Identità Golose 2019 e i Trentodoc di Cantine Ferrari
Fotografie di Danila Atzeni
La quindicesima edizione del Congresso di Cucina d’Autore Identità Golose Milano 2019 si è svolta dal 23 al 25 marzo, le sale del MiCo-Milano Congressi di via Gattamelata hanno ospitato un pubblico piuttosto eterogeneo composto perlopiù da mass media, appassionati, operatori di settore, blogger e studenti. L’evento, al pari di altre importanti manifestazioni che si tengono annualmente a Londra, New York, Chicago, Los Angeles e Shanghai, celebra nel gennaio 2005 la sua prima edizione a Palazzo Mezzanotte. Il progetto, nato dall’intuizione del suo ideatore e curatore Paolo Marchi è molto chiaro: creare un evento che coinvolga in Italia i più grandi professionisti della cucina e della pasticceria. Molti i grandi nomi che negli anni si sono avvicendati, da Massimo Bottura a Carlo Cracco, da Davide Scabin a Massimiliano Alajmo, Heinz Beck e Nadia Santini. Vista l’originalità del lavoro svolto da questi cuochi nel corso degli anni e l’indiscutibile capacità di valorizzare l’eccezionalità delle grandi materie prime italiane, altri chef internazionali hanno deciso di confrontarsi ad armi pari, ed ecco giustificata la loro presenza sin dalla prima edizione, nomi davvero importanti della cucina internazionale: Ferran Adrià, Andoni Luis Aduriz e Quique Dacosta dalla Spagna, Jean-Luc Fau dalla Francia, Wylie Dufresne dagli Stati Uniti.
Visto il successo delle prime edizioni ogni anno il congresso milanese è cresciuto d’importanza, aumentano esponenzialmente gli ingressi, ma soprattutto le adesioni da parte dei vari produttori d’eccellenze gastronomiche di tutto lo Stivale. Si moltiplicano le lezioni, le giornate del congresso, i seminari d’approfondimento e cambia la sede, da Palazzo Mezzanotte al già citato MiCo-Milano Congressi, con spazi più ampi ed idonei. Per rendere l’idea in 14 edizioni hanno presenziato 800 protagonisti, tra cuochi, pizzaioli e pasticcieri da più di 20 Paesi al mondo, aumentano anche le iniziative collaterali come la Guida online dei Ristoranti di Identità Golose, Identità Expo, Identità Future, Milano FOOD&WINE Festival e Ristoranti Fuori Congresso.
Il successo mondiale di questa grande manifestazione ha generato la nascita di Identità Golose Milano, sito in via Romagnosi 3 a Milano, il primo Hub internazionale dedicato all’alta gastronomia, un vero e proprio centro polifunzionale per eventi culturali e gastronomici dedicati alla ristorazione, con aree apposite per la didattica e per la formazione.
Il programma di sabato 23 marzo è quello che mi ha visto coinvolto direttamente, ospite delle storiche Cantine Ferrari di Trento di proprietà della famiglia Lunelli, presso l’area Main Sponsor dell’evento, dove erano presenti con i rispettivi stand, altri grossi nomi come Lavazza, San Pellegrino, Grana Padano, solo per citare alcuni esempi.
Da Moreno Cedroni a Jordi Butron, Antonia Klugmann e Yoji Tokuyoshi, questi sono solo alcuni dei protagonisti che hanno condotto i seminari a tema previsti. Questa giornata, la prima delle tre previste, ha visto l’esordio di due nuove sezioni a tema: Identità TV – 60 anni di alta qualità a tavola, una riflessione sul ruolo e la funzione dei programmi più seguiti dedicati alla cucina, e Contaminazioni, un seminario di approfondimento dove otto chef si sono confrontati sulle frontiere del gusto. È la volta dei grandi classici della rassegna, quali Dossier Dessert e Identità di Gelato sul fronte dolce, inoltre Identità Naturali, dedicata alla cucina green e le bollicine di Identità di Champagne evento organizzato dalla Maison Veuve Clicquot.
La giornata di domenica 23 Marzo ha visto protagonista il tema Fattore Umano – Costruire Nuove Memorie, molti i cognomi noti quali Cracco, Alajmo, Berton, Oldani e Beck, il peruviano Martinez e il turco Gürs, oltre all’esordio di altri grandi nomi internazionali quali Avillez, Raue, Guerrero. Interessante l’omaggio alla lunga carriera di uno dei pionieri dell’alta cucina Alain Ducasse. Vista l’importanza della materia prima e la lunga tradizione italiana uno dei seminari più seguiti è stato Identità di Pasta, che si contrappone solo idealmente al tema dell’evento Nuove Identità, Italia-Mondo. Altri grandi classici della rassegna si sono avvicendati, da Identità di Sala a Identità di Formaggio, interessante e molto sentito l’esordio di Identità di Carne.
La kermesse si è conclusa il terzo e ultimo giorno, lunedì 25. Immancabile come tutti gli anni, l’intervento di Massimo Bottura, uno dei cuochi italiani più importanti a livello mondiale, 1° classificato per ben due volte nella famosa classifica “The World’s 50 Best Restaurants“, assieme a lui altri grandi nomi: Dominique Crenn, Riccardo Camanini, Niko Romito, Enrique Olvera. Interessanti e innovative le “lezioni a due”, dove ad esempio Lopriore e Gorini, maestro e allievo, si sono confrontati, stessa cosa hanno fatto Bowerman e Marrocco. Non poteva mancare all’appello Mauro Uliassi. Molto interessante e attuale il tema Innovazione nel Mondo della Pasta raccontato da Domingo Schingaro e Andrea Ribaldone. Un argomento sempre più discusso, spesso protagonista di diversi dibattiti e programmi televisivi, è stato affrontato egregiamente nel seminario L’arte dell’ospitalità, grande Italia nel mondo, con Enrico Baronetto, Massimo Bottura, Giorgio Locatelli, Matteo Lunelli, Paolo Marchi e Alessandro Perricone. Per gli amanti del dolce, magnifica ossessione, Corrado Assenza e Gianluca Fusto hanno condotto Pasticceria italiana contemporanea in compagnia di altri sei professionisti. Per chi come me ama visceralmente il salato, l’incontro Identità di Pane e di Pizza ha visto protagonisti ben tredici relatori tra grandi maestri e volti nuovi.
Al di là dei seminari tematici dedicati all’alta cucina, svolti durante tutto l’arco del congresso, molti espositori hanno preso parte alla manifestazione, professionisti giunti da tutt’Italia ed in parte Europa, che gravitano attorno al mondo dell’enogastronomia e della ristorazione. Molte le aziende note, altre emergenti, diversi consorzi legati alla tradizione casearia, vitivinicola, ittica, dolciaria, olearia insomma tutto ciò che riconduce letteralmente al concetto espresso in maniera egregia dal titolo della rassegna: “Identità Golose”, ma aggiungerei “golosi in cerca di un’identità. Personalmente, non avendola ancora trovata, ho avuto modo di cercarla in diversi stand, non tutti purtroppo.
Ho iniziato di buona lena con lo stand dell’azienda Villani Salumi, la medaglia d’oro va senza dubbio al Culatello di Zibello DOP che possiede un equilibrio gustativo, tra tendenza dolce e sapidità, da vero fuoriclasse. E’ la volta dell’azienda Barbera che produce Olio Extra Vergine di Oliva in Sicilia, stupende le selezioni da monocultivar Biancolilla e Nocellara, freschissime inoltre le ostriche Speciale de Claire del bacino Merennes- Oleron, nel Dipartimento Charente-Maritime, assaggiate nello stand della Maison D’Huîtres Amélie, senza alcun dubbio le più buone assaggiate in vita mia. La lista degli stand visitati è piuttosto lunga ed è stato piacevole riscontare un livello di qualità davvero alto su tutti i prodotti. L’apice, da grande appassionato di pasta, l’ho raggiunto allo stand Monograno Felicetti dove ho degustato un piatto di spaghetti viola alla barbabietola e scaglie di baccalà, abbinato a un ottimo Trentodoc di Cantina Endrizzi, vino dalla beva irresistibile e dal profilo slanciato con sentori di erbe di montagna e agrumi, un finale decisamente fresco e sapido ha contrastato alla perfezione la tendenza dolce del piatto.
Ma veniamo al motivo principale della mia partecipazione ad Identità Golose Milano 2019, l’occasione è nata da un invito esclusivo inviatomi da quella che considero da sempre una delle più importanti bandiere italiane al mondo in campo vitivinicolo, Cantine Ferrari di Trento, proprietà della famiglia Lunelli dal 1952, a mio avviso una vera istituzione del metodo classico e dell’arte della spumantizzazione. Ho accettato con piacere l’invito anche perché quest’azienda trentina, negli ultimi cinque anni, ha ampliato notevolmente la gamma aggiungendo nuovi prodotti che fino ad ora ho assaggiato solo in parte; quale migliore occasione dunque per scoprirli, magari comparandoli ad altri inossidabili Trentodoc che hanno reso celebre questa cantina in tutto il mondo. Gli appassionati di vino, e non solo, sanno benissimo cosa rappresenta ancor oggi il nome Giulio Ferrari riferito al metodo classico.
L’intuizione di questo famoso enologo fu illuminante, il costante approfondimento territoriale lo portò a scoprire che i terreni calcarei della suo amato Trentino non differivano poi molto da quelli della Champagne, le forme delle colline avevano declivi simili e le acque potevano percolare con grande facilità. Spinto da quest’idea decise di credere nelle potenzialità spumantistiche della zona, nel 1902 cominciò la produzione con barbatelle di chardonnay importate dalla Francia, assolutamente sconosciute in Trentino, ancor oggi il suo cognome è protagonista nelle tavole di molti italiani, soprattutto durante i brindisi di Natale e Capodanno. Da oltre mezzo secolo l’azienda è di proprietà della famiglia Lunelli, nel 1952 Giulio Ferrari decise di cedere la sua attività a Bruno Lunelli, titolare di un’enoteca a Trento, un bravissimo commerciante, il pioniere di questa famiglia, oggi siamo giunti alla terza generazione e Matteo, Camilla, Marcello e Alessandro continuano la lunga tradizione familiare con impegno, rigore e dedizione. I Lunelli, nel corso degli anni, sono riusciti, grazie ad una grande capacità imprenditoriale ed un eccezionale spirito di appartenenza familiare, ad elevare il marchio Ferrari a simbolo indiscusso del metodo classico italiano. Da non trascurare la fusione di qualche anno fa con un altro gruppo importantissimo nel panorama delle bollicine italiane, Bisol viticoltori in Valdobbiadene. Il Gruppo Lunelli attualmente possiede l’80% delle quote di quest’azienda, oltre a diversi altri marchi di cui è proprietaria: Tenute Lunelli, con vigneti anche in Toscana ed Umbria, Surgiva, Segnana, Casale Podernovo e Locanda Margon, raggiungendo così un’espansione commerciale importantissima a livello nazionale che la annovera come una delle aziende italiane più importanti al mondo, con oltre 100 milioni di euro di fatturato annuo, in crescita del 7% nel 2018.
Lo stand dell’azienda, Main Sponsor dell’evento Identità Golose Milano 2019, già al mio arrivo era gremito di persone nonostante la visita fosse solo su invito, l’impeccabile servizio dei sommelier Ais dava la possibilità di assaggiare le due etichette della linea “Maximum” dell’azienda, il Trentodoc Brut ed i Rosé, studiate principalmente per la ristorazione.
Ferrari Trentodoc “Maximum”
Questo vino deriva da un’accurata selezione di uve chardonnay raccolte manualmente nella prima metà di settembre e situate in tre distretti specifici, la Val d’Adige, la Val di Cembra e la Valle dei Laghi, alle pendici dei monti del Trentino, a 300-700 metri d’altitudine con esposizione a sud-est e sud-ovest. Sboccatura 2018, 36 mesi sui lieviti, il vino appartiene alla categoria brut, mostra già dal colore la sua vitalità, un paglierino vivace, luminoso, con sentori floreali che ricordano l’acacia, il biancospino e la frutta esotica fresca, lieve scorza d’agrume ed una vena balsamica molto elegante impreziosita da una sfumatura minerale che richiama il calcare. In bocca è molto equilibrato, la bolla risulta incisiva e solletica il palato, la sensazione fruttata restituisce morbidezza e pienezza gustativa in un finale che convince per freschezza e coerenza. @@@ 1/2
Ferrari Trentodoc “Maximum” Rosé
La seconda etichetta della linea “Maximum” è un brut rosé, frutto d’un assemblaggio dove il pinot nero domina (70%) con un saldo di chardonnay (30%), le uve vengono coltivate ad un’altitudine compresa tra i 300-600 metri alle pendici dei monti del Trentino, viene messo in commercio dopo 36 mesi di sosta sui propri lieviti. Sboccatura 2018, è un calice brillante, cerasuolo attraversato in controluce da lampi color rame. Parte quasi in sordina, i frutti rossi richiamano il ribes, la fragolina di bosco, con opportuna ossigenazione aumentano i sentori, e le note di frolla si alternano alla menta dolce in un finale che ricorda fortemente il terreno calcareo del trentino. @@@3/4
Scaldati i motori, come si suol dire, ho iniziato il mio viaggio nel vero e proprio emisfero Ferrari rappresentato dalla linea “Perlé”. A raggiungermi è stata Annalisa Toniatti, Digital Marketing Manager dell’azienda, mi ha fatto accomodare e con dovizia di dettagli mi ha illustrato il percorso. Tenterò di riassumerlo passo passo raccontando il mio punto di vista sulle sfumature che contraddistinguono l’intera gamma, una produzione curata interamente da Rubens Larentis, l’enologo che ha fatto la storia di questa cantina, una gamma oggi ancor più diversificata rispetto a quindici anni fa, periodo in cui mi sono avvicinato con molto interesse a questa realtà vitivinicola.
Ferrari Trentodoc “Perlé” 2011
La celebre etichetta dorata di Cantine Ferrari è un brut blanc de blancs millesimato prodotto da uve chardonnay in purezza, coltivate nei migliori vigneti di montagna posti nelle zone più vocate del Trentino, sosta 60 mesi sui lieviti ed è stato prodotto per la prima volta nel 1971. La sboccatura di questo campione è stata eseguita nel 2017, non fa parte della degustazione offerta dall’azienda, mi è semplicemente capitato di assaggiarla durante l’arco della giornata e ho trovato giusto inserirla nell’articolo. L’ulteriore affinamento in bottiglia post sboccatura di questo campione dona un equilibrio al vino che si sviluppa su tutti i fronti. Vinificazione esclusivamente svolta in acciaio, già dal colore si percepisce la qualità della materia, un paglierino luminoso attraversato da lampi oro antico, il perlage vivace e regolare lo rende particolarmente luminoso. Un naso che esordisce fruttato, generoso, l’ananas e la susina gialla si alternano a dolci note di miele d’acacia e frolla, una vena minerale di calcare anticipa la menta peperita ed il cedro candito. Una bollicina cremosa che si sviluppa orizzontalmente e convince per armonia gustativa, l’attacco è freschissimo, il retronasale coerente all’agrume, chiude lungo e sapido, non privo di quella leggiadria che ne invoglia la beva. @@@@
Ferrari Trentodoc “Perlé Zero” Cuvée Zero11
Uno degli ultimi nati in casa Ferrari è proprio il “Perlé Zero”, che appartiene all’omonima categoria, uno chardonnay in purezza frutto di un mosaico d’annate, in quest’etichetta, la seconda della sua storia, troviamo la 2004-2006-2008 e 2010. Prodotto nel 2011 e vinificato in acciaio, in questa cuveé viene impiegato anche il legno, il vino sosta sui propri lieviti per ben sei anni, la sboccatura è stata effettuata nel 2018. Un calice luminoso, solare, paglierino caldo attraversato da lampi oro, perlage da manuale, il naso è un profluvio di sentori freschi che rimandano alle montagne trentine, fiori di campo, fieno secco, eucalipto, ma anche tonalità dolci che ricordano la vaniglia bourbon, cioccolato bianco, pâtisserie, liquirizia in caramella, ananas candito. Sottile la vena minerale iodata. Un sorso lunghissimo che colpisce per timbro gustativo, sapidità, nerbo acido e cremosità del perlage, finale pulitissimo giocato su note balsamiche coerenti al naso. Stupenda l’evoluzione nel bicchiere anche a diversi minuti dalla mescita. Tra i migliori assaggi. @@@@@
Continuiamo la gamma con quella che da Cantine Ferrari viene definita la “Linea Riserve”, ed ecco un’altra nuova etichetta prodotta per la prima volta nel 2006.
Ferrari Trentodoc “Perlé Bianco” Riserva 2009
L’idea che sta alla base del brut “Perlé Bianco” è semplice e concreta, un po’ meno semplice realizzarla a mio avviso, perché gli enologi di Cantine Ferrari hanno voluto individuare solo quelle partite di chardonnay che posseggono caratteristiche idonee al lungo affinamento sui lieviti, si parla di ben 8 anni. Sboccatura 2018, già dal manto evidenzia la sua “saggezza”, il color dorato rincorre il paglierino e viceversa, le sfumature, amplificate da un perlage ricco e minuto, cambiano a seconda dell’angolazione. Il naso, complice annata piuttosto calda ma regolare in Trentino, sviluppa dolci note mature di pesca noce, susina gialla, ananas candito, un folata balsamica di mentolo rinfresca il quadro olfattivo, inspessito ulteriormente da ricordi di frolla, yogurt e miele d’acacia. Nonostante i diversi minuti dalla mescita il vino non riesce a tirar fuori quella territorialità a cui sono abituato, il sorso è sulla stessa linea d’onda, bolla setosa, morbidezza e cremosità in vantaggio sulla freschezza, che non latita assolutamente, ma fatica ad imporsi come di consueto rispetto ad una sapidità in leggero vantaggio. Un vino nel complesso equilibrato, ben fatto, richiama fortemente l’abbinamento gastronomico. @@@@
Ferrari Trentodoc “Perlé Nero” Riserva 2010
Divenuto negli anni un classico e prodotto per la prima volta nel 2002, il primo ed unico blanc de noirs dell’azienda è un millesimato extra brut frutto di quarant’anni di ricerca ed esperienza nei confronti di uno tra i vitigni più complessi del panorama vitivinicolo mondiale, il pinot nero. Quello di Cantine Ferrari è allevato nei migliori vigneti di famiglia, nelle zone più alte a circa 400 metri d’altitudine, nei pressi della celebre Villa Margon, Maso Orsi e Maso Valli. Vendemmia manuale a metà settembre, sosta almeno 6 anni sui lieviti, il campione degustato riporta sboccatura 2018. Un calice luminoso, algido nella sua tonalità paglierino che ammicca al dorato antico. Perlage particolarmente minuto e continuo anche a diversi minuti dalla mescita. La complessità del “Perlé Nero”, soprattutto in annate a cinque stelle come la 2010 è difficilmente replicabile, un’armonia perfetta tra le note calcaree e iodate e la purezza del frutto bianco che sa di ribes, pesca, cedro. Leggerissime note fumé vanno dall’incenso alla cera, ma ancora tabacco in foglie, pepe bianco, biancospino, davvero una grande complessità che evolve nel bicchiere. Il palato non è da meno, possiede densità gustativa ed una materia importante, si avverte da subito la freschezza che richiama l’agrume, successivamente si espande in bocca richiamando la frutta più carnosa in un finale lunghissimo e lievemente balsamico, incentrato sulla sapidità che richiama fortemente il territorio. @@@@@
Ferrari Trentodoc “Perlé Rosé” Riserva 2013
Continuiamo all’insegna del pinot nero protagonista con l’etichetta “Perlé Rosé”, una Riserva Brut Trentodoc che sosta 5 anni sui lieviti e vede a saldo anche una percentuale del 30% di uve chardonnay. I vigneti, accuratamente selezionati, sono situati alle pendici dei monti del Trentino a 300-600 metri d’altitudine, esposti a sud e sud-est. Vendemmia manuale a metà settembre e sboccatura 2018, il primo millesimo prodotto risale al 1993. Stando a quanto dichiara la scheda del sito che riporterò integralmente, l’annata 2013 è stata un’annata abbastanza regolare: ”A un inizio di primavera nella norma, segue un periodo di una piovosità eccezionale che ha messo a dura prova la professionalità dei viticoltori. L’arrivo dell’estate ha stabilizzato le condizioni metereologiche, e il sole ha riportato serenità e ottimismo nei vigneti. Il germogliamento delle viti, così come la fioritura, è avvenuto in ritardo ma è stato omogeneo e regolare. La maturazione delle uve nel mese di agosto è stata lenta, confermando una vendemmia medio-tardiva con produzione in aumento, buona sanità ed una qualità ottima.” A mio avviso è molto importante negli spumanti millesimati conoscere l’andamento di un’annata, non certo per farsi influenzare, ma per comprendere a pieno alcuni aspetti fondamentali che condizioneranno il vino stesso, si potrà farne tesoro per una serie di scelte in merito all’abbinamento gastronomico. Questo rosé, sboccatura 2018, è caratterizzato cromaticamente da sfumature rame e buccia di cipolla, una tonalità calda, vivace. Il consueto perlage fine lo si avverte anche al palato dove la grinta delle bollicine stuzzica enormemente i recettori del gusto. Il naso è sfaccettato e ricco di suggestioni minerali ferrose, una volta liberata la carbonica in eccedenza, viene alleggerito da un sentore dolce di cipria e talco mentolato. Con l’aumento della temperatura un frutto carnoso si palesa, distinguo la fragolina di bosco ed il ribes rosso, a chiudere una nota di pepe rosa estremamente fine. Il sorso risulta succoso, verticale ma al contempo pieno e persistente, in una gara tra sapidità e freschezza che finisce pari al fotofinish. @@@@ ½
Arrivati a questo punto della degustazione, i sommelier Ais scherzosamente mi domandando:” Ce la fai ancora? Perché adesso arriva il bello.” Pronta la mia risposta: ”Ovvio! Come chiedere a Winnie the Pooh se vuole ancora del miele”. Scherzi a parte le ultime due etichette fanno parte della linea “Collezione”, rappresentano due universi paralleli ed al contempo diametralmente opposti, un confronto tra il concetto d’innovazione ed il rassicurante classicismo del Maradona degli spumanti italiani.
Ferrari Trentodoc “Riserva Lunelli” 2009
Ancora una riserva, ma questa volta extra brut. Un millesimato da sole uve chardonnay, allevate in vigneti di proprietà esclusiva della famiglia Lunelli alle pendici dei monti del Trentino, un vino che è sintesi di innovazione e tradizione. Il rigore produttivo di Cantine Ferrari incontra qui un stile enologico del tutto particolare per la categoria, perché a differenza di altre etichette i mosti del “Riserva Lunelli” sono fermentati in botti di rovere austriaco da 40 hl. Il talento indiscusso di Rubert Larentis e la sua continua ricerca della perfezione, l’ennesima sfaccettatura da conquistare, ma soprattutto il voler dimostrare a ragion veduta quanto lo chardonnay in trentino possa risultare poliedrico, soprattutto nella spumantizzazione. Il manto dorato, è attraversato in controluce da bagliori paglierino, le bollicine formano cordoncini regolari che scorrono in perfetta simmetria, conseguenza diretta di un’ottima presa di spuma. Questo vino, degustato da me più volte nel corso degli anni, ha cambiato marcia nonostante l’annata piuttosto calda. Il profilo si è ingentilito ed allineato al resto della gamma, un tempo le sfumature olfattive faticavano a liberarsi dai sentori dati dal legno, se non a distanza di anni dalla sboccatura. Ad oggi sviluppa ancora uno stile improntato su dolci note che richiamano il frutto esotico candito, il miele d’acacia, la crema di limone, impressioni date dal lungo affinamento sui lieviti, si parla di sette anni. Una vena erbacea di rosmarino e lievemente tostata di nocciola, a seguito di un opportuna ossigenazione, diversifica molto il bouquet che si compone di tanti fiori ed un finale lievemente speziato/tostato per nulla invadente. La sboccatura 2018, nonostante la cremosità del perlage, segna la vivacità del sorso, amplificata ulteriormente da una vibrante acidità che risolleva le sorti di un frutto maturo, in grado di regalare sensazione dolci/acide molto intriganti. La persistenza pressoché infinita lo rende particolarmente versatile nell’abbinamento gastronomico, personalmente lo abbinerei a una battuta al coltello di Fassone Piemontese con lamelle di Tartufo Bianco d’Alba. @@@@3/4
Trentodoc “Giulio Ferrari Riserva del Fondatore” 2007
Il mio paragone con “El pibe de oro” che ha fatto innamorare migliaia di tifosi del Napoli e milioni di appassionati di Calcio, è calzante perché questo vino è oggettivamente un fuoriclasse e rappresenta da sempre la bandiera italiana dello spumante metodo classico nel mondo. Ammetto con una certa spensieratezza, che soprattutto negli ultimi 15 anni, molti altri prodotti di altre zone d’Italia si sono avvicinati molto alla sua caratura, ma in certe annate il Giulio Ferrari, prodotto per la prima volta nel 1972, rimane insuperabile, anche per la sua capacità di sfidare il tempo, perché di fatto è stato concepito anche per questo. È un brut millesimato da uve chardonnay in purezza provenienti dallo storico vigneto di 12 ettari noto come Maso Pianizza, a 500 metri d’altitudine, proprietà della famiglia Lunelli, questo vero e proprio cru monopole è considerato unico per molti fattori. Circondato dalla macchia prealpina e allevato in un terreno composto da suoli magri, ciottolosi, calcarei e drenanti, Maso Pianizza è potato a Guyot semplice, con una densità di 5000 ceppi/ettaro e viene coltivato con protocollo biologico. Il perfetto equilibrio creato dalla natura tra vitigno, terreno e clima, con forti escursioni termiche tra notte e giorno, rimane la vera arma vincente di questo vino che affina per dieci anni sui propri lieviti. Riporto anche in questo caso, vista l’importanza del prodotto, l’analisi presente nel sito ufficiale dell’azienda in merito all’annata 2007: ”L’inverno ha presentato temperature molto miti e pochissime precipitazioni, che, in primavera, hanno determinato un risveglio precoce della vegetazione con un anticipo sul germogliamento di circa 15 giorni, che si è poi tradotto in un significativo anticipo della vendemmia. L’ottimo equilibrio vegeto-produttivo della vigna e il fatto che i grappoli fossero piuttosto spargoli hanno favorito il mantenimento della sanità. Il decorso climatico del mese di agosto, piuttosto fresco e con diversi episodi temporaleschi, ha contribuito a mantenere buoni livelli di acidità nelle uve ed una evoluzione aromatica estremamente interessante.” Sboccatura 2018, il colore, a seconda dell’illuminazione, vira sensibilmente dalla tonalità giallo dorato con riflessi paglierino, al paglierino intenso con riflessi oro. Già da questo elemento possiamo capire l’andamento dell’annata, che in effetti corrisponde alla scheda, in altri millesimi il Giulio Ferrari l’ho trovato molto più caldo nella tonalità, ma sempre impeccabile nel perlage che risulta estremamene minuto e regolare, come anche in questo caso. Un naso di estrema eleganza e complessità, queste due caratteristiche s’alternano ritmicamente. Dolci sentori d’acacia s’uniscono a ricordi di caramella al miele Ambrosoli, frutta esotica matura dove ananas sciroppato, mango e frutto della passione risultano protagonisti, con lenta ossigenazione affiorano effluvi minerali di calcare e iodio che rinfrescano molto il bouquet, reso ancor più stimolante da note di foraggio, timo limonato e piccoli fiori di montagna. Il vino si rivela lentamente, le note cambiano con l’aumento della temperatura ma ciò che colpisce è la precisione delle sfumature, dei dettagli. Un sorso che convince enormemente per via della cremosità della bollicina, setosa oltre ogni limite, “una carezza in un pugno”, per nulla priva di quella grinta essenziale nell’abbinamento gastronomico. La coerenza delle note dolci la ritroviamo soprattutto analizzando il retronasale, un vino dinamico che ha voglia di sorprendere, perché dopo averlo bevuto, alterna ritmicamente fasi in cui l’acidità è protagonista, ad altre in cui la lunga scia sapida impegna il palato donando una persistenza pressoché infinita. @@@@@
Mi preme ringraziare la famiglia Lunelli per l’accoglienza e la grande professionalità dimostrata durante la degustazione, ho ritrovato la stessa atmosfera nelle mie precedenti visite in cantina; proprio per questo conto di tornare in futuro a Trento per respirare un po’ di quell’aria che rende tanto speciali i loro Trentodoc.
Andrea Li Calzi