Les Crêtes, Cave des Onze Communes e Didier Gerbelle: tre Cantine di Aymavilles unite per promuovere la Valle d’Aosta
Poco più di un mese fa, a cavallo della festa di San Martino dove “ogni mosto diventa vino” – così recita il famoso proverbio – si è tenuto ad Aymavilles (AO) un incoming dedicato a giornalisti ed esperti di settore organizzato dall’agenzia di comunicazione Gheusis S.r.l. di Spresiano (TV). Ricevuto l’invito a presenziare ho subito pensato a una piacevole coincidenza perché negli ultimi anni Lavinium ha approfondito molto la viticoltura valdostana, e continuerà a farlo.
Ho deciso dunque di raggiungere, per l’ennesima volta, le stupende colline attorno ad Aosta strappate miracolosamente alle possenti braccia del Monte Bianco, tra le vette più importanti al mondo. Artefici di tutto ciò: un territorio vitivinicolo, tre Cantine e due varietà autoctone. Quest’ultime protagoniste della classica vendemmia di San Martino, organizzata da Les Crêtes, Cave des Onze Communes e Didier Gerbelle – tre Aziende di Aymavilles (AO) – che assieme hanno deciso di vendemmiare le uve di alcuni dei propri filari di neret e fumin per creare un vino speciale da donare al Comune; verrà utilizzato in occasioni speciali perché prodotto in sole 500 bottiglie.
Aymavilles, con i suoi 80 ettari sui 350 complessivi della DOC Valle d’Aosta, è un borgo incantevole situato a circa 7 km da Aosta, diverse le icone che lo rappresentano: il primis il noto castello omonimo le cui origine risalgono al XIII secolo d.C. inoltre, percorrendo su e giù la provinciale che costeggia i filari, ci si rende conto di essere approdati ad una vera è propria “città vigneto”. Lo sguardo si perde letteralmente e l’attenzione è rapita da un vero e proprio senso di pace, sempre più raro oggigiorno, soprattutto per tutti coloro che vivono la frenesia della città. Ad ogni stagione i colori variano e il paesaggio mostra una bellezza struggente dove la natura domina attraverso montagne impetuose in grado di proteggere le colline, e dunque le vigne, sottostanti.
Questo è il vero motivo per cui torno sempre volentieri in Valle d’Aosta, oltre al fatto che amo la cucina locale e i vini che la accompagnano. Da queste parti produrre la nobile bevanda tanto cara a dio Bacco non è uno scherzo, basti pensare che un ettaro di vigneto richiede fino a 1200 ore di lavoro manuale. Valorizzare questo impegno è un preciso dovere soprattutto per tutti coloro che conoscono bene le tradizioni del luogo, non solo, anche la caparbietà delle genti che da secoli lottano per strappare alla montagna ettari di vigna che in un’epoca nemmeno troppo lontana era soprattutto fonte di sussistenza; calorie necessarie ad affrontare la dura vita nei campi, tra i filari, su è giù tra gli impervi e scoscesi sentieri caratterizzati da muretti a secco ad altimetrie che arrivano sino a mille metri, e con pendenze che sfiorano il 50%.
Oggigiorno la Valle d’Aosta conta appena 600 ettari vitati contro i 3000 del passato, il motivo di tale abbandono è insito nelle difficoltà di coltivare queste terre. Tuttavia, le nuove generazioni, spinte dalla voglia di affermarsi attraverso una materia nobile come il vino, e consapevoli dell’unicità di un terroir in parte unico al mondo, stanno investendo in questa direzione; la bellezza della regione a mio avviso funge da vera e propria calamita per i turisti di tutta Europa. Tornando per un istante al vino sopradescritto, frutto della vendemmia di San Martino, è corretto asserire che la scelta delle varietà a bacca rossa neret e fumin non è casuale: in primis per il fatto che le due cultivar sono tra le più antiche della Valle d’Aosta e con ogni probabilità possono considerarsi autoctone – anche se da queste parti non è mai facile stabilirlo con certezza – inoltre sono tardive e dotate di una buccia spessa che permette lo sviluppo della botritys cinerea, ovvero la cosiddetta muffa nobile. Il vino in questione, vendemmia 2022, non sarà disponibile prima del 2024 per ovvie ragioni date dalla vinificazione e conseguente affinamento.
Aver partecipato alla vendemmia, assieme ai colleghi giornalisti, mi ha permesso di assaggiare gli acini, carpire i profumi primari, constatare l’acidità che nonostante la vendemmia tardiva è risultata evidente e in perfetta contrapposizione alla dolcezza del frutto; insomma un’esperienza insolita che consiglio a tutti coloro che sono amanti del genere.
La masterclass si è tenuta venerdì 11 novembre ad Aymavilles presso Il Rifugio del Vino dell’Azienda Les Cretes, proprietà della famiglia Charrère, in uno scenario realmente suggestivo. Guardando al di là delle enormi vetrate della sala degustazione non è stato affatto semplice mantenere la concentrazione, soprattutto considerando la bellezza del paesaggio montano al tramonto. Rudy Sandi, ricercatore, laureato in agraria e impiegato in amministrazione regionale ha illustrato con dovizia di dettagli Il terroir vitivinicolo valdostano, l’incredibile varietà dei suoli sin dalla loro geologia con particolari accenni rivolti al comune di Aymavilles. Questo areale vitivinicolo è tra i più complessi al mondo.
Considerando il breve spazio che separa Pont-Saint Martin a Morgex, primo ed ultimo comune vitato della regione, (appena settanta km in linea d’aria) è possibile trovare un’infinità di formazioni rocciose che risalgono a periodi antecedenti all’orogenesi alpina. La particolarità rispetto ad altre aree vitate risiede nelle cosiddette tre grandi placche tettoniche: l’antico bacino oceanico, il continente europeo e quello africano. Circa 3000 km di estensione che 100 milioni di anni di anni fa, pian piano, si ridussero a 400 Km per via di una sorta di “accartocciamento a strati” provocando il sollevamento del complesso montuoso oggigiorno chiamato Alpi. Giulio Moriondo ha poi continuato la tavola rotonda: ex docente presso L’Institut Agricole Régional, noto istituto tecnico professionale agrario e al contempo centro di ricerca e sperimentazione situato ad Aosta.
Quest’ultimo ha illustrato vita, morte e miracoli di cultivar particolari come il blanc comun, vitigno a bacca bianca quasi scomparso che aziende quali Didier Gerbelle – tra i protagonisti dell’evento – stanno pian piano riscoprendo; indubbiamente c’è ancora tanto lavoro da fare in tal senso, non è per nulla facile il recupero di queste uve, tuttavia è un pezzo di storia valdostana che non va dimenticato.
L’intervento di Giulio Moriondo ha poi virato verso i ben più noti neret e fumin, varietà che negli ultimi anni stanno riscontrando sempre più interesse da parte del pubblico appassionato. A tal riguardo molte cantine del territorio hanno iniziato a vinificarle in purezza, mentre un tempo venivano utilizzate in blend per dare maggior struttura e colore al classico petit rouge, uva a bacca nera protagonista del Torrette, da sempre il più noto e amato vino della Valle d’Aosta. Impossibile parlare di questa regione senza citare i formaggi che vengono prodotti in alcuni dei pascoli di alta montagna più suggestivi del bel Paese, e di gran parte delle Alpi. Non dimentichiamo che se volessimo trascorrere una vacanza da queste parti in un sol viaggio: Cervino, Gran Paradiso, Monte Bianco e Monte Rosa per noi non avrebbero più segreti.
Tornando ai formaggi mi preme segnalare la partecipazione di Stefano Lunardi, titolare dell’Antica Latteria Erbavoglio di Aosta, studioso ed esperto di alpeggi di alta quota. Anno dopo anno è riuscito a creare una sorta di zonazione, simile per certi versi a quella del vino, con veri e propri cru di pascoli che variano per numero e qualità di erbe e fiori presenti, suoli e microclima. Indimenticabile il suo Ronquefleurs degustato in anteprima, un prodotto simile per certi versi alla ben più nota fontina. Trattasi di un formaggio a pasta semicotta prodotto da un piccolo casaro attorno ai primi di maggio; la particolarità risiede nel fatto che viene utilizzato soltanto il latte delle sue mucche, le stesse che per due settimane hanno brucato erba e fiori di un pascolo ben preciso. Degustato in purezza o sciolto modi raclette, su patate novelle di zona, è stato un trionfo di aromi, sapori, e soprattutto equilibrio gustativo tra parti acide, dolcezza e pulizia finale al palato.
Veniamo ora ai migliori assaggi del tour, con una breve introduzione delle tre Cantine.
Les Crêtes
Tra le più importanti realtà vitivinicole della Valle d’Aosta, da sempre in mano alla famiglia Charrère, consiglio vivamente la lettura del mio articolo – pubblicato lo scorso maggio – per approfondire la storia dell’Azienda; ho recensito inoltre ben 6 etichette della gamma, troverete tutti i link alla fine del pezzo. Durante il press tour di Aymavilles sono rimasto piacevolmente colpito da tre vini in particolare.
Il primo è un Metodo Classico Pas Dosé Rebàn a base petite arvine che sosta 36 mesi sui lieviti. Incanta già dal colore, tonalità paglierino chiaro e luminoso attraversato in controluce da un perlage fine, minuto, conseguenza diretta di un’ottima presa di spuma. Naso spigliato, fresco, dove l’agrume è protagonista con richiami continui ai piccoli fiori di montagna e una vena incessante di calcare. Tensione acida e succo, timbro per nulla ingombrante, tanto sale e una beva a tratti compulsiva per un metodo classico azzeccato e che a mio avviso farà parlare di sé.
Les Crêtes è stata tra le prime Cantine a credere nelle potenzialità dell’uva fumin vinificata in purezza, in particolare le etichette 2017 e 2003 – degustate durante la masterclass – non fanno altro che confermare che la strada è quella giusta. La cultivar in questione, inoltre, ha dimostrato di saper leggere le peculiarità del territorio e di poter reggere tranquillamente il prolungato affinamento in cantina.
Nel primo caso ritrovo frutti neri maturi e un floreale leggermente appassito con spezie dolci e cacao; nel secondo campione – a ben 19 anni dalla vendemmia – confettura di amarena e frutti di bosco con incursioni di terriccio bagnato, cuoio e una flebile nota ematica e di pepe rosa in chiusura. Entrambi estremamente vivi al palato con ovvie differenze a livello tannico, tanta sapidità e un finale coerente e privo di alcol percepito.
Didier Gerbelle
L’azienda vitivinicola Didier Gerbelle nasce ufficialmente nel 2006, tuttavia le origini risalgono all’inizio del XX° secolo perché la famiglia da sempre si occupa di viticoltura. Al timone troviamo Didier: diploma da enotecnico nel 2006 conseguito presso la nota scuola enologica di Alba, e tanta passione per le tradizioni del territorio tramandante dai nonni paterni e dal padre. L’azienda conta circa 2,8 ettari di vigneto, quasi interamente di proprietà, tra Aymavilles e Villeneuve per una produzione che si attesta attorno alle 15.000 bottiglie annue.
Tra i vini degustati mi ha particolarmente colpito il Valle d’Aosta PEQUE-NA! 2020, Cornalin (biotipo broblanc) 70%, premetta 15% e fumin 15%, da vigne di oltre 50 anni; affina un anno in botti di rovere di Slavonia da 15 hL. Un bel rubino acceso con unghia porpora, buona consistenza ed estratto, timbro olfattivo garbato tuttavia incisivo; i frutti neri inseguono la spezia e un accento balsamico rinfresca l’insieme, il quadro olfattivo è reso ancor più complesso da tocchi empireumatici e lievemente terrosi. Bocca distesa, morbidezza e slancio, acidità di tutto rispetto in un corpo moderato e un finale lungo ed appagante; a mio avviso non teme un moderato affinamento.
Cave des Onze Communes
Tra le Cooperative più dinamiche del bel Paese, la Cave des Onze Communes è nata nel 1990 dall’unione di 86 soci e dalla passione degli stessi per il proprio lavoro e territorio. La musica è leggermente cambiata, non in termini di impegno quanto di numeri: oggigiorno i soci sono 160 per un totale di 63 ettari di vigneti gestiti, l’estrema parcellizzazione è l’arma vincente. Gli stessi sono situati ad altimetrie non indifferenti, tra i 550 e gli 850 metri sul livello del mare, e distribuiti su undici comuni. La gamma è piuttosto vasta: 26 etichette diverse (22 appartenenti alla DOC Valle d’Aosta), oltre a un vino spumante e tre da tavola; in totale 500.000 bottiglie annue.
Conosco molto bene questa realtà vitivinicola di Aymavilles, apprezzo in particolare la gamma dei rossi esclusivamente vinificati in acciaio, li acquisto regolarmente dal 2005; talvolta li ho proposti ad amici e colleghi in degustazioni spesso “alla cieca” e, considerato l’ottimo rapporto qualità prezzo, i miei ospiti sono rimasti letteralmente increduli. Cave des Onze Communes, data la circostanza, presenta la gamma più alta di Torrette, Petite Arvine e infine il Vin des Mineurs. La vinificazione/affinamento di questi vini dura dieci mesi e viene svolta in vasche di granito del Monte Bianco. Segue un anno di riposo in bottiglia all’interno di locali appositi, ovvero ex miniere di magnetite di Cogne (AO), tra le più alte d’Europa (2000 mt.); la temperatura è costante e si attesta attorno ai 6°C.
Il vino che mi ha colpito di più è il Valle d’Aosta Torrette Superiore “Miniera” 2020, uve petit rouge in prevalenza. Rubino profondo, media trasparenza/consistenza, tonalità vivace. Inizialmente chiuso, dopo lenta ossigenazione emergono ricordo di frutta matura tra cui ciliegia e ribes rosso, caramella alla violetta, note di cosmesi e un richiamo alle erbe di montagna, al fieno di malga e un ricordo di sottobosco. Al palato la morbidezza del vino in questa fase è piuttosto accentuata, ravvivata da un tannino percettibile e da lampi di freschezza leggermente in ritardo rispetto alla sapidità, quest’ultima impegna il palato; alcol ben digerito, tuttavia è un vino ancora giovane, 12-18 mesi di affinamento ulteriore non potranno che giovare all’equilibrio d’insieme.
Andrea Li Calzi