Latour a Civitella 2020-1997, la verticale di uno dei più grandi vini bianchi d’Italia
Se qualcuno ha ancora dei dubbi sulle potenzialità d’invecchiamento dei vini bianchi italiani, farà bene a superare questo preconcetto, perché la “credenza” che vadano bevuti il prima possibile è ormai corrosa dai tarli. Premesso che questa visione appartiene non solo a molti fruitori del prezioso nettare ma, purtroppo, ancora a molti produttori. Tant’è che sono ancora pochissime le aziende che, a fianco dei rossi, dispongono in cantina di una storicizzazione dei propri vini bianchi. Lo si dà per scontato per quelli francesi, non sempre a ragione, mentre a casa nostra troppi non ci hanno creduto; eredità dei tempi in cui le cantine sociali li proponevano nei boccioni da due litri, chiusi con il tappo a vite, quelli sì non destinati all’invecchiamento. Per fortuna il mondo del vino è talmente variegato che tutti i luoghi comuni gli stanno inesorabilmente stretti.
Ieri, 13 aprile, sono stato un dei pochi fortunati a partecipare a una straordinaria verticale di uno dei miei bianchi del cuore, il Latour a Civitella di Sergio Mottura, ben 14 annate dalla 2020 a ritroso fino alla 1997, presso l’enoteca Trimani a Roma. Un vino il cui nome nasce da un incontro avvenuto il 18 giugno 1993 a Berlino, durante i festeggiamenti organizzati per gli 80 anni di Robert Mondavi. Il nostro Sergio era seduto allo stesso tavolo di Louis Fabrice Latour di Maison Louis Latour, precocemente scomparso il 7 settembre dello scorso anno, il quale rimase colpito dalla struttura del suo Grechetto ’92 vinificato in acciaio, che aveva portato per l’occasione. Fu lui a proporgli di utilizzare le barriques, poiché a sua opinione aveva le qualità per una lunga evoluzione.
Sergio rimase colpito da questa valutazione e, quando poco tempo dopo gli arrivarono 5 barriques donate proprio da Louis Fabrice, decise che era il momento di fare il passo, ma con intelligenza, ovvero il piccolo legno sarebbe stato usato solo come contributo all’eleganza del vino, senza mai sovrastarlo o caratterizzarlo, proprio secondo lo stile d’oltralpe.
Fu così che dette il nome al proprio vino “Latour a Civitella” con l’annata ’94, come forma di gratitudine. Chi l’avrebbe detto che 29 anni dopo, il figlio Giuseppe si sarebbe trovato davanti un documento giunto da Château Latour, che intimava di eliminare la parola “Latour” dal nome del vino in quanto brevettata e non utilizzabile da nessun altro?
Così, cari amici, dall’annata 2021 l’etichetta di questo grande vino dell’alto Lazio subirà una piccola modifica nel nome: LA TORRE A CIVITELLA, unica scelta possibile (e accettata dall’azienda di Bordeaux) per non cambiarlo radicalmente.
Questa bellissima verticale non solo ha rivelato tutte le qualità del vitigno grechetto su questi terreni di origine vulcanica, ma ha anche messo in evidenza, al di là delle diversità delle annate, una mano sempre più felice, frutto di tante vendemmie, che ha consentito all’enologo Gian Domenico Negro, sempre sotto lo sguardo attento di Sergio e del figlio Giuseppe, di inquadrare sempre meglio questo vino, raggiungendo un’eleganza che ha davvero pochi eguali.
L’impianto del grechetto destinato al Latour a Civitella parte da una selezione massale dai vigneti del Poggio della Costa, dove dimora il biotipo “G109”, ovvero il grechetto di Orvieto (l’altro è il G5 di Todi); al di là dei nomi, questo clone nel tempo ha acquisito dei tratti del tutto particolari, probabilmente anche per via del terreno dove dimora da tanti anni, in pratica si potrebbe chiamare “grechetto di Civitella”.
Una delle caratteristiche di questo grechetto è nell’acidità, che pur non essendo mai elevata (attorno al 5 per mille), è composta principalmente dall’acido tartarico, che è quello di maggiore qualità, mentre di malico ne ha pochissimo, quest’ultimo dà una maggiore sensazione di freschezza ma solo nel vino giovane, con il passare degli anni non riesce a fornire il giusto apporto all’evoluzione del vino; è il tartarico a dare nerbo e qualità, integrandosi molto bene con le altre componenti del vino.
Un’altra particolarità di questo grechetto è data dalla notevole presenza di polifenoli, che non contribuiscono nel dare colore ma un’indubbia percezione tannica (più antocianine che catechine, quindi maggiori sostanze antiossidanti). Il grechetto matura presto, infatti viene vendemmiato tra il 1° e il 15 settembre secondo le annate, periodo che non ha subito cambiamenti significativi nel tempo nonostante le estati sempre più calde.
Certamente il clima sempre più siccitoso ha posto il problema della scarsità di acqua, che l’azienda sta compensando con l’irrigazione di soccorso, che però viene effettuata non quando la pianta è già in stress, ma mesi prima, generalmente a marzo, proprio per evitare che vada in sofferenza. Biologica certificata dal 1996, si è arrivati a non dare più il rame in vigna dall’annata 2020, sia per evitare il suo accumulo nel terreno, sia per prolungare il più possibile la vita delle piante con sistemi naturali, senza uso di prodotti di sintesi.
In cantina pigiatura soffice dei grappoli interi, poi pressatura veloce a 0,2, 0,4 e 0,6 bar, in meno di 15 minuti viene ottenuto il vino fiore che va a fermentare in vasche d’acciaio e in barriques situate nelle grotte di tufo dell’azienda; con le ultime annate si è compreso che è molto utile un ulteriore passaggio in acciaio prima della permanenza in bottiglia.
LA VERTICALE
2020 – l’ultima a riportare in etichetta il nome “Latour”, prima ad essere degustata, ma come sempre durante le verticali si “ripassano” tutti i vini più volte, pertanto è affiorato chiaro tutto il processo evolutivo di questo vino, la messa a punto frutto di anni di lavoro, che si conclude in questo 2020 esemplare, giovanissimo ma con una classe che già si sente straordinaria, con al centro gli agrumi freschi (che sono un leit motiv di questo grechetto), un leggero filo tannico e una balsamicità naturale che coinvolge ed emoziona. Eleganza, equilibrio della materia, struttura in un certo senso “affinata”, meno ricca ma di qualità estrema. Un vino che i fortunati potranno godere anche fra vent’anni.
2019 – curiosamente qui ho percepito qualcosa di salmastro, che ho ritrovato al palato in una sapidità spiccata, sfumature di menta, eucalipto, frutta a polpa bianca; si percepisce una leggera nota botritica, l’agrume maturo, lampi di frutta secca. Sorso stratificato, con buona freschezza e tocco tannico ben nascosto.
2016 – qui colpisce subito per una tinta più marcata, siamo ormai sul dorato, ma con una bella lucentezza; emergono note di idrocarburi, frutta esotica, pietra focaia, leggero zafferano, speziatura dolce che ricorda la cannella. Bocca piena e coinvolgente, c’è grassezza ma senza strafare, colpisce per una freschezza superiore alla media, che gli dà una bella spinta nel finale.
2015 – qui torna l’agrume, maturo ma non troppo, si sente un po’ la spinta alcolica (ma potrebbe dipendere anche dalla temperatura del vino che sta inevitabilmente salendo); rispetto ai precedenti sembra un po’ statico, come se non riuscisse ad avere quella progressione che caratterizza molte altre annate.
2014 – figlio di un’annata fredda e piovosa, decisamente atipica visto il cambiamento climatico iniziato in modo prepotente nel 2003, restituisce un vino sorprendente, fresco e con un’acidità spiccata, la cui età è perfettamente celata, agrumato e dinamico (forse anche merito del secondo passaggio in acciaio, iniziato proprio con questo millesimo), molto legato ai tratti varietali, si fa fatica a sentire che ha passato quasi un anno in barrique.
2011 – torna la sensazione botritica, delicata ma piacevole, poi erbe aromatiche, frutta a polpa gialla; intenso al palato, sorretto da una buona spinta fresca, ma anche sapida.
2010 – assaggiato in più occasioni continua a piacermi moltissimo, caratterizzato da eleganza, profondità, ampiezza e lunghezza, rimanda ancora ad erbe aromatiche, ma anche melone invernale, acacia, nocciola e pesca gialla. Legno assorbito perfettamente, sorso di grande finezza, lungo e avvolgente.
2007 – pur riuscendo ad esprimere la componente agrumata (candita), sembra leggermente appesantito e più maturo rispetto agli altri, ma parliamo di sfumature, poiché in tutta la batteria non ho trovato un solo vino che non sia interessante.
2006 – cedro e zafferano, afflati balsamici, ogni elemento appare risolto, compiuto e restituisce un sorso ricco, non elegante come le nuove annate, ma comunque di grande fascino.
2005 – oro caldo e profondo, torna la frutta secca e candita, i 18 anni trascorsi lo hanno reso un vino definito, sebbene qui il legno sembra averne caratterizzato alcuni tratti espressivi più di altri, non note boisé o tostate sia chiaro, ma quella parte un po’ dolce, burrosa che è fenomeno davvero raro in questi vini.
2004 – si va verso un accenno ambrato, indubbiamente il bouquet è più maturo e con minore spinta acida, la percezione tannica è più marcata, anche l’alcol si fa sentire, non sembra avere ancora molta strada davanti.
2002 – qui il colore torna sul dorato, torna la nota botritica, sensazioni che rimandano alla pasticceria, ai lieviti da forno, molto curioso e diverso dagli altri, comunque sorprendente e non stancante.
2000 – oro vivo, bouquet entusiasmante, ricco e variegato, si spazia dalle note botritiche di zafferano, alla frutta secca, ma anche ad agrumi dolci, il tutto con una freschezza che non ti aspetti da un vino di 23 anni! Vino pericolosamente stimolante, più lo avvicini a te e più si svuota il calice, è un’attrazione irresistibile…
1997 – è stata la prima annata che ho assaggiato del Latour nel lontano 2000, allora era giovane, nonostante sia lontano dalla classe delle ultime annate, è la dimostrazione vivente della tenuta di questo vino, ancora vivo, non arrivato, scusate se è poco!
Roberto Giuliani