affascinante che invita a visitare la Sicilia.
Si dice che il nome della contrada di Donnafugata deriverebbe dalla sorgente d’acqua presso cui era sorto un insediamento arabo fortificato tra il nono secolo e il Mille con una torre d’avvistamento sulla costa. I ragusani pronunciavano l’arabo “Fonte di salute” (مصدر الصحة) storpiandolo in “ronna fuata” (donna fuggita) fino a quando, nel 1093, i Normanni hanno espugnato Ragusa, scacciato i Saraceni, elevato la città a contea e poi diviso il territorio in feudi, tra cui questa località denominata feudo di Donnafugata.
Intorno al 1300, per volontà del conte di Ragusa, Manfredi Chiaramonte, ci fu costruito un modesto castello che nell’immaginario popolare è diventato in seguito il luogo di una leggenda costruita sull’origine del nome di Donnafugata, secondo cui la donna fuggita sarebbe la giovane regina di Sicilia, Bianca di Navarra. Rimasta vedova nel 1410 e nominata reggente, aveva rifiutato un secondo matrimonio con il vecchio conte Bernardo Cabrera che l’ha perseguitata, catturata e rinchiusa nel castello, da cui però era riuscita a fuggire attraverso le gallerie che da una stanza conducevano in aperta campagna. Questa rimane una leggenda, ma il nome Donnafugata avrà un seguito ancora più in là nella Storia.
Intorno al 1630 il feudo di Donnafugata è stato venduto dalla famiglia Bellio Cabrera a Giovanni Arezzo Propenso, barone di Serri e marito di Antonina La Rocca, e poi ereditato dal figlio Vincenzo Arezzo La Rocca che lo ha trasformato in una masseria fortificata lasciando intatta la torre trecentesca. Dopo sei generazioni, il barone Corrado Arezzo De Spucches verso il 1865 ha trasformato quella che era ormai solo una casa padronale in una sontuosa dimora di 3 piani con 122 stanze su un’area di circa 2.500 metri quadrati. Parco con enormi alberi secolari, labirinto di siepi basse per bambini, labirinto in muri di pietra per adulti, tempietto sopra le grotte, una meraviglia raggiungibile anche dalla ferrovia che fu deviata apposta e che dista solo 400 metri.
Mentre era ospite a Donnafugata Gaetano Combes visconte di Lestrade si era innamorato della nipote del barone, Clementina Paternò Arezzo, che nell’immaginario popolare è diventata la seconda donna fuggita, poiché i due innamorati avevano deciso la “fuitina”, la fuga attraverso Punta Secca e il mare sull’isola dell’amore (che come tante altre “fuitine” si era poi felicemente conclusa nel 1906 con le nozze riparatrici). Nel 1982, il conte Gaetano di Testasecca, erede dei Combes Paternò, ha venduto Donnafugata per la somma di un miliardo di lire al Comune di Ragusa che, dopo anni di restauro dallo stato di abbandono e d’incuria in cui si trovava, l’ha resa fruibile ai turisti.
Alcuni turisti ci arrivano, però, credendo di trovarsi negli ambienti del film “Il Gattopardo” solo perché c’è una Donnafugata nell’omonimo romanzo di Tomasi di Lampedusa, ma all’epoca in cui Luchino Visconti girò il film questo labirintico castello di Donnafugata non si prestava a essere trasformato in set cinematografico. Gli esterni sono stati girati a Ciminna (45 km da Palermo), il ballo nel salone di palazzo Ganci a Palermo, gli interni nel palazzo Chigi di Ariccia. Tra l’altro, lo scrittore aveva ambientato il suo romanzo nella casa di villeggiatura di sua madre a Santa Margherita Belice, il palazzo Filangeri di Cutò, come scrisse lui stesso il 30 maggio 1957 al barone Enrico Merlo.
Mario Crosta
Tenuta di Donnafugata
sede: S.S. veloce Palermo-Sciacca km 60, 92018 Contessa Entellina (PA)
centralino 0923.724200, informazioni tel. 0923.724245 e 0923.724263
coordinate GPS: lat. 37.727679 N, long. 13.03825 E
sito www.donnafugata.it
e-mail info@donnafugata.it
cantine storiche: Via S. Lipari 18, 91025 Marsala (TP)
e-mail visitare@donnafugata.it
coordinate GPS: lat. 37.789396 N, long. 12.446335 E