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Territorio e qualità nei vini di Venica & Venica

Ingresso Venica & VenicaPuò un piccolo paese del Collio avere qualche punto d’incontro con una grande nazione come il Giappone? Teoricamente, pensando alla lontananza, alla lingua, e alle tradizioni completamente diverse, questo filo conduttore sembrerebbe assai difficile da realizzarsi.
Teoricamente appunto, se non fosse per una lodevole iniziativa con la quale una storica famiglia di vignaioli ha voluto essere vicina alla popolazione giapponese, duramente colpita dal terremoto e dal conseguente devastante tsunami, che ha messo in ginocchio una nazione intera. Iniziativa che ha visto un vino diventare ambasciatore di solidarietà e fratellanza fra i popoli.
Ci troviamo a Dolegna del Collio, piccolo centro collinare che fra le poche centinaia di abitanti ha visto negli anni crescere numerose famiglie di bravi viticoltori. Aziende a conduzione famigliare che con tanti sacrifici sono riuscite ad ottenere ottimi risultati. Fra queste, la Venica & Venica è sicuramente un punto di riferimento indiscusso della zona e del Collio intero.
La storia vitivinicola della famiglia inizia nel 1930 quando Daniele Venica acquista il corpo centrale dell’attuale azienda, la casa colonica e le vigne circostanti. La continua crescita, vede il figlio Adelchi prendere l’eredità del padre con amore e tanta passione. Siamo dinanzi a una realtà produttiva ancora molto diversificata, dove la produzione di vino viene affiancata da altre attività tipiche del tempo, come la coltivazione del mais e l’allevamento delle mucche. Si avrà solo nel 1977 l’inizio di una storia monotematica, con quasi esclusivo protagonista il vino.
E’ l’anno in cui la terza generazione, rappresentata dalle figure dei fratelli Gianni e Giorgio, prende in mano le redini della Venica & Venica. Due fratelli con ruoli e caratteri diversi che lavorando in simbiosi riusciranno in breve tempo a ottenere risultati eccezionali. A loro si aggiungerà presto Ornella, moglie di Gianni, che oltre a portare un’importante tocco femminile diventerà essenziale figura a completamento di una squadra professionale e vincente. Oggi si sono aggiunte le forze fresche della quarta generazione, rappresentate dalla figura di Giampaolo, segno di continuità e futuro assicurato.
Per fare degli ottimi vini, lo sappiamo bene, non basta la bravura dell’uomo. Ci vuole anche un territorio all’altezza. Le colline di Dolegna del Collio sono, infatti, un piccolo paradiso per la vite. Un clima eccezionale che vede protagoniste le Prealpi Giulie che si ergono a paladine delle viti, proteggendole dai venti freddi del nord. Un non lontano mare adriatico che fa sentire tutti i propri preziosi benefici. Escursioni termiche fra il giorno e la notte che portano acidità e profumi.

Vigneti aziendaliUna terra dove dominano le marne e le arenarie stratificate, che conosciute con il termine locale di “Ponka”, rappresentano quanto di meglio ci possa essere per la dimora delle viti. Queste affondano le proprie radici nelle conformazioni rocciose che hanno la tendenza a sbriciolarsi, e portare un’infinità di preziosi contributi minerali che rendono cosi unici i vini prodotti in queste terre.
In un contesto così altamente vocato, la filosofia produttiva dei Venica è un ulteriore tassello che contribuisce al raggiungimento delle più alte vette qualitative. L’unico obiettivo è quello di portare in cantina delle uve eccezionali. Per fare questo viene curato ogni piccolo particolare in vigna, a partire dalle operazioni di potatura, che vede fra le altre cose la collaborazione storica di Marco Simonit, amico di famiglia e grande esperto di tutto quello che riguarda il benessere e la longevità delle viti. La vendemmia dovrà portare in cantina delle uve sane e di elevata qualità sulle quali si dovrà intervenire il meno possibile. I mosti dovranno solo essere coccolati e lasciati seguire il proprio corso naturale.
L’obiettivo della famiglia Venica è quello di produrre vini che rappresentino il territorio e la tipicità del vitigno. Per i vini bianchi si lavora in totale assenza di ossigeno. Vengono eseguite macerazioni pellicolari a 12-14 gradi che estrapolano una suadente carica aromatica dalle bucce. I legni vengono usati con parsimonia. Botti da 27 hl per alcuni bianchi, tonneau e barrique per i rossi, avranno solo il compito di rifinire le caratteristiche organolettiche dei vini senza far sentire alcuna ingombrante presenza legnosa.
Insomma si vuole proporre dei vini che si distinguano fra di loro ma che abbiano tutti un denominatore comune nel proprio dna: il territorio del Collio, che dalla terra arriva a farsi sentire fino in bottiglia.

La cantinaDai 37 ettari vitati di proprietà, si producono mediamente circa 280mila bottiglie, con una percentuale del circa 70% a favore delle varietà bianche. Molti dei vini portano il nome dei toponimi della zona. Infatti, una delle caratteristiche principali è l’innumerevole diversità di microclimi presenti nella proprietà, colline e versanti diversi che danno ognuno un vino con le proprie caratteristiche specifiche.
Parte della produzione dei bianchi viene vinificata interamente in acciaio. Si tratta del Friulano, del Pinot Bianco, del Pinot Grigio Jesera, del Sauvignon Ronco del Cero, del Traminer Aromatico e del rinomato Friulano Ronco delle Cime. A completare la produzione anche un uvaggio, il Tre Vignis, sapiente assemblaggio di Friulano, Pinot Bianco e Sauvignon.
Il resto della produzione “bianchista” vede, invece, una parte vinificata in acciaio e una parte in botti di legno da 27 hl con percentuali che vanno dal 20% al 60% a seconda della tipologia e delle caratteristiche dell’annata. In questo gruppo troviamo l’Adelchi Ribolla Gialla, il Ronco Bernizza Chardonnay, la Malvasia. Ho volutamente lasciato per ultimo un vino che indiscutibilmente è il prodotto più conosciuto, apprezzato e premiato dell’azienda. Sto parlando del Sauvignon Ronco delle Mele. Un vitigno internazionale che ha trovato “sulla collina delle mele” un habitat ideale, diventando un figlio adottivo del territorio, legato oramai in maniera indissolubile al destino delle colline di Dolegna Collio. Uve eccezionali, macerate per 10/14 ore a 10°/12° in assenza di ossigeno. Un 20% viene fermentato e affinato in botti di legno da 27 hl mentre il restante in acciaio. A sette mesi dalla vendemmia arriverà in bottiglia un vino che ammalierà per i suoi profumi e i suoi aromi uniti a una freschezza e mineralità tipiche di questa terra.
I rossi si trovano in minoranza, come normale che sia in un territorio prevalentemente “bianchista”, ma questo non significa che non riescano a donare delle belle emozioni.

Sauvignon Ronco delle Mele e Ribolla Gialla L'AdelchiNella squadra dei rossi troviamo un rappresentante, il Cabernet Franc, vinificato solo in acciaio per preservare le tipiche caratteristiche fruttate ed erbacee tanto amate in Friuli.
Il Merlot e il Bottaz Refosco vengono invece vinificati rispettivamente in botti grandi il primo e in tonneau e barrique il secondo.
Il vino rosso di punta è sicuramente il “Perilla”, da uve Merlot che vengono coltivate in un vigneto che riesce a dare risultati eccezionali. Insolazione e calore adeguati, permettono complete maturazioni che non sempre sono possibili a queste latitudini. Il risultato è un gran bel vino rosso che non soffre sicuramente di complessi d’inferiorità nei confronti dei più quotati fratelli bianchi.
Ed è proprio da questo vigneto Perilla, che è nato il vino che vi ho menzionato all’inizio del mio racconto e legato alle terre del Sol Levante. Sto parlando di “Insieme 2001“.
Correva appunto l’anno 2001. Un’annata e delle uve di Merlot che si è capito da subito necessitavano di pazienza e lungo affinamento. Imbottigliato nel 2003 e poi lasciato a evolversi con calma in cantina. Una maturazione che procedeva lenta, donando ogni anno qualche nuova emozione. Fino ad arrivare al 2011. Finalmente il vino è pronto ed è un grande vino. Dopo una così lunga attesa si decise di dedicare l’annata a un evento importante, degno di essere celebrato con un altrettanto vino importante: i 150 anni dell’Unità d’Italia. Nasce così “Insieme 2001”, nome che univocamente vuole rappresentare un abbraccio virtuale fra tutte le genti, unite, dello stivale italico.

Insieme 2001Ma il 2011 è tristemente famoso anche per un evento che sconvolgerà un’intera nazione: lo tsumani in Giappone. I Venica, da sempre ammiratori della cultura e delle tradizioni nipponiche, decidono che dovevano fare qualcosa per dimostrare la propria vicinanza, e quella di tutti gli italiani, a un popolo così fiero e composto. Decidono così di creare un fondo di solidarietà mettendo totalmente in beneficenza i ricavati della vendita del nuovo vino, con una bottiglia che onorasse sia l’Unità d’Italia sia il popolo giapponese, rappresentato in etichetta dai colori della sua bandiera.
Un progetto che ebbe il suo battesimo al Vinitaly e che avrà termine, dopo un anno, in coincidenza con l’edizione di quest’anno, quando verrà consegnato un cospicuo assegno, che se non potrà risolvere tutti i problemi, sarà sicuramente un forte segno, non solo simbolico, di grande solidarietà umana.
Una cosa è certa. Grazie ai Venica, i profumi e i sapori del Collio faranno sentire i loro effetti benefici anche nella lontana terra degli antichi samurai.

Ornella VenicaDIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO: Ornella Venica

Quali sono i segreti e le componenti fondamentali che vi permettono di produrre degli ottimi vini che mantengo alti i propri livelli qualitativi nel tempo?
Una delle nostre priorità è quella di fare in modo che le caratteristiche del territorio emergano chiaramente nei nostri vini. Le Prealpi Giulie che creano una barriera naturale ai venti freddi del Nord. Il vicino mare Adriatico che fa sentire i propri influssi positivi. Un ambiente collinare dove le escursione termiche fra il giorno e la notte donano sontuosi profumi e una ricca acidità. Un terreno, dove stratificazioni di marne e arenarie (la tipica Ponka) sono la culla ideale per le viti che beneficiano delle innumerevoli risorse minerali che si ritrovano poi nei vini. Tutte queste sono le caratteristiche principali che ci permettono di ottenere in vendemmia un frutto sano e di primissima qualità.
Poi in cantina bisogna intervenire il meno possibile. Utilizzare in maniera non invasiva i contenitori in legno. Lavoriamo in totale assenza di ossigeno, avvalendoci delle proprietà di gas inerti come l’azoto, riducendo al minimo indispensabile l’utilizzo dei solfiti. Il risultato finale che ci prefiggiamo è quello di portare in bottiglia vini che mantengano le proprie caratteristiche varietali. Vini ben identificabili, uno diverso dall’altro, in modo da offrire al consumatore un’ampia scelta e svariate possibilità di abbinamento con il cibo.

La partita che si è giocata per decidere il destino del Tocai è stata una delle motivazioni che hanno determinato nel 2007 la tua scelta di uscire anticipatamente dalla guida del Consorzio Collio. Pensi che a distanza di 5 anni, dopo che è stato deciso di puntare sul nome Friulano in sostituzione del Tocai, si sia fatto e si stia facendo il possibile per la salvaguardia e la promozione di questo antico e rappresentativo autoctono regionale?
Parto dal presupposto che, da cittadini europei, seguire le direttive comunitarie era una scelta non solo obbligata ma anche giusta. Detto questo, inutile negare che ci siamo sentiti defraudati e privati di un qualcosa che faceva parte della nostra cultura e delle nostre tradizioni.
Come regione e come friulani, ci siamo lasciati distrarre troppo dall’onda emotiva del momento. Abbiamo perso tre anni preziosi che hanno penalizzato il decorso e lo sviluppo della nuova denominazione. E’ stata persa una grande opportunità, per dare continuità al processo di comunicazione. Ora si sta cercando di recuperare il tempo perso, ma nonostante le risorse messe in campo, la strada è in salita e la valorizzazione del marchio Friulano è in ritardo rispetto alle aspettative dei produttori. La comunicazione và diversificata a seconda dei mercati ai quali ci si rivolge. Bisogna puntare non solo ai professionisti del settore, ma cercare di fare breccia nel cuore della clientela più giovane, quella che si avvicina ora al mondo del vino. E’ giusto promuovere il territorio e tutte le sue eccellenze, ma l’ambasciatore principale deve restare sempre il vino
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Marco Simonit, Ornella e Gianni VenicaIl Collio è indiscutibilmente terra eletta per i vini bianchi. Voi producete anche una serie di rossi fra i quali spicca un grande vino da uve Merlot, il Perilla. Lavorando ad alti livelli qualitativi in vigna è possibile quindi ottenere anche in Friuli dei grandi rossi?
Anche in Friuli è certamente possibile ottenere degli ottimi rossi. Alla base deve esserci un progetto produttivo pianificato per individuare i siti ottimali al fine di ottenere uve di primissima qualità. Il Collio è identificato principalmente per le tipologie bianche. Ci sono anche nella nostra proprietà delle zone che sarebbero ottimali per le tipologie rosse, ma abbiamo preferito adibirle alla coltivazione di uve bianche a maturazione tardiva, come la Ribolla Gialla e la Malvasia. Inutile negare che, se si parla di grandi rossi, il pensiero vada immediatamente alla Toscana e al Piemonte. Noi siamo felici di essere grandi produttori “bianchisti” ma vi posso assicurare che anche con i rossi raggiungiamo alti livelli qualitativi.

Un progetto nato nel 2001. Dieci anni di lunga attesa per riuscire ad ottenere un Merlot di grandissima qualità. Doveva essere riservato a pochi fortunati per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Poi un evento tragico ne cambia la storia e il destino.
Dopo la vendemmia 2001 delle uve Merlot coltivate negli storici vigneti del Perilla, ci siamo accorti da subito che avremmo dovuto avere pazienza e aspettare un po’ di tempo per riuscire ad ottenere un grande vino. Imbottigliato nel 2003, ma con una vitale necessità di continuare a evolversi senza fretta in bottiglia. Un’attesa che ci ha portati al 2011 quando finalmente abbiamo realizzato che il vino avevo completato il suo percorso evolutivo. Un grande vino e una lunga attesa che abbiamo voluto legare a un importante evento che cadeva nel 2011: i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Ecco nascere quindi Insieme 2001, un prodotto figlio di una terra di confine con il quale si volevano celebrare i valori dell’italianità. Ma nello stesso anno, una immensa tragedia colpiva il Giappone: il terremoto che portò tanta morte e distruzione. I giapponesi oltre ad essere un popolo che merita la massima ammirazione, sono stati anche i primi, al di fuori dei confini europei, ad apprezzare il nostro “made in Italy”. Ed è nato spontaneo il desiderio di fare qualcosa in onore delle sofferenze e della dignità di questo grande popolo.
Al Vinitaly 2011 è’ stato presentato un progetto con il quale, dalla vendita e dall’intero ricavato delle bottiglie di Insieme 2001, si sarebbe finanziato un fondo di solidarietà. Un progetto che avrà termine in concomitanza con la prossima edizione del Vinitaly, dove ci sarà la consegna del fondo di beneficienza. La somma raccolta non risolverà tutti i problemi dei giapponesi, ma sarà sicuramente un modo per testimoniare la nostra vicinanza verso una tragedia che ha sconvolto un intero popolo.

Ornella VenicaIl Sauvignon “Ronco delle Mele” e il Friulano “Ronco delle Cime” sono sicuramente due dei vini più rappresentativi della vostra produzione. Ma parlando solo del tuo gusto personale, c’è un vino che ami in modo particolare? Amo molto l’eleganza del Pinot Bianco. Un vino che è testimone delle grandi potenzialità del Collio. Poi mi piacciono molto la rusticità e i profumi intensi e fruttati del Bottaz, il nostro Refosco. Penso che questo vino rappresenti un po’ la nostra terra e le caratteristiche dei friulani. All’inizio un po’ scontrosi, ruvidi, chiusi da un’eccessiva timidezza. Ma quando riesci a fare breccia nella loro sfera emotiva, si aprono donandoti se stessi nella loro interezza, mettendo in luce le proprie innumerevoli qualità. Il Collio ha un grande territorio, un eccezionale microclima e tanti bravi produttori. In tempi di globalizzazione dei mercati e con i venti di crisi che soffiano da più direzioni, bastano queste componenti per restare competitivi? Il Collio è un territorio particolare. Ci sono tante microaziende e tanti vini prodotti. Piccoli numeri, estremamente frammentati che rendono più problematica la comunicazione. Ma siamo di fronte a un territorio di eccellenza e la sfida principale deve essere quella di far diventare quello che sembra un punto debole, la nostra forza. Dobbiamo riuscire a comunicare il volto umano di ogni singola azienda. I produttori possono differenziarsi l’uno dall’altro, ma devono sentirsi parte comune di un territorio che merita di essere conosciuto per le innumerevoli eccellenze che è in grado di donare. Dobbiamo prendere esempio dai francesi che sono stati bravissimi a promuovere i propri vini e il proprio territorio. Oltre alle produzioni nel Collio, avete anche una tenuta ad Altomonte in Calabria: l’azienda Terre di Balbia. Con quali obiettivi e com’è nata la scelta di cimentarsi in una terra posta agli antipodi del Friuli?
Il tutto nasce dal desiderio di confrontarsi con un’altra realtà, un altro territorio. Provare l’emozione di ricercare la potenza e i profumi mediterranei che solo i rossi del sud riescono a dare. Negli anni a cavallo del 2000 c’era una grande richiesta di vini rossi, e allora invece di andare a impiantare vigneti sulle nostre colline, abbiamo deciso di puntare sulla Calabria.
Da subito, il nostro obiettivo non è stato quello di produrre vini “marmellatosi” stile California, tanto in voga al tempo, ma di ottenere prodotti che esaltassero le caratteristiche varietali del vitigno, vini eleganti e di territorio.

L'AdelchiSei stata una delle prime donne del vino che si sono impegnate con ruoli da protagonista nella propria azienda e anche in vari enti organizzativi del settore vino. Pensi che oggi, lungo la strada tracciata, le donne abbiamo raggiunto un ruolo di primo piano in un mondo da sempre monopolizzato dagli uomini?
Le donne hanno sempre lavorato in azienda, ma l’evoluzione del mercato ha portato alla valorizzazione del loro lavoro. Oggi c’è la necessità di comunicare a 360° l’azienda e il suo operato, e questo ha permesso alle donne di uscire dall’anonimato del lavoro di campagna e di cantina, ritagliandosi uno spazio importante di visibilità.
L’uomo è più legato all’aspetto produttivo. La donna invece è più portata alla comunicazione, riesce a esaltare l’aspetto umano del vino, a trasmetterne le emozioni che riesce a donare. Alla fine penso che in un’azienda ci debba essere un grande equilibrio fra la parte produttiva e quella comunicativa. Non solo comunicazione però. Oggi ci sono anche bravissime donne enotecniche che dirigono e guidano le proprie aziende con amore e professionalità ottenendo ottimi risultati.

Qual è il traguardo raggiunto che vi ha dato maggiori soddisfazioni e quale invece l’obiettivo che vi prefiggete per l’immediato futuro? Il grande traguardo raggiunto è stato quello di aver viste riconosciute le nostre grande capacità produttive nel territorio. Di aver valorizzato questo territorio e di aver contribuito a farlo conosce al di fuori dei confini locali. Per il futuro vogliamo continuare l’opera di tutela ambientale che abbiamo già intrapreso. Non siamo biologici, ma questo non significa che non abbiamo cura e rispetto della terra e del suo prodotto, e di conseguenza quindi, anche dei consumatori. In vigna massima attenzione all’ecosistema in tutte le operazioni che vengono eseguite. Macchine a tunnel ci permettono di fare trattamenti mirati che non vanno ad alterare l’equilibrio biologico della terra. Massimo utilizzo delle energie rinnovabili. Un tempo i nostri nonni lavoravano in modo naturale, non avevano macchinari e sostanze che potevano inquinare. Ecco il nostro obiettivo deve essere quello di lasciare ai nostri figli un ambiente sano, dove si possa vivere e lavorare bene in piena sintonia con la natura.

Oltre al vino, quali sono le tue passioni e i tuoi interessi? Mi piace vivere la vita a 360°. Mi piace fare un mucchio di cose. Principalmente adoro vedere crescere nostra figlia. Amo tantissimo visitare l’Italia e il Mondo. Ho viaggiato molto per lavoro, ma senza godere appieno delle bellezze dei posti in cui soggiornavo. Vorrei fare la vera turista, senza incombenze lavorative, animata dall’unico desiderio di conoscere nuovi posti e nuove culture che mi arricchiscano di tante nuove esperienze umane.

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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