Cosa fanno insieme un archeologo americano, e tre birrai bravi, di quelli che sanno di luppolo da lontano, uno, direttamente dalla soleggiata e fertile terra californiana, protagonista del panorama mondiale, e due tra i più affermati sulla scena nazionale? Potrebbero tranquillamente sedere davanti ad una buona birra, avvalendosi dell’esperienza degli ultimi tre (oltre che delle loro splendide produzioni) discorrendo di tanti episodi, più o meno avventurosi, della vita del primo ad esempio. E probabilmente sarà anche successo, e non si esclude possa ripetersi, ma ciò che ci interessa è ciò che nasce da questa interessante unione. In questo caso a spalancarci le porte del progetto non è Apriti Sesamo ma un’altra parola, certamente non meno suggestiva: Archeobirra. Ed ecco in breve svelati anche i protagonisti. Parliamo infatti del Prof. Patrick McGovern, archeologo dell’Università della Pennsylvania, Sam Calagione di ►Dogfish Head, Teo Musso del ►Baladin e Leonardo di Vincenzo di ►Birra del Borgo. Per gli appassionati amici del luppolo nomi noti, di comprovata esperienza e di altissima resa, del resto la loro produzione è nel Gotha brassicolo da anni. Teo Musso iniziò con forse la prima vera produzione artigianale in Italia: la leggendaria Baladin partì addirittura da un birrodotto sotterraneo, creato in casa ad hoc, più un parto originato dalla famosa necessità in grado di aguzzar l’ingegno. Era il lontano 1996 ed era solo l’inizio. Da lì le sue birre sono solo migliorate, fino a raggiungere l’ultimo piano di ►Eataly a New York, quale esponente del Made In Italy, fermentato e da bere.
Leonardo Di Vincenzo inizia invece la sua ricerca nel 1999, girando mezza Europa, alla riscoperta degli antichi stili: tra i vecchi mastri birrai tedeschi e gli estrosi belgi, fino al 2005, in cui Birra del Borgo nasce ufficialmente a Borgorose, un paese in provincia di Rieti. Anche in questo caso la discesa verso la notorietà è immediata, oltre che meritata: la ReAle, la DucAle, la Duchessa…non hanno bisogno di ulteriori presentazioni (e se non vi è mai capitato di assaggiarle, fatelo e godetevele, poi ne riparliamo!). Sam Calagione. Beh…personalmente provo un emozione pensando al fondatore della Dogfish Head, una delle personalità più influenti del settore. Vi sfido a nominare il suo nome a qualsiasi birrofilo che sia veramente tale, senza notare nei suoi occhi un bagliore degno di qualunque fan della prima ora di una grande rock band (o anche di una groupie, molte donne del settore non disdegnano il suo fascino)! E proprio come una rock star Sam gestisce la sua immagine, considerati anche i metodi comunicativi e di marketing statunitensi, in un Paese in cui il settore della birra artigianale gode di un certo seguito tra appassionati e professionisti oltre che di un’ottima credibilità. Il tridente aveva già brassato insieme in diverse occasioni, con risultati ottimali, tra i tanti, un nome: My Antonia, un Pils rimodellata dall’incontro di Borgo con Dogfish, caratterizzata da estrema generosità tutta americana nella luppolatura, da aromi erbacei e dal gusto amaro: insomma, una Imperial Pils strutturata e piuttosto particolare, ormai collaudata (per chi non avesse ancora provveduto, vale il discorso di su!). Tra le altre, molto fresca, nei tempi, e ci sia augura nelle temperature (ma in questo caso mai troppo, attenzione!), invece la loro collaborazione proprio in occasione dell’apertura di Eataly a Roma, cui vantano una presenza immancabile e prestigiosa.
Tornando però ai nostri tempi, o sarebbe più opportuno dire, a quelli antichi, in questo caso entra in scena un nuovo personaggio oltremodo interessante: McGovern, direttore scientifico del laboratorio di Archeologia Biomolecolare dell’Università della Pennsylvania, esperto di bevande fermentate nell’antichità e autore di pubblicazioni sul tema. Tra i suoi testi: L’archeologo e l’uva – vite e vino dal Neolitico alla Grecia arcaica, edito in Italia da Carocci. Il Professore inizia a collaborare con Sam nel 99, per la realizzazione delle ►Ancient Ale, birre prodotte con ingredienti legati a diversi siti archeologici, testimonianza viva (beh…in senso lato) della storia di leggendarie popolazioni ormai estinte. Il panorama speziato e creativo che ne emerge è vario e affascinante come le culture stesse che ne furono protagoniste: cacao Askinosie, miele, peperoncino, annatto per la Theobroma, concepita partendo dall’analisi chimica di frammenti di vasellame di 3000 anni fa trovati in Honduras o la Chateau Jiahu, creata a partire da ingredienti emersi in Cina dallo studio presso antiche tombe. Realizzata con frutta, biancospino, riso sake, orzo e miele. La prima che vide la luce, la Mida’s Touch, invece qualcuno di voi potrebbe averla assaggiata, e non ai tempi del re doratore, ma giusto un paio di settimane fa, sempre presso Eataly. La tomba cui si fa riferimento stavolta è in Turchia, e potrete immaginare a chi venga attribuita. Attraverso sentori predominanti di miele, uva moscato bianco e zafferano, questa produzione, secondo Calagione, soddisfa i gusti sia dei bevitori di birra che degli appassionati di chardonnay. Da queste premesse il passaggio in Italia è quasi obbligato. Non voglio essere tacciata di ridondanza rimandando ai secoli di storia ormai stratificati e immediatamente svelati quotidianamente ad ognuno di noi, per cui eviterò di farlo (pur sempre lanciando un piccolo sasso: testimonianze fin troppo spesso lasciate al degrado totale, ma questa è un’altra storia, e senza S maiuscola ahimè).
Vado invece dritta alla cotta di marzo, mille litri messi a fermentare in apposite anfore, per rivedere la luce a brevissimo. Se il nettare supererà il test, allora daremo il benvenuto ufficiale alla Etrusca, pronta per l’imbottigliamento e il debutto in società al ►Salone del Gusto di Torino (dal 25 al 29 ottobre) e l’ascesa sociale, con lo sbarco nel nuovo mondo (ancora una volta si parla di Eataly, templio – è il caso di dirlo – del gusto Made in Italy, intanto per il grande pubblico). Neanche gli antichi abitanti della Toscana e dell’Alto Lazio riuscirono in cotanta impresa! Curiosi degli ingredienti? Leonardo di Vincenzo, questa volta, avvalendosi della competenza dei soliti noti, ci presenta: grano Saragolla, antica varietà del nostro più comune grano duro, introdotto in Abruzzo nel 400 dopo Cristo, malto d’orzo (grani di orzo distico ritrovati nel Reatino, area di popoli sabini), nocciole, uva passa e melograni (originari del Pisano), resina naturale e miele. Per concludere, l’immancabile lievito, stavolta derivante da un ceppo millenario. Così almeno si narra, e proprio quando tra storia e leggenda si incontrano nasce il mito. Accostamenti quindi piuttosto insoliti, per una birra che lo stesso creatore definisce estrema, principalmente acida, con una incredibile varietà di profumi. Insomma, che aggiungere? La proveremo, del resto l’analisi storica si è sempre avvalsa di ricerca sul campo. E come i migliori testimoni dei tempi, vi faremo sapere, ma non preoccupatevi, non dovrete aspettare millenni. Nel frattempo, un consiglio: assaggiate le altre, chissà che non vi venga un’improvvisa passione per la…Storia!
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