Vini naturali: Radikon e la sua Ribolla Gialla
C’è un gran discutere sulle diverse questioni legate ai cosiddetti “vini naturali”, un termine che sta a indicare convenzionalmente “vini ottenuti da uve che non hanno subito trattamenti chimici in vigna né metodi di cantina dannosi alla salute umana”. All’interno di questa definizione, però, ci sono notevoli differenze nei metodi utilizzati, sia in vigna dove possiamo trovare l’agricoltura biologica, biodinamica o una miscela delle due, sia in cantina dove c’è chi non usa solforosa aggiunta e chi ne usa in quantità molto ridotta, chi all’acciaio preferisce il legno come contenitore per la vinificazione, chi addirittura utilizza anfore o altri materiali che, almeno in teoria, non dovrebbe influire minimamente sull’evoluzione del vino. Nella maggior parte dei casi i lieviti sono indigeni e le fermentazioni partono spontaneamente, la temperatura non viene controllata se non nel caso raggiunga livelli troppo elevati che inibirebbero la funzione dei lieviti.
Ma tralasciando i dettagli più o meno tecnici, sui quali ci sarebbe molto da approfondire, rimane il fatto che quello dei vini naturali è un argomento che non lascia indifferenti alle critiche, positive o negative che siano. C’è chi, ad esempio, ritiene che la biodinamica sia una mezza specie di stregoneria, una cosa che non ha nulla di scientifico e non può essere dimostrata (un po’ come accade con l’omeopatia, della quale si nega l’efficacia), c’è chi, degustando certi vini bianchi che hanno subito una vinificazione analoga a quella dei vini rossi, ovvero mantenendo le uve a contatto con le loro bucce per settimane, a volte mesi, ha l’impressione che si assomiglino tutti, o comunque fa una certa fatica a distinguere le diverse uve di provenienza. C’è chi dice che questi vini estremi non siano abbinabili al cibo, chi dice che non durano o puzzano ecc. ecc.
Nonostante tutto questo possa apparire una specie di calderone dove dentro c’è di tutto di più, cosa tutto sommato abbastanza normale se pensiamo che anche nei vini “non naturali” c’è ugualmente di tutto di più, in realtà questo tipo di vini ha dalla sua parte alcuni elementi di assoluto rilievo, primo fra tutti, se escludiamo ovviamente la componente alcolica, il fatto che non siano dannosi alla salute dell’uomo e che i processi di produzione siano ben lontani dal produrre forme di inquinamento nel suolo e nell’aria.
E’ ovvio che per poter apprezzare una parte di questi vini, mi riferisco a quelli più estremi dal punto di vista della filosofia produttiva, bisogna essere un minimo preparati, un vino bianco vinificato in rosso è profondamente diverso da qualsiasi altro vino bianco a cui siamo abituati.
Un esempio di questo tipo di vino lo troviamo con Stanislao Stanko Radikon, uno dei massimi esponenti della categoria, che è stato uno dei primi ad abbandonare le vasche d’acciaio a favore del legno, prima barriques e poi tini tronco-conici da 25-35 ettolitri per la macerazione delle uve bianche, una tecnica antica, ampiamente usata dai predecessori per produrre vini che potessero resistere all’ossidazione, oggi ripresa, sviluppata e migliorata.
Personalmente devo confessarvi che ho imparato ad apprezzare questi vini poco alla volta. Inizialmente ne sono rimasto stupito, in parte confuso perché non riuscivo a comprenderne la natura in pieno, né sapevo immaginare come potessero comportarsi con il cibo. Con il passare degli anni, però, durante i quali fra l’altro i vari produttori sono riusciti a migliorarsi sempre di più, ho imparato ad amarli, a capirne la straordinaria essenza, a comprendere che questi vini sono qualcosa di totalmente diverso e incredibilmente semplice, vero, si trattava solo di non paragonarli al conosciuto, un po’ come può avvenire quando si passa da una birra industriale, per quanto buona, ad una artigianale fatta con metodi estremamente diversi.
Sono mondi che non hanno nulla in comune, se non nella presenza dell’alcol, ma con i vini di Radikon (e non solo con i suoi, ovviamente) senti i profumi e gli aromi primordiali dell’uva, non varietali puri, ma la loro evoluzione in tutto il suo fascino.
Ieri sera, per festeggiare con Laura l’anniversario del nostro matrimonio, siamo andati a Fiumicino, in quell’hotel dal ristorante eccellente che è “Al Porticciolo” di Gianfranco Pascucci, in via Traiano 85. Bene, nonostante le perplessità di mia moglie sull’abbinabilità con i piatti che avevamo ordinato, tutti rigorosamente a base di pesce, ho chiesto la Ribolla Gialla 2002 di Radikon.
Oltre ad averla incantata, questo vino (che già avevo avuto modo di apprezzare, quindi ammetto che giocavo sul sicuro…) ha dimostrato di non avere nessuna difficoltà a stare a tavola.
Per chi non lo sapesse, Radikon utilizza bottiglie da 1 litro e da 1/2 litro, cosa che è tornata utilissima visto che eravamo in due e, con tutta la buona volontà, la bottiglia da 37,5 è un po’ troppo risicata per un pasto completo in due.
Bevuto rigorosamente a temperatura ambiente, quindi anche più alta di quanto consigliato sulla retroetichetta (15 gradi), si è rivelato semplicemente fantastico, perfetto nella sua componente aromatica, senza alcuna sbavatura, puzzetta, stranezza (va tenuto presente che vini come questo, senza solfiti aggiunti, possono variare da bottiglia a bottiglia), un ventaglio di profumi che passava dalla melata al caramello, dalla cannella all’anice, dall’agrume maturo alla mandorla, ai fiori macerati, alle sensazioni minerali; l’assaggio era altrettanto entusiasmante, la temperatura da vino rosso era perfetta, i suoi 12,5 gradi alcolici quasi non si sentivano e la persistenza di quelle sensazioni aromatiche era pressoché infinita.
Gran bella serata e anniversario festeggiato in maniera perfetta, con passeggiata finale a fianco delle imbarcazioni che costeggiavano le sponde del Tevere…