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Keith Jarrett ieri a Roma: un gigante fra flash inopportuni

Keith Jarrett

Ci sono cose che ho la fortuna di percepire in anticipo, non so perché ciò accada, ma sentivo che il concerto che ieri avrebbe eseguito il pianista di Allentown, settantuno anni l’8 maggio e quasi sessanta di professionismo, sarebbe stato grandioso, certamente il migliore che abbia eseguito a Roma, ma anche uno dei più coinvolgenti di tutta la sua lunga vita di artista, anche chi non era presente ieri all’Auditorium, avrà modo di ascoltarlo perché è stato interamente registrato.
Siamo molto lontani dai tempi del Köln Concert, concerto totalmente improvvisato all’età di 30 anni e album più venduto nella storia del pianoforte jazz solistico (3 milioni e mezzo di copie), oggi il maestro suona brani brevi ma di un’intensità e profondità senza pari, capace di toccare le corde delle emozioni più nascoste.
Purtroppo, però, il mondo non ha avuto la sua stessa evoluzione, siamo nell’era tecnologica, dei social, dei selfies, dell’esisto solo io e gli altri devono ruotare intorno a me e al mio ego, è un’epoca in cui il rispetto, l’educazione, la disciplina, il senso collettivo, non esistono più, osservi la gente che cammina o guida l’auto continuamente con gli occhi puntati sullo smartphone, che ai concerti passa il tempo a filmare, perché deve condividere con ipotetici amici o familiari non presenti, ma che, così facendo, non è mai al 100% nella realtà del momento e non si pone mai la domanda se quello schermo illuminato possa dare fastidio a chi, invece, il concerto vorrebbe goderselo senza interferenze o distrazioni.
Ma qui, alla performance di Keith Jarrett, certamente uno dei musicisti più famosi, chi sceglie di venirlo ad ascoltare pagando cifre da star del pop, non può non sapere quali siano le sue necessità, che puntualmente richiede ad ogni suo concerto.
Ma anche ammesso che non lo conosca, che non sappia che quest’uomo, quando suona in pubblico, ha l’esigenza della massima concentrazione, tanto più in quanto appena si siede si lascia andare a viaggi sonori ancora oggi in assoluta libertà, ieri non c’erano scusanti perché all’inizio sia della prima che della seconda parte del recital, una persona dello staff ha chiaramente spiegato al pubblico, sia in italiano che in inglese, che si trattava di un concerto che sarebbe stato interamente registrato, che l’artista chiedeva il massimo rispetto, di non scattare foto, di non effettuare riprese video, di spegnere i cellulari, possibilmente anche di non tossire (cosa sempre vana, perché puntualmente, nei momenti clou arriva il colpo di tosse, amplificato dalle grandi dimensioni della sala). Era così evidente quanto fosse importante e categorica questa richiesta, che non erano presenti in sala neanche i consueti fotografi professionisti.
E invece niente, mentre Jarrett ci regalava momenti magici, ricordandoci la sua straordinaria conoscenza della musica, da più punti della Sala Santa Cecilia, qualcuno faceva brevi riprese di nascosto, qualcuno si faceva il selfie con il partner per far vedere che c’era, qualcuno ha pensato bene di usare il cellulare per scattare alcune foto, senza neanche eliminare l’inutile flash (possibile che ancora oggi, in quest’era tanto tecnologica, ma a quanto pare assai poco compresa, molti non sappiano che la portata di un flash non professionale è di pochissimi metri?), uno di essi era proprio di fronte all’artista!
La conseguenza è stata che, appena terminato il brano, Jarrett è andato al microfono è ha chiaramente espresso tutto il suo disappunto, dicendo che “chi ha preferito scattare foto ignorando la sua richiesta è come un bambino con un giocattolo, e si deve prendere la responsabilità se a causa sua il concerto si ferma qui”.
E’ uscito dalla sala a metà del secondo tempo, poi, mentre la folla che riempiva tutti i posti disponibili in piedi applaudiva in piedi e pregava che tornasse, si è ripresentato e ha messo un ulteriore carico al suo discorso, perché il rispetto è tutto, ma a quanto pare qualcuno non si è posto minimamente la domanda se il suo gesto fosse del tutto fuori luogo, inopportuno.
E’ riandato via, ma il pubblico non si è rassegnato e a viva voce lo ha convinto a tornare ancora sul palco e, questa volta, ha suonato ancora.
Per fortuna il Jarrett di oggi non è quello di 30 anni fa, in cui non ci sarebbe stato nulla da fare, così ci ha regalato una “Over the Rainbow” strepitosa e poi un altro brano toccante e appassionato.
E nonostante l’increscioso accaduto (ho da più parti sentito imprecare contro quella persona), mentre il maestro eseguiva il secondo brano, da un’altra parte della sala è scattato un altro flash, a dimostrazione che la stupidità umana è senza limiti…
Ci sarebbe stato, ne sono sicuro, un finale del tutto diverso, con almeno un paio di brani in più, peccato davvero perché ieri Jarrett era in grazia di Dio, una serata comunque memorabile, di cui alcuni non si sono certamente accorti.

Roberto Giuliani

Roberto Giuliani

Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore informatico. Ma la sua vera natura non si è mai spenta del tutto, tanto che sin da ragazzo si è appassionato alla fotografia e venticinque anni fa è rimasto folgorato dal mondo del vino, si è diplomato sommelier e con Maurizio Taglioni ha fondato Lavinium, una delle prime riviste enogastronomiche del web, alla quale si dedica tutt’ora anima e corpo in qualità di direttore editoriale. Collabora anche con altre riviste web e ha contribuito in più occasioni alla stesura di libri e allo svolgimento di eventi enoici. Dal 2011 fa parte del gruppo Garantito Igp.

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