I racconti di Alda: Quattro tempi
Giugno 1950. Marzocca. Io credo non esista sulla carta geografica, credo non esista nell’’idea di molti. È un piccolo paese sull’Adriatico, con una stazione, una cooperativa, un cinema per la domenica, una strada completamente aperta, a destra il verde di monte Marciano, a sinistra il mare e una lunga fila di villini, piccole costruzioni a un piano, colorate, con un giardino e una terrazza, in tutto simili le une alle altre.
Marta ed io arrivammo alle due del pomeriggio, un qualsiasi pomeriggio di metà giugno, con il sole a picco sulla ghiaia e sulle nostre teste, stanche del viaggio, con la sola voglia di mangiare e di dormire. Ci sentivamo vuote e un po’stordite, non ci fermammo neppure a osservare il mare, le barche, i pescatori. Eravamo davvero stanche. Nonostante fossimo giovani e ansiose di goderci quella vacanza, i nostri corpi in quel momento chiedevano soltanto cibo acqua sonno. Quasi avessimo attraversato il deserto, senza un’oasi, un respiro verde…
Alle diciotto, quando ci svegliammo, la prima cosa che ci colpì fu il silenzio. Nessuno dei rumori familiari e tipici della città, motori, sirene, musica ad alto volume, schiamazzi. Niente. Pace totale. Il posto ideale per rilassarsi, mettere via pensieri, preoccupazioni, ansie. Soltanto il mare, pescare qualche sogliola, lunghe passeggiate, il sole sulla pelle e fare ginnastica pompando l’acqua in cucina. Era proprio quello che Marta ed io cercavamo e di cui avevamo bisogno.
Cominciò così uno strano periodo del nostro tempo. La casa che ci ospitava era simile alle altre del paese, in parte ferita dalla guerra e quasi svuotata del mobilio. Erano rimasti soltanto due letti matrimoniali, due singoli, un armadio, un tavolo, qualche sedia e un divano dalle molle cigolanti. La sera non tutte le stanze venivano illuminate e così, il più delle volte, si mangiava al lume di candela.
Amalia, la figlia del guardiano-pescatore, una ragazza alta con bellissimi occhi scuri, veniva ogni mattina per le pulizie. Pensavo fosse felice in quel luogo e in quella pace, quasi la invidiavo, ma una mattina, osservandola, mi accorsi che qualcosa la turbava, un’inquietudine che non avevo difficoltà a riconoscere. Eravamo tutte e due affacciate alla finestra della cucina con il sole che si lasciava rapidamente inghiottire dal mare. Passò una grossa barca, la porta sbattè con violenza, i vetri vibrarono e fu allora che il treno sfrecciò davanti ai nostri occhi e Amalia, con uno scatto improvviso, si allontanò dalla finestra e corse nella camera da letto. La raggiunsi.
“C’è da impazzire” disse con la rabbia nella voce “tutti i giorni passano, a tutte le ore, tanti treni diversi. Ormai ho imparato a riconoscerli a distanza, dal solo rumore. Bologna Milano Roma. Meglio essere ciechi che non poter vedere nulla del mondo oltre questo paese in cui si consuma tutta la mia giovinezza”.
In quel momento le parole di Amalia mi sembrarono soltanto un’orrenda bestemmia. Rabbrividii senza rispondere. Dopo qualche secondo, quando Amalia si girò verso di me, era come se nulla fosse successo, sembrava la solita ragazza semplice e serena che conoscevo o avevo creduto di conoscere, ma quella sera a tavola mi sembrò che il pesce avesse un sapore diverso. Ne lasciai metà nel piatto. Per tutta la notte non riuscii a liberarmi da una smania che m’impediva di abbandonarmi al sonno, così la mattina mi alzai presto decisa ad andare a piedi a monte Marciano, Marta preferiva dedicarsi al nuoto e all’abbronzatura. Non era che un chilometro di cammino, ci andai da sola. Un bagno nella natura, frugai tra le siepi esaminando tutte le varietà di erbe, fiori, piante, abbracciai gli alberi e annusai l’aria a pieni polmoni, come un cane da caccia. La vita lì era più pulita, più vera.
Quando tornai a casa mi sentii rigenerata e quando rividi Amalia che preparava una coloratissima insalata per la cena e m’indicava una busta arrivata la mattina, non pensai più all’episodio del giorno prima. Marta non era ancora rientrata e io aprii la lettera che proveniva da Riccione. Amici in arrivo.
Arrivarono in macchina, una vecchia Aprilia ancora buona nonostante gli anni, e i bioritmi della nostra vita di quei giorni cambiarono. Gite in barca, nuotate, passeggiate, pic-nic, pesce alla brace, sane bevute, musica. Fu davvero bello. Giorni spensierati di sole di mare di momenti irripetibili di una stagione che Marta ed io non avremmo dimenticato.
Quando i nostri amici partirono cominciarono le piogge con temporali che in breve cambiarono il clima della nostra vacanza. Il mare con la pioggia. Non aspettammo la fine di giugno e partimmo per la nostra città, la nostra casa, la mia, la sua. Lei a Milano io a Roma. L’estate era appena cominciata, ma la vita riprendeva i suoi ritmi.
Giugno 1965. Erano gli anni dei Beatles, della minigonna, dei capelli cotonati e Marta ed io tornammo nella casa ristrutturata e riammobiliata, diversa da come la ricordavamo, ma Marzocca no, non mostrava i segni del cambiamento se non nelle persone. Qualche costruzione in più forse, un altro bar, ma era sempre la stessa, sconosciuta.
Un punto nell’universo.
Noi sì, che eravamo diverse, non eravamo più le ragazze di allora, gli anni le esperienze la famiglia, ma era comunque bello essere di nuovo lì, quasi per caso. Venivamo da Senigallia, come non trascorrere qualche giorno a Marzocca e ricordare, sperimentare, ritrovarci?
Giugno 1994. Gli anni di Falcone e Borsellino, orrori tanti, conquiste poche e Marta ed io di nuovo a Marzocca un po’ cambiata forse, ma non così tanto da cancellare il ricordo di quella della prima volta. Noi. Marta ed io sì. Sempre di più, non alla ricerca di un tempo perduto che poi non è mai perduto se la memoria lo conserva e ogni tanto lo tira fuori dalla naftalina, ma per rivolgere uno sguardo affettuoso là dove avevamo vissuto un breve periodo felice. Che cosa saremmo senza la memoria?
Agosto 2019. Non siamo tornate mai più. Ci hanno detto che Marzocca adesso sì che è cambiata, si è ingrandita, nuove costruzioni, altri alberghi, altra gente, altra vita. E noi? Noi. “Marta ed io” non esiste più.
Alda Gasparini