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Verdicchio dei Castelli di Jesi, la storia e le sue espressioni

Colline Marchigiane
Colline Marchigiane

Le Marche, regione straordinaria a mio avviso sotto molti punti di vista, rappresenta in questo momento storico un esempio da seguire riguardo il campo della viticoltura. Il motivo è molto semplice, si fa un gran parlare di aspetti legati alla salvaguardia dell’ambiente, di mille operazioni atte a ridurre l’impatto con lo stesso, il tema è assai importante e delicato, proprio per questo bisogna tenerlo costantemente monitorato con dati oggettivi, costanti, fatti e non solo parole. Questa splendida terra bagnata dal Mar Adriatico vanta un territorio collinare del 69%, è tra le regioni più bio in Europa in rapporto alla superficie vitata.
Coerentemente con quanto anticipato è doveroso da parte mia segnalare che, poco tempo fa, è stato istituito il cosiddetto Patto per il distretto biologico unico, ne ho parlato qui, grazie alla partecipazione della diverse sigle del comparto e della Regione. Il progetto mira a far diventare quest’area la più grande a livello europeo in tema di sviluppo di pratiche sostenibili e di attenzione riguardo la salute dei consumatori. Fatta questa doverosa premessa, è mia ferma intenzione occuparmi dei tanti aspetti che costituisco il patrimonio vitivinicolo e agroalimentare delle Marche, cercando di non tralasciare l’aspetto storico e sociale, oltre all’impegno degli organi competenti e delle aziende coinvolte.
Uno dei primi appuntamenti calendarizzati nel mese di maggio si è tenuto lunedì 3 alle ore 18.

Paesaggio marchigiano
Paesaggio marchigiano

L’IMT – Istituto Marchigiano di Tutela Vini, mi ha invitato a presenziare al webinar “MARche tasting!” dedicato ad una delle più importanti denominazioni del territorio, il Verdicchio dei Castelli di Jesi. Diversi i giornalisti e blogger coinvolti, sei le aziende presenti con i loro rispettivi vini: Moncaro, Villa Bucci, Marotti Campi, Lucchetti Azienda Agricola, Azienda Vitivinicola Socci e Cantina Santa Barbara. A moderare l’incontro Marina Catenacci e Alberto Mazzoni, quest’ultimo direttore dell’IMT e rappresentante dei consorzi italiani al Comitato vini presso il Mipaaf. Con ben 652 aziende associate, 16 denominazioni di cui 4 Docg, il suddetto Istituto, nato nel 1999, rappresenta l’89% della produzione del territorio, un dato che riguarda ovviamente i vini imbottigliati, incide inoltre per il 45% sull’intera superficie vitata regionale, oltre 7.500 ettari divisi tra le province di Macerata, Ancona, Fermo e Pesaro-Urbino. Veniamo dunque alla denominazione protagonista dell’incontro, a mio avviso portabandiera regionale dell’eccellenza vitivinicola marchigiana.

Grappolo di verdicchio
Grappolo di verdicchio

Parte del successo attribuito a quest’area, in termini di numeri e di quote di mercato, anche mondiale, va attribuito a questa straordinaria uva a bacca bianca autoctona chiamata appunto verdicchio. Un vero e proprio anfiteatro naturale rappresenta la cornice dov’è inserita la zona di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi, colline rivolte verso il mare, lo osservano a diverse distanze, e in prospettiva vengono totalmente assorbite dai profumi inebrianti e influenzate dalle sue brezze. Al contempo è imponente la presenza del pre-Appennino che conferisce alle uve tutt’altri elementi, peculiarità; lo stesso è solcato dal fiume Esino e circondato da ben 24 “Castelli”, icone del territorio. Piccoli borghi fortificati e cintati che costituiscono la zona Classica del Verdicchio, quella originaria; visitarli è un’esperienza affascinante, alla vista risultano pittoreschi, veri e propri scenari da fiaba. Il territorio del Verdicchio è un insieme di colli, disposti su più livelli, con notevoli escursioni altimetriche. Si va dai versanti affacciati sull’Adriatico ai 550 metri circa di comuni quali Apiro e Cupramontana.

Bottiglie di Verdicchio dei Castelli di Jesi

Le uve sono influenzate dalle correnti marine che contribuiscono a creare un clima temperato, caratterizzato da notevoli escursioni termiche, soprattutto nell’area più alta, con estati calde e soleggiate. Riguardo le componenti che formano la cosiddetta matrice del terreno, dipende molto dalle zone: substrati di calcare, marne e argilla nelle alture di Staffolo, Cupramontana e Apiro, man mano che ci si allontana in direzione costa, argilla e arenaria su terre di medio impasto, sino ai declivi più caldi e sabbiosi prossimi alle colline praticamente adiacenti al mare.
Curiosa quanto particolarmente sensata l’origine del nome verdicchio, deriva appunto dal colore dell’acino, caratterizzato da evidenti sfumature color verde, che rimangono tali anche a piena maturazione, elemento piuttosto insolito. La Doc nasce ufficialmente nel 1968 e comprende diversi comuni suddivisi in due province, Ancona e Macerata. Riguardo la prima gli stessi sono: Arcevia, Barbara, Belvedere Ostrense, Castelbellino, Castelplanio, Corinaldo, Cupramontana, Maiolati Spontini, Mergo, Montecarotto, Monte Roberto, Morro d’Alba, Ostra, Poggio San Marcello, Rosora, San Marcello, San Paolo di Jesi, Senigallia, Serra de’ Conti, Serra San Quirico e Staffolo, riguardo la seconda Apiro, Cingoli e Poggio San Vicino.

Vigneti di Verdicchio

A seconda delle zone, come già palesato, quest’uva autoctona marchigiana a bacca bianca assume tratti e toni del tutto particolari; inoltre è una cultivar particolarmente versatile da cui è possibile ricavare dal più classico dei vini fermi allo spumante Metodo Classico, non ultimo per importanza il passito. Nel 2010 l’ulteriore passo in avanti è rappresentato dall’ottenimento della Docg “Castelli di Jesi Verdicchio Riserva”. Questo riconoscimento lo si deve ad una moltitudine di fattori: la tempra dei vini, le peculiarità del territorio, la tradizione di certi luoghi classici d’elezione del vitigno, e soprattutto alla capacità del Verdicchio di affinare in bottiglia, stiamo parlando di bottiglie che nulla hanno da invidiare ai noti “rivali” francesi o tedeschi, quali chardonnay o riesling, solo per citare alcuni esempi; volendo restare nel territorio nazionale potrei aggiungere il timorasso del tortonese, il cortese di Gavi o il fiano di Avellino.
Andiamo ora ad analizzare alcune importanti caratteristiche che creano una sorta d’identikit del Verdicchio dei Castelli di Jesi in relazione al vitigno e alle differenti fasi di raccolta delle uve. Effettuata nei vigneti delle zone più a nord, in epoca precoce, è in grado di forgiare vini freschi, scattanti, agili, dinamici, che sanno d’agrume e dai rimandi floreali intensi e particolarmente eleganti. La cosiddetta maturazione ideale, che al contrario solitamente si effettua a metà settembre, primi di ottobre, imprime notevoli rimandi fruttati e suggestioni di mandorla e anice. La surmaturazione in vigneto è responsabile di accenti che riconducono alle erbe aromatiche, al miele, ma anche alla confettura di frutta estiva. Ciò che ancor oggi cattura maggiormente la mia attenzione è la capacità del Verdicchio di evolvere nel tempo, una dote innata.

Vigneti di Verdicchio

Il vino è in grado di diluirsi naturalmente col trascorrere degli anni di riposo in cantina, di stemperare la sua potenza a vantaggio di un maggior equilibrio gusto olfattivo, di mostrare maggiormente la complessità che lo contraddistingue pur conservando grandi doti di piacevolezza. Solitamente il tempo dona al vino sfumature balsamiche ed effluvi minerali piuttosto complessi, al palato la grande sapidità che lo caratterizza risulta presente ma accompagnata da una dolcezza di fondo che rende l’insieme armonico. Tali peculiarità gustative, quando il vino è giovane risultano particolarmente adatte a contrastare alla perfezione piatti della cucina mediterranea, volendo restare nel territorio costiero ad esempio brodetto alla marchigiana o crostacei di vario genere. Salendo un po’, fino ad arrivare idealmente ai comuni più a nord, regge perfettamente l’accostamento con piatti locali a base di carni bianche, carni rosse bollite, funghi, tartufi e vari fritti anche a base di verdure; in questo caso qualche annetto in più sulle spalle non potrà che giovare all’abbinamento gastronomico.
Tra i tanti temi affrontati durante il webinar, uno mi ha colpito particolarmente e si può sintetizzare in “svolta qualitativa”. Perché svolta? Molto semplice, il Verdicchio dei Castelli di Jesi, data la sua veneranda età, al pari di altri importanti vini italiani, ha subito diverse fasi storiche di mercato. Oggigiorno assistiamo alla pubblicazione di articoli che menzionano classifiche dove il Verdicchio occupa i primi posti, con punteggi da capogiro; il merito lo si deve ad un insieme di protagonisti su cui spicca la figura del pioniere Ampelio Bucci, personaggio iconico del territorio, che sin dagli albori hanno lottato con tutte le proprie forze per imporre un concetto di qualità ad ogni costo e contro ogni compromesso.
Erano anni difficili, duri, un’epoca in cui il Verdicchio era un vino tremendamente inflazionato, troppe Cantine lavoravano seguendo un orientamento quantitativo e non qualitativo. Lo stesso Ampelio, presente al webinar, ha voluto rimarcare quanto è stato difficile recuperare una situazione indubbiamente catastrofica. Ma piano piano la musica è cambiata perché sempre più produttori hanno inseguito un orientamento diverso, rispettoso del territorio, del vitigno e delle tradizioni. Lo stesso Alberto Mazzoni afferma: “Solo per il Verdicchio dei Castelli di Jesi negli ultimi dieci anni è stata contingentata la produzione, triplicata la superficie media di ettari vitati per azienda, rinnovato oltre 1/4 del vigneto e l’imbottigliamento fuori zona è calato del 75%. Si è scelto di scommettere sulle peculiarità del vitigno andando oltre l’immagine del vino beverino che lo aveva reso famoso e di valorizzare tutti i suoi punti di forza, a partire dalla grande personalità, per produrre un vino unico e inimitabile tra i grandi bianchi italiani: un ‘rosso vestito di bianco’, di grande struttura e mineralità, con una forte capacità di invecchiamento ma allo stesso tempo versatile, con le sue infinite varianti, dalle bollicine al passito”.
Tali decisioni hanno influito positivamente, non vi è alcun dubbio. I sei vini degustati, pur considerando le diverse annate e le differenti interpretazioni, hanno mostrato carisma e capacità di leggere il territorio palesando differenze notevoli, è stato avvincente decodificarle. Alle aziende, durante l’incontro virtuale, è stato dato ampio spazio per poter presentare la propria storia, la filosofia che contraddistingue l’intera produzione e le peculiarità del luogo dove sono situate le vigne.
Nelle prossime pubblicazioni, per restituire parte di questo approfondimento, racconterò il mio punto di vista sui vini degustati; trovo sia doveroso da parte mia, anche per poter mostrare il più possibile le tante peculiarità del Verdicchio dei Castelli di Jesi.

Andrea Li Calzi

Andrea Li Calzi

È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a quando ha sentito che il vino non poteva essere escluso o marginale. Così ha prima frequentato i corsi AIS, diplomandosi, poi un master sullo Champagne e, finalmente, nel giugno del 2014 ha dato vita con la sua compagna Danila al blog "Fresco e Sapido". Da giugno 2017 è entrato a far parte del team di Lavinium.

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