Sta crescendo. Ha quindici anni e mezzo e sta crescendo, non solo in altezza, ma nel carattere e nell’impegno che mette in ogni cosa che fa. Lo guardo mentre lava i piatti. Ha voluto lui occuparsi del pranzo, molto semplice dal momento che l’hanno messo a dieta, della tavola che ha apparecchiato con cura e del dopo pranzo. Sta lavando i piatti, calmo, sereno, ordinato e io non posso non pensare a quando, a casa sua, sbuffava, protestava, rimandava ogni volta che spettava a lui farlo. Non molto tempo fa. “Penso a tutto io nonnina” mi ha detto a pranzo finito, “tu non devi fare niente, riposati che dopo giochiamo a scarabeo o chiacchieriamo“. Siamo nella fase due della pandemia (parola che mette i brividi) e si può fare con tutte le precauzioni possibili, distanza di almeno un metro l’uno dall’altro e la mascherina. Per due lunghi mesi non ci siamo visti, ognuno chiuso nella propria casa. Prigionieri. Possibilità di uscire solo per fare la spesa, per lavoro o per motivi di salute. Io niente, neanche quello. I motivi di salute me li dovevo regolare tra le mie pareti odiate, amate, a volte soffocanti. Io con il mio cuore ferito. Oh sì, ecco che tornano alla mia mente alcuni versi di una poesia di Gozzano, un poeta che, stranamente, ho sempre amato. Io spesso controcorrente, a volte contraddittoria, appassionata e lui un crepuscolare. Succede, a me è successo. “Mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto, mio cuore bambino che è tanto felice di esistere al mondo, pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori sovente qualcuno che picchia, che picchia… Sono i dottori…“. Ma questa è un’altra storia.
La mia gatta Penelope ed io. Per due lunghi mesi è stato come se il mondo si fosse fermato. Quasi tutti i negozi chiusi, tranne gli alimentari, chiusi i bar, i cinema, i ristoranti, molti uffici, le librerie, le fabbriche. C’erano i cellulari, le video chiamate, la musica, la tv. Non siamo impazzite Penelope ed io, non siamo cadute in depressione, forse io e molte altre persone come me abbiamo rischiato la confusione totale per le notizie, spesso contraddittorie, di medici, virologi, scienziati e politici che la televisione trasmetteva dai vari canali, ma non sono impazzita, non mi sono lasciata andare. Quanto a Penelope si è fatta i fatti suoi, come sempre. Organizzatissima nel mangiare, bere dal rubinetto del bidet e dormire, dormire e ancora dormire. Sul mio letto. Amo la mia casa, i miei bioritmi, certi rituali casalinghi che mi danno sicurezza, ma uscire, camminare, incontrare persone, andare al cinema con un’amica, fare ancora progetti mi è sempre piaciuto ed essere invece forzata alla totale clausura a volte mi pesava, ma poi prendevo un libro, guardavo un film alla tv, ascoltavo musica e mi sentivo fortunata perché fuori il mondo, nel suo silenzio, faceva un’orribile rumore di lacrime e morte. Del resto, meglio sola che con chiunque. Mi sarebbe piaciuto poter avere la presenza dei miei cari com’era stato dopo il mio infarto, sempre con me, a turno, mai lasciata sola, l’amore negli occhi ancora pieni di paura e via la stanchezza dalle gambe e dalla mente. Per me e con me sempre, per un mese. Poi il controllo medico, la speranza, il sollievo e ognuno che poteva tornare ai ritmi della propria vita. Anch’io cominciavo a riprendermi qualcosa di quello che mi era stato rubato ed è stato allora che è arrivato il “mostro”, il virus sconosciuto, nemico senza volto, senza sguardo, senza voce, beffardo e spietato. Paura e morte. Unica difesa possibile rimanere in casa. E così è stato. Adesso, per la prima volta dopo due mesi, briciole di libertà ci stanno restituendo un pezzetto di vita. E lui è venuto a dormire da me per farmi compagnia, il mio amato pronipote. Da piccolo lo chiamavo “tempestino” per la sua vivacità spesso incontenibile e perché non accettava mai un “no” sia pure motivato, a tutto quello che voleva, o meglio che esigeva ed erano scene lunghissime, estenuanti. Da piccolo e anche nei primissimi passi dell’adolescenza, quell’adolescenza che, per la sua età ancora gli appartiene, ma che, in qualche modo, lo ha già cambiato. Tempestino diventa saggio. Le discussioni, le liti, le polemiche che sfinivano entrambi, anche perché alla fine era sempre lui a pretendere di avere ragione, in un modo o nell’altro. Ma come non amarlo quando poi mi veniva vicino, mi abbracciava, si affidava a me o, addirittura, cercava di proteggermi? Dalla mia minuscola persona, dalla mia età, dalla sua paura di perdermi. E adesso è lì che finisce di asciugare, di mettere ordine mentre io, a un metro di distanza da lui e con la mascherina, mi sento piacevolmente inutile. Glielo dico. “Tu non sarai mai inutile nonnina” è la sua risposta immediata “per il solo fatto che esisti“. È una bellissima risposta. Maledizione, perché non so più come si piange? Questo sarebbe il momento giusto perché vorrei poter piangere di felicità, di commozione, di gratitudine. Che gioia averlo qui con me, sia pure per poco. Sembrava dovesse rimanere bassino, invece è alto e sicuramente crescerà ancora, è bello e avrei voglia di abbracciarlo, ma per ora non si può fare. Non è compreso nel catalogo delle regole da osservare per tenere lontano il virus, il maledetto mostro dal colore della cacca (come lo ha definito in modo perfetto una bimba di otto anni). Adesso lui ed io parliamo, mi racconta di sé, della scuola, delle materie che preferisce, dei suoi successi. Mi legge il tema che ha scritto sul periodo di clausura, per come l’ha vissuto lui con la madre e la sorella, le ore trascorse in cucina a preparare pranzi e cene da chef, i giochi, tutto quello che la mamma inventava per distrarli, per alleggerire le loro insofferenze. Ha meritato un nove per il tema descrivendo le sue paure, le sue ansie, la sua rabbia contro il “mostro” che stava cambiando la vita a tutti e si prendeva quella di migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo. E che ancora non se ne va. Ha scritto anche una bella poesia. A sentirlo parlare, mentre esprime i suoi pensieri, i suoi progetti, le sue opinioni con una proprietà di linguaggio insolito per la sua età, io penso a quanto sia ormai lontano il Tempestino di un tempo. Lo ascolto incantata e sì, sta proprio diventando saggio. Sta crescendo bene, eppure vorrei dirgli di non perderlo del tutto il vecchio tempestino, di conservarne sempre un pezzetto in un angolo del suo cuore. Si dice che la saggezza appartenga ai vecchi, ma lui è ancora troppo giovane e io… Beh io vecchia lo sono davvero, ma saggia…
Alda Gasparini
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Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
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Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
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Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha conseguito il diploma di Sommelier AIS nel 2001. È Degustatore per la regione Lombardia e giudice per le guide Vitae e Viniplus. Ha partecipa (...)
Laureata in giurisprudenza, giurista di formazione, è giornalista dal 1996, settore turismo enogastronomico, responsabile agroalimentare PMI - p (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Giornalista pubblicista, collabora dal 1979 con numerose testate. È direttore responsabile di InternetGourmet.it. Ha pubblicato vari libri dedic (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
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