Le cosiddette cene di gala che seguono le degustazioni e le anteprime dei vini sono vere e proprie armi di distrazione di massa per noi giornalisti. Quasi sempre finisce infatti che, tra strette di mano, rimpatriate, chiacchiere coi commensali, palato e concentrazione provati dagli assaggi precedenti e campioni che passano di tavolo in tavolo senza troppo riguardo, talvolta si presti poca attenzione a ciò che ti servono. E solo dopo, quando mettendo il bicchiere al naso e in bocca ti accorgi che stai bevendo qualcosa di notevole, ti rendi conto che la bottiglia si è perduta chissà dove, senza che tu ne prendessi nota. Ed è ormai irrecuperabile. È esattamente ciò che mi è successo al Teatro Signorelli di Cortona, durante il convivio dopo l’anteprima del Cortona Syrah Doc 2023: arriva veloce il sommelier col vino in mano, annoto in fetta e furia il nome su un foglietto, con la coda dell’occhio colgo l’annata 2003, ho il cellulare in tasca, niente foto e proseguo la cena. Finita la pietanza, assaggio e resto folgorato: è eccellente! Segue un’accurata annotazione delle caratteristiche organolettiche e l’affannosa quanto inutile ricerca della bottiglia. Il colore è granato, un po’ opaco ma profondo, con accenni purpurei. Al naso emerge a sorpresa vivo e rotondo, vigoroso, perfettamente integro, col frutto ben presente e quasi croccante, che si dilata in una lunga scia di sentori cangianti di spezie, tra accenni balsamici e dolci, poi perfino torbati e muschiati. In bocca colpiscono l’eleganza, la profondità e la lunghezza, che danno vita a un sorso avvolgente, con un finale quasi sapido e un’appagante sensazione di equilibrio. Da bere e ribere, insomma. Il mio approccio con il “Sole dei Padri 2003”, Syrah 100% da un’unica vigna a 450 metri di altitudine, pluripremiato vino dei Principi di Spadafora, azienda biologica in quel di Virzì (Palermo), è stato questo. Lo avevo già assaggiato in passato, ma certamente non di quest’annata remota. Che il produttore inserisce non a caso, e vende, tra le “storiche”. “Il Sole 2003 è figlio di due momenti diversi”, mi spiega Francesco Spadafora, che ho contattato in seguito. “O meglio, di due momenti di raccolta diversi. Le mie note dell’epoca mi dicono che la prima fu il 22 agosto e la seconda il primo settembre, mentre il diradamento dei grappoli avvenne intorno al 20 luglio. Come si capisce dal periodo, e me lo ricordo bene, non fu un’annata particolarmente calda, anzi rammento che non si riuscì a raccogliere un Cabernet decoroso proprio perché, poi, piovve molto. Il lavoro in vigna fu, come oggi, quasi scientifico: tutti i grappoli alla stessa altezza ed equidistanti tra loro, con pari luce ed ombra, così che potessero maturare bene. Quindi lavoro di forbici sul grappolo per accorciarne i baffi e la parte terminale, se era troppo allungata. Il grado babo al momento della raccolta era sui 22, perché la zona permette di avere sia alcol che freschezza e quindi preferisco sempre avere un’uva matura: non aggiungendo solforosa, ho bisogno di avere tanti polifenoli e tannini che fanno vivere la fermentazione in un loro mondo. A metà fermentazione ed a distanza di due giorni tra loro, faccio del delestage in modo che tutto il liquido attraversi la buccia, la quale macera per 15 giorni. Viene utilizzato solo lo sgrondo, così da poter separare la parte pigiata tranne la primissima. La vinificazione avviene in vasca di cemento, così come la malolattica. A quel tempo utilizzavo barrique da 225 litri e di primo e secondo anno, dove il vino è rimasto per ventiquattro mesi. Del resto, quando faccio un vino – conclude – non so mai quanto sia destinato a durare davvero, ma nel caso del Sole dei Padri so sempre di avere delle buone garanzie di longevità, perché le uve stanno a oltre 400 mt di altitudine ed esposte a nord, su una terra sabbiosa. Col Sole dei Padri ricordo infatti di avere partecipato a tante degustazioni alla cieca e ho sempre scoperto, con una certa meraviglia, che spesso risulta un prodotto non ricondotto a una terra considerata calda come la nostra. Credo ciò sia dovuto all’idea dominante, ma errata, che in quest’isola si abbia un solo clima e un solo terroir”.
Stefano Tesi
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gli altri per Cucina Italiana, Meridiani del gusto, Viaggi & Sapori, Bell’Italia. Collabora per Civiltà del Bere, Dove, Corriere Vinicolo, Guida Ristoranti dell’Espresso, oltre a curare la sua blog-zine Alta fedeltà. È assaggiatore professionista di olio extravergine. Fa parte del gruppo Garantito Igp.
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