Barolo 2005: il ritrovato gusto dell’attesa
Passata l’estate, decisamente calda soprattutto a luglio e agosto, tanto da rendermi difficile qualsiasi tentativo di degustare vini rossi di una certa struttura e alcolicità, ho ripreso i miei giri di assaggi e posso tornare a parlare dell’amato Barolo, un vino che per me resta straordinario e inimitabile. Questo grazie al connubio del particolare terroir langarolo con un vitigno tanto difficile e regale, il nebbiolo, da sprigionare le sue migliori qualità solo nell’habitat a lui più congeniale, da vero re qual è. Certo ne è stata fatta tanta di strada, nel bene e nel male, qualcuno si è lasciato prendere la mano dal successo degli ultimi quindici anni e ha investito in cantine megagalattiche trasformandole in opere d’arte con l’accoglienza di un albergo di lusso, ha alzato vertiginosamente il prezzo dei propri vini, ha acquistato Porche Cayenne, Jaguar e quant’altro può fare scenografia e dimostrare ottima salute, senza mettere minimamente in conto che tutto ha una sua ciclicità, che gli alti e bassi sono inevitabili, che i tempi difficili tornano sempre e bisogna accoglierli preparati. Oggi, con il rallentamento delle richieste del mercato estero, il sempre maggior numero di bottiglie prodotte (oltre 8 milioni), la crisi che ha travolto un po’ tutti, il prezzo di questa tipologia che, con tutta la buona volontà, rimane comunque alto per la maggior parte delle persone, che hanno ben altri problemi da affrontare, la situazione ha subito un radicale cambiamento. Pochi possono dire di non averne sentito gli effetti, i più fortunati hanno contenuto la crisi grazie ad un sistema capillare di ricerca che gli ha consentito di trovare nuovi spazi di vendita nei mercati emergenti, ma la maggior parte delle aziende deve fare i conti con le abbondanti giacenze di cantina. D’altronde la storia ci insegna che l’uomo impara molto poco dal passato e ricade frequentemente negli stessi errori di valutazione, come diceva Gaber “le cose buone non fanno epidemia”.
L’aumento esponenziale dei terreni vitati – chiunque vada in Langa oggi, non può fare a meno di notare che le vigne hanno soppiantato in modo esponenziale le altre colture, che i boschi sono quasi assenti o di dimensioni molto ridotte, tanto da rendere il paesaggio piuttosto monocorde anche se non privo di un certo fascino – e la nascita di nuove realtà aziendali, hanno offerto il fianco ad un surplus produttivo oggi molto difficile da supportare. Situazione, ovviamente, che non si è verificata solo in Langa ma in tutte quelle aree della penisola che hanno avuto un altrettanto forte successo con conseguente allargamento delle aree vitate.
Qualcuno dice che il vino dovrebbe tornare ad essere vino, ovvero una bevanda fatta per accompagnare il pasto e non, come purtroppo è diventato fino a prima della crisi, un oggetto di culto, un fenomeno di business sempre più per pochi, che ha visto la nascita di una nuova moda: quella dell’acquisto finalizzato alla speculazione, vini usciti dalle aziende ad un costo, poi lievitato grazie ai premi e alla notorietà ottenuta. Tanto che, per un buon numero di anni, chi comprava le guide per informarsi sui vini delle nuove annate e, magari, voleva acquistare uno di quelli premiati e “desiderati”, scopriva che nelle enoteche o era finito, o non era mai arrivato, o c’erano rimaste un paio di bottiglie ma ad un prezzo più che raddoppiato.
Tempi di vacche grasse, che come sempre appartengono ad un mondo fatto di adulti solo come età, ma profondamente immaturi sul piano personale, incapaci di dare il giusto valore alle cose.
Pensate che da questa esperienza qualcuno abbia imparato? Difficile a dirsi. Chi ha fatto il vino per amor di terra, perché fare il vino è un mestiere antico tramandato di padre in figlio, ed ha sempre avuto ben radicati certi valori e principi, non si è lasciato stordire dall’aumento di benessere portato dal successo di vendita, o quantomeno sa dove è andato a finire mettendo da parte quei principi che avevano governato la sua famiglia per generazioni. Chi, invece, è arrivato nel mondo del vino “perché era il momento giusto per cavalcare l’onda”, al massimo cercherà nuovi obiettivi, ma la sua visione e le sue aspettative non cambieranno, e non si porrà nemmeno il problema se, con il suo arrivo e il suo modo di ragionare, ha contribuito a trasformare la vitivinicoltura in uno dei tanti, possibili, metodi per fare soldi. Ma abbandoniamo queste riflessioni, che ci portano troppo lontano dal tema di questo articolo, che è il Barolo 2005 e il suo futuro.
Incastonato fra due annate apparentemente superiori – la 2004 per la sua inusitata prontezza e capacità di deliziare il palato, tanto da rendere immediatamente piacevoli i severi Barolo di Serralunga e Monforte, e la 2006 che dai ripetuti assaggi in fase di affinamento, ma anche dai risultati dei Barbaresco e dei Roero presentati ad Alba Wines Exhibition 2009, sta dimostrando una classe e un’eleganza non comuni, anche se non per tutti è andata così bene – il millesimo 2005 si è presentato con caratteristiche del tutto diverse: scorbutico, acerbo, indomabile, in pieno tumulto interiore, apparentemente più esile e invaso da una trama tannica rigida e senza concessioni, tanto da essersi subito guadagnato la fama di “annata minore” o quantomeno interlocutoria. E’ bene precisare che queste impressioni, avute nel maggio scorso, durante la consueta rassegna albese destinata alla stampa e ai professionisti di settore, che presenta le nuove annate di Roero, Barbaresco e Barolo, sono a livello generale, ma con le dovute differenze da comune a comune. Personalmente ho subito avuto la sensazione di avere a che fare con un’annata classica, di quelle difficili non per carenza qualitativa ma per le modalità con cui il nebbiolo da Barolo (e non solo) si presenta in tutta la sua nobilitate celata, custodita in un guscio che solo il tempo è in grado di assottigliare. Un effetto simile, ma non uguale, avuto con il millesimo ’96: vini difficili da interpretare, discontinui, con momenti in cui rivelano grande stoffa che si alternano a fasi di improvvisa chiusura. Vini che alla distanza possono ribaltare profondamente le impressioni avute alla loro uscita. Ecco, la 2005 a mio avviso, ha queste caratteristiche, quelle che ci riportano ad un Barolo orgoglioso, antico, profondo ma difficile in un mondo sempre più abituato ad avere tutto e subito, magari addolcito, arrotondato, reso malleabile, ma in qualche modo privato della sua natura più vera. Un Barolo per intenditori? Forse, almeno se non si ha la pazienza di aspettare, di lasciare che viva la sua evoluzione in santa pace, come si faceva quando il tempo serviva anche per riflettere, per leggere un libro, per dialogare con gli altri, per assaporare la vita in ogni suo dettaglio, senza l’esigenza di divorarla freneticamente. Potrebbe rappresentare una chance per recuperare uno stile di vita più saggio, meditativo. “Ma chi ce l’ha una cantina dove conservare il vino?”. Calma, in dieci anni di “sperimentazione forzata”, poiché i miei spazi sono limitati e la cantina è piena da tempo, le centinaia di bottiglie che hanno sostato in angoli appartati della casa (capace di raggiungere i 30 gradi d’estate), hanno dimostrato che i vini importanti, per intenderci “da invecchiamento”, reggono bene, al massimo evolvono un po’ più in fretta. Ad oggi non ho ancora avuto il caso di una bottiglia rovinata. Mi sono limitato a tenerle coricate e nascoste alla luce, segno che evidentemente la temperatura diventa un fattore secondario, è molto più importante l’assenza di muffe e cattivi odori, la quotidiana aerazione dell’ambiente e l’evitare luce e calore diretti sulle bottiglie. Beninteso, chi può giovarsi di una cantina aerata e fresca ha solo da guadagnarci, perché quei vini potranno evolvere più lentamente e, quindi, più a lungo. Ma questo fatto non deve diventare un impedimento all’acquisto di un’annata importante. Si può fare tranquillamente, rispettando le regole che vi ho indicato. E con la 2005, lo ripeto, secondo me ne vale la pena. Ecco un elenco dei Barolo degustati ad Alba (alcuni riassaggiati in occasioni successive) che a mio avviso hanno ottime carte da giocare.
I Barolo 2005 presentati ad Alba Wines Exhibition 2009, se non ho sbagliato i conti, sono 163. Un notevole numero, sufficiente ad avere un quadro dell’annata piuttosto preciso, va però detto che in questo folto gruppo di aziende e vini, non erano presenti un certo numero di produttori piuttosto importanti, alcuni dei quali non hanno mai partecipato a questo evento o lo hanno fatto solo nelle prime occasioni, altri invece, che solitamente erano presenti, questa volta non hanno proposto i loro vini, per ragioni diverse fra le quali c’è sicuramente quella che l’annata ha reso necessario un più lungo affinamento. Non fanno, ad esempio, parte della pur ampia lista di partecipanti, aziende come quella di Angelo Gaja, Elio Altare, Bruno Giacosa, Giacomo Conterno, Conterno Fantino, La Spinetta-Rivetti, Roberto Voerzio, Giuseppe Mascarello, Cappellano, Corino, Domenico Clerico, Paolo Scavino, Burlotto, Vajra, Castello di Verduno. La loro assenza ha una certa rilevanza, inutile nasconderlo, auspico che l’Albeisa, l’associazione che organizza da sempre l’evento, oggi guidata dal giovane e bravo Enzo Brezza, riesca a trovare una formula che incentivi a partecipare i produttori più recalcitranti e diffidenti (vini permettendo, ovviamente); Alba Wines Exhibition è, ed è bene che costoro se ne rendano conto, la più importante e meglio organizzata manifestazione rivolta ai professionisti del vino, quattordici edizioni praticamente senza sbavature lo confermano. I vini menzionati sono in ordine di degustazione (per Comune) e non di valutazione.
COMUNE DI BAROLO
Barolo Cannubi – E.Pira & Figli: i Barolo di Chiara Boschis mi lasciano sempre perplesso, la materia prima sembra eccellente, ma l’uso del legno tende sempre a sovrastare, a plasmarla troppo. Ciò nonostante, devo riconoscere che il Cannubi ha una buona stoffa, gioca bene con le note fruttate di ciliegia nera e mora in confettura miste a toni mentolati, liquirizia e cacao, con una bocca corrispondente, decisa, dal tannino ancora rigido e dominante e un finale dall’acidità un po’ scomposta, ma questa è in qualche modo una caratteristica dell’annata, riscontrata in molti campioni.
Barolo Cannubi – Gianni Gagliardo: con quest’annata debbo dire che i Barolo di Gianni e dei due figli Stefano e Alberto Gagliardo mi hanno particolarmente convinto. Il Cannubi parte con un bel floreale di viola che va ad acquisire complessità esprimendo note fruttate di ciliegia e prugna che si fondono a toni di china, rabarbaro, liquirizia e sbuffi balsamici. Al palato è ancora indietro, piuttosto teso nel tessuto tannico ma con una buona profondità e freschezza, finale ancora fruttato e prolungato.
Barolo Cannubi – Marchesi di Barolo: a volte si pensa che chi fa grandi numeri difficilmente è in grado di mantenere una buona qualità dei prodotti; non è questo il caso della Marchesi di Barolo, azienda che vanta oltre 40 ettari vitati di proprietà e quasi il triplo da conferitori controllati, per una produzione totale che supera il milione e mezzo di bottiglie. Anna ed Ernesto Abbona conducono questa grossa realtà già da alcuni anni e il Barolo Cannubi è indubbiamente una delle pietre miliari aziendali. La versione 2005 mi ha convinto subito per il carattere terragno legato ad una calibrata impronta moderna, si passa dalla prugna al tabacco, qualche sfumatura gommosa fa poi spazio a note di liquirizia e rabarbaro, bocca robusta e dal tannino indomito, che garantisce una lunga evoluzione.
Barolo Cannubi – Michele Chiarlo: i Barolo di Michele Chiarlo vanno seguiti alla distanza, perché le loro qualità sono tutte in divenire. Il Cannubi, in particolare, attacca con un naso segnato da frutta sotto spirito, ciliegia e marasca, per poi trasferirsi su toni di erbe e spezie, china, cardamomo, rabarbaro, sbalzi mentolati e un legno ancora non del tutto integrato. La bocca convince per la trama tannica fine sebbene volitiva e un tessuto espressivo ben sorretto dall’acidità.
Barolo Nei Cannubi – Poderi Luigi Einaudi: non manca di una sua carica espressiva e personalità, il bouquet esprime note di viola e sottobosco, fiori secchi, ciliegia, cenni balsamici; la bocca ha già un buon equilibrio, tannini misurati e una piacevole sapidità che permane nel lungo finale.
Barolo Cannubi Boschis – Luciano Sandrone: ineccepibile questo millesimo del vino bandiera di Luciano e Luca Sandrone, uno dei migliori dell’area di Barolo: petali di rosa appassiti, confettura di mirtilli, fragole, ciliegie nere, liquirizia dolce; al palato è intenso, robusto, dal tannino nobile e già in fusione con la polpa che ritorna generosa e appena dolce, l’acidità giusta e una persistenza da cavallo di razza confermano un risultato ottimo e convincente.
Barolo Le Coste – Giacomo Grimaldi: da questo vigneto storico Ferruccio Grimaldi estrae un Barolo inizialmente duro e reticente, ma via via intriso di un certo fascino, certamente moderno, con una dolcezza di fondo che non riesce a nascondere del tutto la durezza del tannino, ma il tempo gli darà sicuramente merito.
Barolo Sarmassa – Cav. Enrico Bergadano: bella prova per questo millesimo dal naso molto vivo e piacevole, con un frutto pimpante e fresco, in bocca ha una certa materia, tannino fine e ben dosato, non manca di ciccia e rivela una persistenza notevole con un finale sapido e gustoso.
Barolo Sarmassa – Brezza: i vini di Oreste Brezza sono sempre stati una sicurezza, ma debbo dire che questa azienda storica ha fatto con il figlio Enzo un ulteriore balzo in avanti, soprattutto nella capacità di saper interpretare bene le annate e di dare ai vini una maggiore precisione qualitativa. Il Sarmassa 2005 ne è un perfetto esempio, un vino che esce bene ogni anno, persino in questo caso dove è apparso ovviamente giovanissimo, ancora alla ricerca di un equilibrio, ma dal carattere indubbiamente nobile, complesso, elegante, a partire da una viola nitida e sublime che si alterna ad una rosa carnosa e matura, erbe officinali, l’immancabile cuoio, la cannella, il frutto inizialmente celato che ci riporta alla ciliegia e al lampone; non manca mai di corpo il Sarmassa, non è vino che viaggia sottile, la materia c’è tutta ma perfettamente dosata, con un tannino modello, astringente “alla maniera del nebbiolo” che si smussa e affina veloce lasciando le gengive libere e accompagnando una trama aromatica corrispondente e di lunga persistenza.
Barolo Brunate Le Coste – Giuseppe Rinaldi: non ce n’è per nessuno, almeno a Barolo, Beppe con il suo Brunate Le Coste riesce ad emozionare e a portarci su un terreno quasi puro del Barolo, fatto di gusto, generosa polposità, concessione totale al piacere, non è l’eleganza di un capo d’alta moda, ma la saggezza di quello che la natura può dare se uno sa comprenderla e assecondarla; è un vino pericoloso perché ti circuisce già al naso con i suoi profumi fruttati dolci, con quella liquirizia che fa grande e inimitabile il Barolo, con quelle sfumature speziate che riconducono più alle radici del nebbiolo che al legno utilizzato. E quanto sapore in bocca, un tannino importante che si nasconde bene dietro ad una polpa armoniosa e fresca. Tanto buono da far sembrare “piccolo” il Cannubi San Lorenzo Ravera, più chiuso e difficile al naso, ancora scomposto in bocca, ma con una materia tutta in divenire, che potrebbe sorprenderci in un non lontano futuro, oggi manifesto in un bouquet di liquirizia, anice e menta, con rintocchi fruttati e un palato saporito e sapido con un tannino di grana fine e rassicurante.
Barolo – Giorgio Scarzello: merita di essere menzionato il Barolo base di Federico Scarzello, sicuramente il migliore fra gli altri assaggiati del comune di Barolo, convincente per le belle note di viola e glicine, frutta sotto spirito, erbe aromatiche, tracce pepate e una speziatura in divenire; bocca con un tannino ancora bisognoso di integrarsi ma una bella freschezza e dolcezza di frutto.
Barolo Le Brunate – Francesco Rinaldi e Figli: affatto male questo Barolo dai tratti balsamici e dalle note di lampone, visciola e liquirizia, con un tannino al gusto ben bilanciato e un legno magnificamente integrato.
Barolo – Bartolo Mascarello: il primo Barolo interamente “concepito” da Maria Teresa, che elimina qualsiasi dubbio (ma chi ne ha mai avuti!) sulle sue capacità di condurre l’azienda del compianto Bartolo, uno dei personaggi storici e più amati di Langa; l’impressione già avuta poche settimana prima e ampiamente descritta in questo mio articolo, è ampiamente confermata anche in quest’occasione.
COMUNE DI NOVELLO
Dei quattro Barolo presentati provenienti da questo piccolo comune di Langa, ne ho preferiti due:
Barolo Sotto Castello di Novello – Giacomo Grimaldi: l’impressione avuta è di una maggiore integrazione del legno rispetto al Le Coste, un bouquet complesso e interessante che rivela note di prugna in confettura e liquirizia, cacao e menta; bocca solida e matura, con un tannino setoso e fine, notevole persistenza.
Barolo – Armando Piazzo: non c’è che dire, i vini di Franco Allario e Marina Piazzo, che conducono questa azienda da ben 70 ettari vitati, hanno sempre un ottimo rapporto qualità prezzo, manca forse il vino di punta, quello che fa parlare di sé, ma l’ampia gamma è tutta di livello più che decoroso, a partire da questo Barolo che sa di fiori appassiti, di prugna, albicocca essiccata, ciliegia; al palato ha buona struttura, già un certo equilibrio e una buona persistenza.
COMUNE DI LA MORRA
Barolo Vigna Arborina – Gianfranco Bovio: chiariamo subito che il carattere del Vigna Arborina non è proprio quello che mi piace trovare in un Barolo, ma questo non mi impedisce di riconoscerne una propria personalità e piacevolezza. Si parte con un naso molto dolce di ciliegia e ribes nero in confettura, seguito da richiami floreali e arricchito da sfumature minerali e speziate, con un sottofondo di legno dolce; all’assaggio denota una buona struttura e un centro bocca ricco e avvolgente, con tannini marcati ma non troppo asciuganti, grazie ad una polpa fruttata e una sapidità che lo rendono piacevole e saporito.
Barolo Bricco Luciani – Cascina del Monastero: naso inizialmente dolciastro, ma lo slancio fruttato appare piacevole e non surmaturo, c’è anche una buona base speziata che ne alimenta la complessità; in bocca ha una buona corrispondenza, frutto pieno e avvolgente, tannino giusto, calibrato e non polveroso, finale appena amarognolo ma di buona lunghezza.
Barolo Bricco Luciani – Silvio Grasso: altro Barolo di stile moderno, ma a La Morra ce ne sono molti e Silvio Grasso è fra quelli che è riuscito a dosare meglio l’uso della barrique a vantaggio di un carattere che rimane abbastanza ancorato al territorio; al naso risente ancora della dolcezza del legno (non dimentichiamo però che l’assaggio risale a maggio, quando il vino era davvero giovanissimo), poi però si apre a toni di piccoli frutti di bosco, ciliegia, amarena, prugna, liquirizia, note di menta e minerali. In bocca è ancora pungente per via di un’acidità che deve calibrarsi, ma non manca di materia e di trama tannica, la parte fruttata e speziata per ora non gli permette di raggiungere l’equilibrio ottimale ma promette bene.
Barolo Bricco Rocca – Cascina Ballarin: è caratterizzato da note di erbe aromatiche, pepe, tabacco e un legno ancora bisognoso di tempo; al palato non manca di tannino e acidità, ma l’alcol e la polpa fruttata lo pongono già in una fase di equilibrio e piacevolezza.
Barolo Vigneto Brunate – Andrea Oberto: sorprende per una leggera nota agrumata, certamente non comune a La Morra, che si affianca a viola, amarena in confettura e venature ammandorlate; la forza del tannino e la notevole spalla lasciano presagire una lunga capacità evolutiva.
Barolo Brunate – Marengo: ben riuscito questo millesimo, che presenta note complesse di fiori appassiti, anice, ciliegia, mora di gelso; al palato è ancora rigido ma il tannino appare di ottima fattura e il tempo sicuramente gli darà ragione.
Barolo Brunate – Oddero: ha un impatto olfattivo convincente, giocato su viole frutti di bosco, ciliegia in particolare, poi liquirizia e interessanti richiami balsamici; al gusto è meno “sciolto”, chiede tempo per un tannino non ancora addomesticato e una vena acida ancora alla ricerca di un bilanciamento con le parti morbide.
Barolo Cerequio – Michele Chiarlo: una recente verticale del Cerequio mi ha confermato le notevoli doti di questo cru e l’ottima interpretazione di casa Chiarlo. La versione 2005 presenta un naso molto equilibrato, cremoso, senza sbavature, con un bel frutto che si fonde a note di noce moscata, balsamiche e minerali; in bocca ha una massa superiore e un tannino tosto ma ben fatto, buona ampiezza espressiva e persistenza, note terrose, sapidità, finale che vira leggermente verso il caffè.
Barolo Brunate – Marcarini: i fiori appassiti caratterizzano l’impatto iniziale di questo ottimo Barolo, non mancano i piccoli frutti, la radice di liquirizia, spennellate speziate. Al gusto denota la sua estrema gioventù, ma il tannino è di grana finissima e la materia solida e rassicurante, vino che in prospettiva crescerà molto.
Barolo Bricco Gattera – Cordero di Montezemolo: l’ho preferito all’Enrico VI, che da qualche anno non mi convince più come in passato; olfatto interessante, con tracce ferrose ed ematiche, frutto dolce di ciliegia e lampone, ginepro, cannella. Al palato ha tannino nervoso, ancora da integrare, buon corpo e una persistenza di tutto rispetto.
Barolo Vigneto Rocche – Andrea Oberto: mi è particolarmente piaciuto questo Barolo per il suo stile austero, profondo, complesso, uno dei pochi a La Morra in grado di sfoggiare una certa mineralità, si concede con toni di liquirizia, ciliegia e ribes in confettura, sottobosco; bocca dal tannino perseverante ma pulito, elegante, fresca, con un bel ritorno fruttato che equilibra la sua ancora evidente giovinezza.
Barolo Rocche – Aurelio Settimo: naso un po’ chiuso ma interessante, con belle note floreali e terrose, in bocca restituisce una buona materia, freschezza, tannino appena rigido, ma il tessuto è fine e lo sviluppo sembra davvero promettente. Il Rocche di Tiziana Settimo è un bell’esempio di tradizione lamorrese, un punto di riferimento.
Barolo Rocche dell’Annunziata – Mario Gagliasso: quest’anno ho preferito questo Barolo al Torriglione, che mi ha dato l’impressione di aver sofferto un po’ l’annata, più caldo e maturo. Il Rocche propone ciliegia in confettura, amarena sotto spirito, liquirizia, fiori macerati, cuoio e tabacco. L’assaggio conferma una buona materia, struttura giusta e tannino fine e già polimerizzato, finale sapido e lungo.
Barolo Vigna San Giacomo – Stroppiana: pur con qualche riserva che il tempo potrebbe cancellare, il Vigna San Giacomo è vino di un certo carattere, parte con la viola, il lampone e la fragolina di bosco, note di sottobosco, muschio, fogliame, rintocchi di caffè. La bocca trova un tannino importante ma non dominante, grazie ad una trama di complessivo equilibrio, un frutto che fornisce buon contributo di morbidezza e un finale che cede leggermente verso sfumature ammandorlate.
Barolo Serre – Gianni Gagliardo: chiudiamo la carrellata di Barolo lamorresi con un altro vino di Gianni Gagliardo, in verità proveniente da vigneti sparsi fra La Morra, Barolo, Monforte e Serralunga. Ha naso appena maturo, un po’ dolce ma interessante e omogeneo nella dinamica espressiva, con belle note di lampone, prugna, mirtillo, rabarbaro, cacao, erbe officinali. In bocca ha un bell’equilibrio, molto succoso, vivo, piacevole, tannino fine e misurato, si sentono anche i fiori, molto buono e lungo il finale con un tocco di sapidità che non guasta.
COMUNE DI VERDUNO
Tre soli vini dal questo delizioso comune, mancavano purtroppo due aziende importanti come Castello di Verduno e Comm.G.B.Burlotto, che hanno ritenuto i loro Barolo non ancora pronti per essere degustati.
Barolo Monvigliero – Fratelli Alessandria: il Monvigliero è un cru dalle potenzialità straordinarie, che viene fuori con il tempo, mostrando il suo carattere complesso e affascinante. La versione 2005 dell’azienda dei fratelli Alessandria parte infatti con un naso ancora chiuso, bisognoso di comporsi, sebbene riveli già una interessante successione di sensazioni che vanno dalla viola alle erbe aromatiche, da ciliegia e lampone in confettura a sfumature di olive e sottobosco; al palato è più aperto e propone una struttura salda e un tannino elegante, con una ottima prospettiva evolutiva.
Barolo Monvigliero – Bel Colle: molto diversa questa versione che si offre più pronta e piacevole con un bel frutto vivo che si ripropone anche al palato, certamente meno complesso ma comunque convincente per la trama lineare e polputa.
COMUNE DI CASTIGLIONE FALLETTO
Barolo Bricco Boschis – Cavallotto: qui entriamo in un terreno a me congeniale, i vini di Alfio e Giuseppe Cavallotto godono di lunghe macerazioni e maturano in botti grandi, i loro eccellenti appezzamenti lo permettono, sfoggiando sempre dei Barolo classici e profondi, eleganti ed estremamente longevi. Non fa eccezione il Bricco Boschis 2005, ovviamente più indietro anche per le caratteristiche dell’annata, ma con un bel ventaglio di sensazioni rassicuranti, che vanno dalle belle nuances di viole e rose al sottobosco, dalla liquirizia alla ciliegia in confettura, un sottofondo minerale e terroso chiude un bouquet appena agli esordi. Al palato è evidente la giovinezza del vino che, proprio per come è concepito, non può proporsi già equilibrato e accattivante, deve maturare, equilibrarsi, ma il tannino ora un po’ rigido ha in sé una trama finissima ed elegante, la spalla è salda e il futuro sicuramente in salita.
Barolo Montanello – Tenuta Montanello: ha un attacco non esplosivo ma di una certa eleganza, piccoli frutti, fiori, leggera speziatura, in bocca si fa piacere per una buona dose di freschezza ed elasticità espressiva, tannino misurato e ottima persistenza. Da tenere presente.
Barolo Rocche – Brovia: attacco olfattivo fine e preciso, senza sbavature, minerale e floreale, con una ciliegia molto gradevole, chiodo di garofano, liquirizia; al palato restituisce una bella freschezza, un frutto nitido, croccante, pulito, tannino perfetto, evolverà magnificamente.
Barolo Rocche di Castiglione – Roccheviberti: un gran bel vino, non c’è che dire, molto ben delineato, fine ed elegante, con un frutto di grande piacevolezza, una viola pulita e una trama tannica raffinata e setosa, molto classico e suggestivo, lungo, godibile.
Barolo Rocche – Vietti: gran bella prova, naso dolce e balsamico, con un bel frutto maturo di ciliegia e lampone ma non marmellatoso, toni di menta, eucalipto, inizio di tabacco. Al palato è ricco, caldo, con un tannino maschio ma finissimo, fresco e di grande persistenza.
Barolo Villero – Livia Fontana: particolarmente centrato il Villero di Livia, dal colore che colpisce per la sua evoluzione apparentemente avanzata, con venature quasi aranciate, eppure una trama viva, fresca, convincente, con toni di liquirizia e cacao, molto “Castiglione Falletto”, una bocca fine e fresca con un tannino di ottima fattura e una bella lunghezza gustativa.
Barolo Villero – Giacomo Fenocchio: e che dire di questo bell’esemplare dai toni classici e rassicuranti di fiori macerati e appassiti, toni balsamici e un frutto preciso e senza sbavature dolciastre; fresco e giovane al palato, trama tannica fine e una certa cremosità che lo rende saporito e persistente.
Barolo – Monchiero: il fatto che non porti il nome di un vigneto non deve lasciar supporre che si tratti del cosiddetto “Barolo base”. La realtà si tratta di una selezione di uve proveniente dai diversi appezzamenti in Castiglione Falletto di proprietà aziendale. Vittorio Monchiero porta avanti molto bene la trasizione vitivinicola di famiglia e questo ottimo Barolo lo dimostra, pur denunciando una giovinezza ancora scalpitante, soprattutto nell’acidità che deve trovare misura con il tempo, ma la qualità c’è tutta e l’eleganza è già percepibile.
COMUNE DI MONFORTE D’ALBA
Barolo Bussia – Cascina Ballarin: è il primo della batteria e fa un ottimo ingresso, proponendo una trama olfattiva giocata su note di viole, ciliegie in confettura, lamponi e mirtilli, poi si distende su note speziate che ricordano la noce moscata, il tabacco biondo, una sfumatura pepata. All’assaggio evidenzia il rigore della Bussia, il tannino deciso è parzialmente nascosto da un frutto dolce e morbido, sorretto da giusta acidità. Non manca di persistenza.
Barolo Bussia Munie – Franco Conterno Cascina Sciulun: pur essendo ancora piuttosto riservato, il manto odoroso rivela belle note di erbe aromatiche, timo, alloro, per poi distendersi su un fruttato leggero ma di giusta rotondità; al palato conferma un tessuto affidabile e lineare, tannino pulito e solido, finale ampio e persistente, appena asciugato da una giovinezza estrema che chiede tempo.
Barolo Bussia – Giacomo Fenocchio: per provenire dalla Bussia, questo Barolo evidenzia una inusuale misura in ogni suo aspetto; parte con la frutta di bosco matura e la liquirizia, poi si arricchisce di venature balsamiche e cenni speziati. In bocca non manca di freschezza e di un tannino nitido ma ancora aggressivo, forse l’elemento che rivela maggiormente il terroir di provenienza.
Barolo Colonnello – Poderi Aldo Conterno: torna nuovamente a lasciare traccia di sé questo Barolo dai profumi di un certo fascino, un bel frutto rotondo di ribes e lampone, piccoli fiori, erbe aromatiche; bocca che trova già una buona armonia, la freschezza non manca, come non manca la struttura e un tannino ben estratto, con finale dal tocco sapido.
Barolo Bussia Dardi Le Rose – Poderi Colla: naso appena selvatico, note floreali, ciliegia, prugna, fragolina di bosco, in bocca ha una buona stoffa, tannino forte ma pulito, buon ritorno di frutto, finale piacevole che rivela ottime possibilità di sviluppo.
Barolo Gabutti Bussia – Oreste Stroppiana: più convincente del Vigna San Giacomo, anche se è stato necessario riassaggiarlo da un’altra bottiglia; ha naso assai variegato, con note che si alternano fra fiori, frutta e spezie, sottobosco. La bocca è sapida e ancora un po’ rigida per un tannino che deve assestarsi.
Barolo Le Gramolere – Fratelli Alessandria: altra bella prova di questa azienda di Verduno, il Le Gramolere ha carattere da vendere e un accento monfortino davvero spiccato sin dalle sue note olfattive che danno maggior risalto alle spezie che ai frutti, pur presenti, sonoil cacao, il pepe, la liquirizia, il tabacco, il fogliame a farla da padroni, poi arriva la confettura di ciliegie e ribes nero. In bocca denuncia tutta la sua energia, bisognoso di tempo per offrire quella piacevolezza e profondità di cui sarà sicuramente portatore.
Barolo Vigna Cappella Santo Stefano – Rocche dei Manzoni: mi ci è voluto del tempo per imparare ad amare questo vino, soprattutto l’assaggio di vecchie annate, che mi ha permesso di capire quanto lo stile del compianto Valentino Migliorini si fosse forgiato misurandosi anno per anno con una terra che si concede lentamente e non permette facilmente di apprezzare la qualità dei vini se non a palati esperti. Anche questo millesimo non sfigura per nulla e mi convince, il bouquet di fiori appassiti apre progressivamente le porte a toni di liquirizia e menta, ginepro, cardamomo, leggera componente selvatica. Al palato dimostra come l’uso sapiente del piccolo legno può integrarsi e non soverchiare il carattere del nebbiolo, anche perché il vino si giova di un successivo periodo in botte grande. Vino di sicura longevità.
Barolo Pressenda – Marziano Abbona: fiori e frutta di stampo fine cedono presto il posto ad una speziatura elegante che gli dona una certa severità tutta monfortina. Al gusto il tannino è ovviamente potente e chiede tempo, ma la sua trama finissima garantisce che saprà integrarsi in un tessuto ben strutturato e saldo, da invecchiamento.
Barolo San Giovanni – Gianfranco Alessandria: non posso negare che a questo cru ho preferito più volte il Barolo base, probabilmente perché in passato lo stile del vino di punta era fin troppo addomesticato dal legno piccolo. Oggi, anzi, già da qualche anno, riscontro un più efficace equilibrio e una personalità più definita. Si parte con note di fieno, viola e rosa, cenni di caramello, poi timo, mentuccia, santoreggia. Al palato è toccato da una piacevole vena sapida e il tannino gode di una già apprezzabile misura, finissimo nella trama.
Barolo Gavarini Vigna Chiniera – Elio Grasso: ho avuto modo di riassaggiare in più occasioni questo eccellente Barolo, fra i miei preferiti dell’area monfortina. E’ stato proprio questo 2005 a convincermi che l’annata non è affatto minore ma chiede solo di essere interpretata nella sua diversità. Infatti a maggio appariva ancora contratto e selvatico seppure nobile nei suoi tratti, mentre solo pochi mesi dopo era più disteso e ricco di fascino. Liquirizia e menta si fondono ad un bel tessuto fruttato, mentre la bocca afferma una struttura importante e un tannino vigoroso ma elegante. Un vino tutto in ascesa.
Barolo Giblin – Gemma: partito con una terziarietà che mi ha lasciato spiazzato vista la sua tenera età, rivela note di prugna e ciliegia sotto spirito, tabacco, quasi cenni di goudron e cuoio, il tutto gli dà un fascino particolare che appassiona. In bocca mostra un bell’quilibrio, una complessità superiore, sapidità, stoffa e cremosità.
Barolo Persiera – Josetta Saffirio: questo è il tipico millesimo che avvantaggia inizialmente chi fa uso del piccolo legno, poiché questo contribuisce a smussare parte delle inevitabili asperità che l’annata esprime. Così è con questo interessante Persiera, dai toni di ciliegia e lampone in confettura, un legno dolce ancora da integrare, liquirizia e tabacco. Al palato trova già un certo equilibrio grazie ad una polpa fruttata ben espressa e ad un tannino tenuto sotto controllo.
Barolo Campo dei Buoi – Costa di Bussia: naso con note di erbe aromatiche, fiori secchi, in bocca è particolare, ha una freschezza spiccata, una materia non potente ma di bella finezza, intrigante, un tannino nitido e pulito, una bella lunghezza e sicure possibilità evolutive.
Barolo – Monti: non chiedetemi perché l’ho preferito al Bussia, può darsi che a maggio (non ho più avuto occasione di riassaggiarlo) soffrisse di una crisi da imbottigliamento del giorno prima, sta di fatto che allora era scorbutico, scomposto, difficile da interpretare, mentre il base mi ha subito convinto, senza riserve, molto classico al naso, con tratti appena selvatici e una sequenza di piccoli frutti di bosco maturi davvero piacevole; in bocca ha una buona materia, tannino pulito e misurato, buona cremosità, finale lungo e complesso.
Barolo 35° Annata – Parusso: il nome del vino suggerisce una commemorazione, infatti l’azienda di Armando Parusso ha imbottigliato il suo primo Barolo con la vendemmia 1971, e giustamente Marco e Tiziana hanno pensato di produrlo come avrebbe fatto lui, unendo le uve provenienti dai diversi appezzamenti di proprietà a Castiglione Falletto (Mariondino) e Monforte (Bussia, Mosconi e Le Coste). Il risultato è un Barolo intenso e accattivante, con una trama olfattiva ampia che va dai frutti di bosco alle erbe aromatiche, alla china e alla menta, con qualche riflesso tostato che andrà ad assorbirsi con il passare del tempo. Al gusto è fresco, sapido e con una trama tannica fine ma decisa, l’impronta moderna è molto più misurata di un tempo.
COMUNE DI SERRALUNGA D’ALBA
Barolo Arione – Gigi Rosso: naso pulito, giocato su piccoli frutti di bosco sotto spirito e appena maturi, fiori essiccati, liquirizia e cenni salmastri; una bocca che morde ma dalla trama interessante, piacevole, dal tannino deciso ma calibrato e una freschezza che promette una lunga salute.
Barolo Badarina Vigna Regnola – Bruna Grimaldi: dopo la splendida esecuzione del 2004, questo millesimo potrebbe apparire meno prorompente, ma qui è davvero l’annata a fare la differenza, soprattutto a Serralunga dove i vini, proprio per la composizione del terreno, sono i più resistenti, lenti a progredire. Questo conferma la classicità della 2005, che vede un Badarina Vigna Regnola meno aperto ed equilibrato, ma non per questo privo di quei tratti nobili che lo caratterizzano. Il bouquet è di buona complessità, non manca nulla, spazia da profumi di mirtillo e fragola a note tostate, liquirizia, chiodo di carofano, tabacco. La bocca è fresca e con un buon frutto che smussa parzialmente il tannino verace e ancora indomito. Finale di liquirizia e cacao.
Barolo Ca’ Mia – Brovia: i Barolo di Giacinto e Cristina Brovia sono per me orami un punto di riferimento, secondo le annate emergono o il Ca’ Mia o il Rocche o ancora il Villero. Quest’anno è una bella lotta fra Rocche e Ca’ Mia, quest’ultimo apparentemente più penalizzato dall’annata rigida, ma con una trama olfattiva molto bella, puntata sul frutto, appena dolce, lampone e ciliegia, amarena, che si fondono a note floreali di viola e rosa. In bocca ha una bella trama, pulito, elegante, con belle nuances fruttate e floreali, asciuga appena nel finale ma lascia una bocca piacevole e con un velo sapido. A mio avviso sulla distanza sarà proprio il Ca’ Mia a spuntarla sul Rocche.
Barolo Vigna Broglio – Palladino: i Barolo di questa azienda sono ormai una sicurezza, ogni anno escono bene, il Broglio ha attacco olfattivo appena maturo ma ben fatto, senza sbavature, anche in bocca ha tratti da vino importante, di carattere, anche se una certa scompostezza acida fa capolino fra la polpa fruttata, ma è un peccato di gioventù.
Barolo Broglio – Schiavenza: Luciano Pira è davvero bravo, i suoi Barolo sono sempre convincenti e soprattutto veri, di carattere, senza smancerie, figli di Serralunga, schietti, importanti. Il Broglio si propone elegante, con note di magnolie e viole appassite, liquirizia, erbe aromatiche, noce moscata, ciliegia e susina in confettura, cenni di pepe bianco. L’attacco gustativo rivela una presenza tannica importante, finissima, un tessuto ricco e solido, una perfetta corrispondenza aromatica e un finale saporito.
Barolo Leon – Cascina Luisin: naso di lampone, ciliegia, viola, sottobosco; in bocca ha una buona materia, tannino duro ma la temperatura del vino è piuttosto bassa, in realtà il frutto è vivo e croccante, ha una certa stoffa e si fa piacere. Crescerà sicuramente.
Barolo Cerretta – Ettore Germano: parte con una tostatura ancora evidente, che poco a poco rilascia note di ribes, ciliegia nera e mora in confettura, liquirizia, sensazioni mentolate e qualche cenno vegetale. In bocca si sente un tessuto contratto, duro, ma è ancora il freddo del campione a penalizzarlo, basta scaldarlo un po’ ed esce un bel frutto vivo e croccante, una trama fitta e saporita, una lunga e convincente persistenza.
Barolo Colarej – Gemma: anche questo Barolo di casa Gemma, presentato per la prima volta ad Alba Wines Exhibition, appare subito convincente: naso interessante, di una certa precisione, con note appena terziarie ma di grande finezza, frutti di bosco e fiori appassiti, tabacco. In bocca ha una buona tessitura, una certa maturità di frutto ma la stoffa non manca e il tannino è molto misurato e pulito.
Barolo La Rosa – Fontanafredda: di recente questa importante azienda di Langa che ha raggiunto la bellezza di 131 anni, ha dato vita ad una riserva bionaturale, che comporta una drastica riduzione di CO2 a tutto vantaggio della produzione vinicola e del consumatore finale. Debbo dire che fino ad oggi non ho mai trovato il grande vino, quello che mette in moto i sensi, ma certamente va riconosciuto che la qualità media è sempre più che buona, tanto più se si pensa che la produzione totale viaggia tra i 6 e i 7 milioni di bottiglie annue. Il La Rosa, che con il millesimo 2004 si era rivelato davvero eccellente, si offre all’olfatto con note appena dolci di lampone, richiami alla viola, alla china, sensazioni di sottobosco e terra e un’interessante speziatura. La bocca è fresca e il tannino fitto ma già parzialmente contrastato da una buona polpa, chiude lungo e piacevole.
Barolo Vigna Lazzairasco – Guido Porro: l’ingresso nella precedente edizione della rassegna albese dei Barolo di Guido Porro fu la vera sorpresa, di quelle che non ti aspetteresti mai, convinto di conoscere ormai tutti i nomi più noti della Docg. E invece non era così. Se questo approdo quasi trionfale poteva sembrare fortuito, oggi, con la seconda apparizione, non ci sono più dubbi, Guido e il papà Giovanni rappresentano una sicurezza. Il Vigna Lazzairasco profuma di geranio, rosa, magnolia denudata, piccoli frutti quali lampone, ribes e ciliegia; in bocca ha una materia di buona eleganza, freschezza misurata, tannino pulito, si fa piacere per questo frutto fine e succoso che si mantiene a lungo.
Barolo Vigna S. Caterina – Guido Porro: ancora più convincente l’altro cru aziendale, dal naso ricco e variegato, caratterizzato da una bella tessitura speziata che si mescola al frutto di bosco, ciliegia, prugna e sfumature di liquirizia. Al palato ha grande stoffa, tannino fine e già quasi vellutato, bella polpa fruttata e un finale lungo e saporito.
Barolo Margheria – Massolino: chi l’ha detto che la botte grande non è in grado di smussare gli spigoli di un Barolo forte e indomabile di Serralunga? Il Margheria dimostra esattamente in contrario, proponendo una trama olfattiva dolce e succosa, ricca di note fruttate di ciliegia, lampone, fragoline di bosco, ribes nero, ricordi di viola e belle venature di tabacco in foglia su un fondo terroso e minerale. All’assaggio conferma l’alto lignaggio nel tannino potente ma setoso, buona freschezza e corrispondenza aromatica, finale lungo che si distenderà e acquisirà ancora complessità con il passare degli anni.
Barolo Meriame – Paolo Manzone: piccoli frutti di bosco in parte sotto spirito, in parte sciroppati, amarena e lampone in particolare, poi liquirizia e spezie dolci. Al palato è maschio, austero, impone una lunga attesa per apprezzarlo fino in fondo. Rispecchia molto bene il carattere dell’annata.
Barolo Parafada – Massolino: se la gioca con il Margheria quasi più sullo stile che sul piano qualitativo, dove sono praticamente appaiati. Ha naso caratterizzato da una bella progressione fruttata che spazia tra ciliegia nera, lampone, mora, mirtillo, cenni di tabacco e liquirizia. In bocca ha un tessuto fitto e interessante, tannino sorprendentemente maturo e smussato nonostante la sua presenza abbondante, finale lungo e gustoso con ritorno di liquirizia e cacao in polvere.
Barolo Prapò – Ettore Germano: altro vino centrato di Sergio Germano, dai toni ricchi di frutta e spezie, ma anche fiori, lamponcini, fragole di bosco, more, cenni di chiodo di garofano e liquirizia, sfumature pepate. Al palato mostra un tannino fra i più dolci e rotondi, non manca di sapidità e lunga persistenza.
Barolo Prapò – Schiavenza: da quando conosco questa azienda (che ha anche un’ottima trattoria di propria conduzione a fianco alla cantina) il Prapò è il vino che mi ha maggiormente emozionato, sicuramente è il più lento a maturare ma ogni anno mostra di avere delle doti non comuni. Questo millesimo è gicato su una fitta trama di fiori freschi e secchi, spezie fine, bacche, sottobosco, liquirizia; la bocca è ovviamente serrata da un tannino potente ma assolutamente fine e ben contrastato da una struttura che assicura una lunga vita.
Barolo Serralunga d’Alba – Fontanafredda: anche migliore del La Rosa, dai profumi variegati di ciliegia, lampone, liquirizia, cardamomo e ginepro con sottofondo balsamico e mentolato. Al palato giustifica il proprio nome nella forza espressiva, nella struttura piena e nel tannino importante, la chiusura è lunga e giocata fra toni di china e liquirizia.
Barolo Serralunga – Paolo Manzone: riesce già ora a piacere per i suoi tratti maturi e armoniosi, note di spezie dolci e confettura di ciliegie nere, amarene, mirtilli, poi menta, pellame. Al palato rivera una bella sapidità, freschezza senza asperità e tannino fine, finale profondo e prolungato.
Barolo Serralunga – Rivetto: va ancora meglio la versione di Rivetto, dal naso molto piacevole e fine, di piccoli frutti di bosco appena maturi, ricordi di rosa e viola, ginepro e sfumature minerali. in bocca ha un tessuto di grande freschezza, frutto croccante, tannino fine e ben calibrato, succoso e sapido, grande persistenza, vino con grandi possibilità evolutive.
Barolo Serralunga – Giovanni Rosso: segnatevi questo Barolo, perché oltre ad essere ottimo, ha un prezzo fra i più competitivi di tutta Serralunga. Presenta un naso di fiori appassiti, ciliegia e lampone in confettura e sotto spirito, prugna secca, pepe, liquirizia. Al gusto è sapido e rotondo, con un tannino ben celato, una vivida freschezza e una persistenza prolungata e pulita.
Barolo – Pio Cesare: chiudo con il Barolo base di questa storica azienda (l’Ornato non è stato presentato), dai profumi terziari, note di cassis, noce moscata, cardamomo, caffè e qualche sfumatura vegetale. In bocca sembra ancora bisognoso di trovare un proprio equilibrio, ma il tannino è fine e la trama arricchita da sfumature speziate e di frutti di bosco in confettura.
Roberto Giuliani