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L’abbandono delle vigne in Valchiavenna e l’appello di Ivano e Daniele Gadola


Chiavenna negli anni '50Dal punto di vista squisitamente vitivinicolo la parte settentrionale della Lombardia che guarda alla Svizzera viene identificata nella Valtellina, quella lunga fascia in provincia di Sondrio che inizia a nord-est del Lago di Como e divide orizzontalmente le alpi Retiche dalle Orobie, fino al comune di Tirano. Riconosciuta da tutti come terra dove il nebbiolo trova una delle sue espressioni più magiche e irripetibili, presenta vigneti quasi totalmente terrazzati e impervi, che rappresentano un esempio di viticoltura eroica e formano una scenografia unica, fra le più belle di tutto lo Stivale, con la particolare disposizione sul solo versante nord (con le dovute differenze di esposizione), quello su cui si poggiano le alpi Retiche.
Ma tornando indietro verso l’estremità del Lago di Como, se invece di girare a destra per il Viadotto Valtellina, si tira dritto per Trivio Fuentes, una volta superato il Lago di Mezzola, si entra nella Valchiavenna, una valle stupenda delimitata a ovest dal fiume Mera e a est dall’arco alpino. Purtroppo in questo lembo di terra la vite sta progressivamente scomparendo, come ci raccontano Ivano e Daniele Gadola, padre e figlio che continuano a coltivare un fazzoletto di vigna dalla quale ricavano vino per la famiglia e gli amici.
Ivano è uno dei pochi viticoltori rimasti, i terrazzamenti vitati stanno cedendo il passo ai boschi e si sta perdendo un grande patrimonio viticolo tramandato di generazione in generazione.
Desidero riportarvi per intero quanto Ivano mi ha raccontato.

Antico torchio comunitario“In Valchiavenna, un tempo, il versante esposto al sole era tutto coltivato a vite, a tratti pure il versante opposto, anche se ombreggiato. Mi ricordo che tutto ciò durò fino agli inizi degli anni settanta, dopo subentrò il disinteresse per questo tipo di coltivazione che, effettuata su ripidi terrazzamenti, si dimostrava troppo faticosa; ormai il benessere economico raggiunto portava ad abbandonare questi terreni scomodi. In pochi anni il bosco si è mangiato tutto un grande lavoro che l’uomo certamente portava avanti da secoli; alcuni documenti notarili attestano la presenza di vigne a Chiavenna già dall’XI secolo (il più antico dei quali risale al 1016).
Naturalmente la bellezza del paesaggio ne ha risentito negativamente. Purtroppo, anche se la nostra è una zona a vocazione turistica, nessuno se ne è interessato; solo il Dipartimento di Geografia dell’Università degli Studi di Milano, nell’ambito di un più ampio progetto, ha effettuato alcuni studi sui versanti terrazzati della Valchiavenna.
Io e pochi altri stiamo resistendo anche se la produzione è di pochi ettolitri di vino per uso familiare; esiste solo una piccola azienda vitivinicola che ha ripristinato piccoli vigneti. La fatica è sempre maggiore perché il bosco, avanzando, porta con sé altri problemi: piante che ombreggiano e animali che danneggiano. Faccio questo perché tengo alla salvaguardia dell’ambiente e all’insegnamento che la coltivazione della terra può dare ai miei figli.
Ma, sinceramente, se non possedessi un “crotto” non avrei coltivato la vite. Chiavenna sorse su una grande frana staccatasi in epoca remotissima. I massi fermatisi sul pendio e sul piano diedero origine ai crotti. Tra gli spiragli di tali massi soffia una corrente d’aria a temperatura costante, sia d’estate che d’inverno, intorno agli 8°C. Queste cavità, da non confondersi con le normali cantine, sono ottime per la conservazione e maturazione del vino. Il crotto ha favorito l’economia della nostra valle nei secoli scorsi. Poteva essere ben conservato il vino prodotto ed anche la birra; Chiavenna infatti nel 1800 (prima dell’invenzione del frigorifero) produceva il 30% della birra nazionale.
Questo fenomeno naturale è presente anche in altre parti d’Italia e d’Europa, ma è la Valchiavenna che detiene il primato mondiale della maggior concentrazione. Coltivazione tradizionale a terrazzamentiLa temperatura costante all’interno dei crotti permette la conservazione del vino in modo del tutto naturale che è ciò che a me interessa; si può bere del vino genuino senza dover aggiungere conservanti o effettuare trattamenti particolari, la parola “solfiti” non so proprio che significato abbia.
In una società in cui si dà sempre più importanza alla propria salute ed alla ricerca di prodotti sani tutto questo potrebbe essere un punto di forza, forse il punto centrale. Quando mi capita di regalare delle bottiglie del mio vino consiglio di conservarle in frigorifero o, se si è in periodi freddi, in locali bui con temperature non superiori agli 11°C e noto che questo vincolo le fa apprezzare di più perché si tratta di un segno di genuinità.
Semmai si potesse in futuro riprendere un progetto di viticoltura in Valchiavenna esso non deve essere finalizzato ad un gran profitto perché, coltivando su terrazzamenti, il costo della mano d’opera inciderebbe parecchio, ma dovrebbe essere inserito in un progetto globale di turismo locale, un turismo ecologico ad uso degli appassionati della natura e dei suoi prodotti.
Ma sempre più mi rendo conto che tutto ciò forse è solo un sogno. In loco manca la cultura necessaria per queste scelte; di interesse e di fondi pubblici poi non se ne parla proprio.
Ci si deve arrendere? Me lo domando spesso, ma se penso ai momenti della vendemmia, a quando faccio assaggiare il vino, a quando mostro le mie vigne, a quando regalo qualche bottiglia, mi dico che peccato perdere queste occasioni di rapporto umano”.

E ora una serie di immagini che mostrano la situazione dei vigneti prima e dopo l’abbandono, di alcuni vigneti ancora in essere, dei crotti e di un antico torchio comunitario ancora ben conservato.

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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