Particolare Milano e la cucina dello chef Andrea Cutillo
Non amo la frenesia delle grandi metropoli, proprio per questo quando capita di scovare oasi di pace in pieno centro città non posso che godere appieno dell’esperienza. Qualche settimana fa ne ho trovata una a Milano, in via Gerolamo Tiraboschi 5, zona Porta Romana per intenderci. Sto parlando del Ristorante Particolare Milano, un locale sobrio, raffinato e al contempo vivo, concreto, con un cuore pulsante che batte incessantemente, un po’ come i ritmi del capoluogo meneghino.
La filosofia di casa è quella del viaggio, dell’incontro, dell’attenzione al “particolare” per l’appunto, da cui prende il nome. Quel dettaglio che ha colpito nel segno e che porterai per sempre con te: il profumo, il sapore, l’accostamento di colori, l’atmosfera calda della sera e un itinerario enogastronomico che permette di viaggiare senza muoversi dalla propria città.
La cucina dello chef Andrea Cutillo ha suscitato in me tutte queste emozioni, inoltre devo riconoscere che lo splendore del dehors esterno, ricco di vegetazione florida e variopinta, ha permesso realmente di staccare la spina. Ho trovato la sua cucina concreta e al contempo ricercata, attenta soprattutto alla valorizzazione della miglior materia prima selezionata con cura. Prende spunto dalle tante contaminazioni frutto di esperienze e viaggi del nostro protagonista, tuttavia tiene salde le proprie origini legate alla tradizione partenopea.
L’attenzione è rivolta alla stagionalità, lo chef ama sperimentare e arricchire i suoi piatti attraverso elementi, ed abbinamenti, sempre più ricercati al limite dell’azzardo se vogliamo; più avanti lo vedremo. Particolare è anche l’attenzione rivolta alla cucina vegetariana, ho cenato in compagnia di una persona che ha potuto gustare ben 5 portate di un menu preparato ad hoc. Otto i piatti proposti: quattro antipasti, due primi e due dolci.
Cominciamo dunque dal classico brindisi di benvenuto: Trentodoc 51,151 di Moser, devo riconoscere che ha colpito nel segno. Il nome celebra il Record dell’Ora conseguito da Francesco Moser a Città del Messico.
Degusto regolarmente questo ormai noto metodo classico trentino a base chardonnay, prodotto per la prima volta nel 1984, e lo ritengo tra i più affidabili e costanti del comprensorio. Le uve provengono dall’anfiteatro di vigneti di Maso Warth, ad un’altitudine di 350 metri, e dalla Valle di Cembra ad altitudini comprese tra 400-700 metri sul livello del mare. Perlage da manuale, naso che rimanda ai classici sentori degli spumanti prodotti in montagna: piccoli fiori di malga, erba appena falciata, lieviti, scorza di limone, calcare e frutta secca tostata. Acidità spinta che richiama l’agrume, bollicina avvolgente, sapidità e allungo finale a voler mostrare con prepotenza tutta la mineralità del terreno. Il vino ha contrastato alla perfezione i quattro antipasti proposti dallo chef.
Iniziamo dalla Tartare di rapa rossa, salicornia, sesamo, zucchine e zola dolce, un piatto ricco di sfumature che giocano a rincorrersi, una sinfonia gustativa dove non esistono primi violini.
Proseguiamo con la Panzanella…con il gelato! Pomodoro, frisella, gelato al basilico, cetrioli e sedano. Un piatto estivo all’ennesima potenza, fresco, ben dosato tra tendenza dolce e acida; le diverse consistenze regalano una piacevole esperienza gustativa. Finiti gli antipasti vegetariani si inizia con la carne, e considerando la vicinanza strategica non poteva che essere piemontese.
La prima proposta è un Carpaccio di scottona affumicata, burrata, rucola, caviale di aringa e gelato ai ricci di mare. Qui entra in gioco la voglia di sperimentare dello chef Andrea Cutillo, tuttavia si capisce subito che non siamo davanti ad un’improvvisazione ma al frutto di chissà quante prove in cucina. Gli elementi primari di questo piatto, intendo scottona-aringa-ricci, risultano ben bilanciati tra loro: scambi veloci tra sapidità, grassezza, note ferrose e tendenza dolce; ciò che stupisce è il finale di bocca pulito e pronto ad incontrare il boccone successivo.
Passiamo all’ultimo antipasto: Uovo 64° in crosta di panko, battuta di fassona piemontese e spinacino. Ho apprezzato particolarmente il messaggio che ha voluto dare lo chef, ovvero alternare piatti ricchi di contrasti, sperimentali per così dire, ad altri ben più “rassicuranti”, classici, tuttavia sempre ben presentati ed eseguiti. Risulta quasi superfluo commentarlo: la qualità della carne fa l’80% del piatto, la croccantezza dell’uovo fritto – data da una panatura eseguita a regola d’arte – crea un contrasto notevole e l’insieme risulta armonico, grazie anche alla presenza dello spinacino che dona la classica nota amaricante. Da segnalare, oltre all’impeccabile e raffinata mise en place dai toni pastello, la gentilezza di tutto il personale che va dal responsabile di sala ai camerieri.
A metà serata su Milano si è abbattuto un violento temporale e lo staff è riuscito a gestire con la dovuta calma e professionalità il dehors rimediando in maniera tempestiva.
Passiamo al secondo vino che ha accompagnato i due primi piatti proposti, sto parlando del Sicilia Rosato 2022 Cristo di Campobello. La nota azienda siciliana di Campobello di Licata (AG) riserva a questo vino uve 100% nero d’Avola, allevate su terreni calcarei e gessosi la cui altitudine varia tra i 230 e i 260 metri sul livello del mare. Tinta cerasuolo, media consistenza, al naso frutta fresca estiva, cipria, pepe rosa e un finale di bocca ammandorlato, preceduto da buona freschezza e un’impronta salina/salmastra piuttosto tipica.
Lasagnetta di verdure di stagione, besciamella e scamorza affumicata: si inizia con un piatto d’impostazione oserei dire quasi “casalinga”, nell’accezione nobile del termine s’intende. Mi ha riportato in parte all’infanzia perché questo primo lo mangiavo a casa dei miei nonni in Liguria, dove le verdure fresche non mancavano mai. Ho ritrovato esattamente quei sapori: la generosità intesa come succulenza grazie al caldo abbraccio della besciamella, il contrasto dato dalla croccantezza della parte vegetale.
Sulla stessa linea d’onda i Paccheri cacio e pepe, piselli, guanciale e menta: un piatto ben eseguito, ad iniziare dalla cremosità che avvolge la pasta, il crunch del guanciale e soprattutto la sapidità ben calibrata; non è scontato quest’ultimo aspetto, il più delle volte è facile eccedere in tal senso.
I dessert hanno da sempre l’ingrato compito di imprimere nella mente del commensale l’ultimo ricordo. Talvolta a mio avviso risultano stucchevoli e soprattutto calorici, ergo, alla fine di un pasto già ricco personalmente avverto più l’esigenza di un dolce rinfrescante, soprattutto d’estate, che un pezzo da novanta.
Senza saperlo lo chef ha esaudito il mio desiderio proponendo: Anguria, avocado, mango e bottarga, forse l’unica portata non perfettamente bilanciata in tema di equilibrio gustativo, la chiusura è risultata leggermente “metallica”.
Un ben più rassicurante Gelato allo yogurt, frutti di bosco, menta e zenzero. Un’ultima coccola in grado di imprimere nella mia mente un ricordo più che positivo su tutta l’esperienza vissuta al Ristorante Particolare Milano.
Andrea Li Calzi