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Il nuovo percorso dell’Orvieto

Vista aerea Orvieto
Vista aerea di Civitella d’Agliano

Il bianco secco più famoso dell’Italia centrale, un passato ricco di gloria ma, ahimé, un presente piuttosto scarno in termini di qualità. La vocazione enoica dell’Orvieto è già nota fin dai tempi in cui gli Etruschi, evoluta e misteriosa civiltà stabilitasi da quelle parti, scava le cantine nelle balze di tufo su cui poggia la cittadina umbra. È con loro che prende avvio quel processo “enotrizzazione” del paesaggio, tanto che le lodi di tale territorio vengono decantate anche da Plinio il Vecchio e da Marziale.

Orvieto e il Duomo visti dalle vigne di Le Velette
Orvieto e il Duomo visti dalle vigne di Le Velette

La notorietà, del resto, è già sconfinata nel mito alla fine del Medio Evo, quando soprattutto il Pinturicchio (per il duomo), ma anche il Pinturicchio nella non troppo distante Città della Pieve, sono soliti chiedere addirittura del vino in pagamento, sia pur parziale, dei loro dipinti: consuetudine, a quanto pare, piuttosto comune fra gli artisti del passato tanto più che, in Umbria come accade spesso e volentieri in altre regioni d’Italia, il vino viene prodotto in grosse quantità.

Corrado Bottai
Corrado Bottai

L’Orvieto, allora, è un vino morbido abboccato che incontra il gusto di tanti consumatori: non si tratta, però, soltanto di una questione di gusto, è la natura stessa che in quella zona determina la creazione di vini lievemente dolci. Le nebbie che si creano d’autunno nel bacino del torrente Paglia favoriscono la formazione della Botrytis cinerea, la muffa nobile che, come si sa, fa grandi i due più grandi il Tokaji e il Sauternes. E, non a caso, ricerche abbastanza recenti, hanno dimostrato che per effetto combinato della natura del terreno, dei lieviti spontanei e delle fresche cantine di tufo dove fermentava, il vino di Orvieto conteneva inevitabilmente zuccheri residui. E vino delicatamente dolce, imbottigliato in un fiasco rivestito di paglia, di linea piuttosto tozza, chiamato “pulcianella”, l’Orvieto è rimasto fino al secondo dopoguerra.

Leon Zwecker
Leon Zwecker

La svolta è avvenuta in coincidenza con il riconoscimento della DOC, la proliferazione dei vigneti, la nascita di nuovi produttori: il gusto prevalente ha orientato la produzione verso la versione secca. E il pulcinella, come il fiasco del Chianti, è gradualmente scomparso per due motivi: uno produttivo, poiché creava grossi problemi alle linee di imbottigliamento veloce, l’altro di gusto, in quanto appariva un po’ tanto banale per il nuovo corso.

Cantine Neri

Un nuovo ciclo che lo ha portato in vicolo buio da cui non è ancora uscito. La sua sventura è stata proprio la mancanza di originalità: in mancanza del suo carattere rustico e agreste si è rivelato uno dei tanti bianchi italiani, e la strada della riqualificazione è un percorso maledettamente arduo e complicato.

Sergio Mottura
Sergio Mottura

Circa un anno e mezzo fa, a tal proposito, cinque viticoltori dell’Orvieto hanno creato un manifesto “Oltre le Radici della Vite”, non per dettare dogmi o regole, bensì per condividere dei principi culturali e soprattutto scambiandosi punti di vista, condividendo esperienze, legati dall’entusiasmo e da una autentica complicità.

Sergio Mottura nel nuovo vigneto
Sergio Mottura nel nuovo vigneto

Una parte di loro – Corrado e Giulio Bottai della Tenuta Le Velette e Leon Zwecker di Madonna del Latte – possiede vigne su terreni vulcanici, gli altri come Enrico Neri di Cantine Neri, Giovanni e Pietro Dubini del Palazzone, Giuseppe e Sergio Mottura dell’azienda Sergio Mottura su zone argillose o alluvionali. È attraverso la differenza e le distinte angolature della stessa visione che, però, il gruppo di amici può dare vita ad un racconto identitario e lungimirante.

Giovanni Dubini
Giovanni Dubini

Non certo un’associazione, né tantomeno un comitato, ma una semplice rete d’imprese al fine di costruire un circuito di credibilità, conoscenza e fiducia. E magari, che tale ritorno di stima nelle uve autoctone, come il Grechetto e il Procanico, arcigne, fibrose, corpulente, robuste, dotate di incisivo carattere e di forme espressive esuberanti accompagnate a un’eleganza talvolta imprevedibile, sia davvero augurabile.

Lele Gobbi

Lele Gobbi

Torinese, sognatore, osservatore, escursionista, scrittore. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Torino e Master in “Non profit” presso la SDA Bocconi di Milano. Per otto anni si è impegnato in progetti con l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, occupandosi di raccolta fondi, marketing, comunicazione, relazioni esterne, degustazioni e soprattutto di organizzazione di viaggi educativi in Italia e nel mondo. Scrive per Spirito diVino, James Magazine, La Cucina Italiana, Viaggiare con Gusto, Senza Filtro. È consulente per agenzie di marketing e comunicazione. Ha viaggiato in tutti i continenti alla ricerca dei cibi più vari, dei mercati più pittoreschi e dei popoli più antichi. Ama lo sport (sci e basket), la montagna (le Alpi) e l'arte contemporanea.

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