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I profumi e sapori di Zegla nei vini di Renato Keber

L'insegna all'ingresso dell'azienda

Giuseppe Battiston, bravo attore friulano, è in arte Paolo Bressan, un uomo cinico, col vizio del vino, che passa gran parte del suo tempo a bere nella “frasca” di un piccolo paese del Friuli. Bressan è il protagonista dell’opera prima del regista goriziano Matteo Oleotto, “Zoran, il mio nipote scemo“, un film che ha riscosso un notevole successo di critica all’ultimo festival del cinema di Venezia.
Lasciando ai critici il compito di soffermarsi sulla trama e sui contenuti, la mia curiosità si è riversata sulla divertente idea che ha visto i protagonisti del film ricreare al Lido di Venezia, con “Casa Zoran”, l’antica tradizione dell’Osmiza (tralasciamo pure la sterile polemica per la “friulanizzazione” del termine osmiza, che è risaputo essere patrimonio storico della zona carsica triestina).
Casa Zoran nei giorni del festival è diventata un punto di aggregazione e confronto, dove il pubblico della mostra si è riversato numeroso, attratto dall’offerta di prodotti gastronomici tipici delle frasche del Friuli e soprattutto desideroso di bere il vino bandiera della regione, che per l’occasione è stato ribattezzato “Friulano Zoran”. Ed è proprio il Friulano Zoran che mi dà lo spunto, e un filo conduttore, per abbandonare il mondo del cinema e portarvi a conoscere un bravo produttore del Collio che, amico del regista Oleotto e dell’attore Battiston, ha sposato il progetto del film e si è reso disponibile a dare una mano, fornendo direttamente dalla sua cantina il prezioso nettare che ha allietato le giornate del festival e tenuto alto il morale del cast.
Ci troviamo fra le colline di Zegla, frazione di Cormons, nel cuore del Collio.
Qui a beneficiare di un microclima eccezionale e di una terra ideale per la viticoltura, con le sue marne e arenarie (la ponka) che la compongono, sono le viti di un noto produttore della zona che risponde al nome di Renato Keber.

La casa e l'azienda

Gli avi di Renato arrivano e mettono radici sulle splendide colline di Zegla nella seconda metà del 1800. Inizia così una lunga storia fatta di lavoro, sacrificio e tanto amore per il vino e il territorio. Allevamento di bestiame, coltivazioni agricole, viticoltura, sono le principali attività che garantiscono la sussistenza e la crescita di una famiglia che incarna alla perfezione i principali valori della tradizione contadina.
Ogni generazione contribuisce alla crescita aziendale, prima il bisnonno Franz, poi il nonno omonimo, fino ad arrivare al padre Miroslavo e lo zio Romano. Ma la svolta decisiva, che porterà l’azienda ai livelli attuali, la dobbiamo al lavoro e all’intraprendenza di Renato, che nel 1986, terminati gli studi di enologia, incentra tutto il suo operato sulla qualità e inizia a imbottigliare autonomamente i propri vini.
Renato è uomo di sostanza. Poche parole ma concetti precisi e idee molto chiare su quali devono essere gli obiettivi da perseguire e i risultati da ottenere. Il lavoro in vigna è curato nei minimi particolari per portare in cantina delle uve di primissima qualità che dovranno trasformarsi in vini che siano massima espressione del territorio e che possano essere longevi nel tempo. I vini dovranno regalare aromi e sapori non modaioli. Dovranno essere appaganti e intriganti, dotati di finezza ma anche di notevole complessità. La ponka delle colline di Zegla dovrà dare quella mineralità tipica dei vini della zona.
Una volta nel bicchiere, il vino non dovrà essere ruffiano. Non dovrà ammaliare con note facili e immediate per poi abbandonare presto la scena lasciando solo un vago ricordo del suo passaggio. I vini di Renato hanno bisogno di un po’ di tempo per aprirsi, farsi conoscere. All’inizio possono sembrare un po’ chiusi, ma poi, come tipico dei friulani, sapranno donarti il cuore e iniziare un lungo percorso sensoriale dove un arcobaleno di sfumature odorose e gustative appagherà tutti i sensi.

Vecchie e nuove etichette

Dai 15 ettari vitati, vengono prodotte dalle 60mila alle 70mila bottiglie, con netta prevalenza per le tipologie bianche. Due sono le linee prodotte e sono entrambi delle riserve che non si differenziano per il livello qualitativo in vigna, ma per l’uso o meno del legno e la provenienza da rilievi di collina differenti.
Tutti i vini sono sottoposti a delle brevi e variabili macerazioni sulle bucce. Fra le tipologie bianche, il Friulano Zegla, il Pinot Bianco, il Pinot Grigio e il Sauvignon sono prodotti solo in acciaio. Restano a maturare due anni sui propri lieviti, e dopo un altro anno in bottiglia sono messi in commercio.
La selezione Grici trova fra le sue file il Friulano Zio Romi, il Grici Sauvignon (il 2010 l’ultima annata che sarà messa in commercio prima di essere messo fuori produzione), il Grici Chardonnay, il Beli Grici Bianco (50% Pinot Bianco, 30% Pinot Grigio, Ribolla Gialla, Friulano, Sauvignon). Restano a maturare un anno in tonneau e botti grandi, due anni in acciaio e altri due anni in bottiglia.
Di notevole spessore è la Ribolla Gialla Extreme che resta in macerazione sulle bucce, in vasche di cemento, per una quarantina di giorni. Una volta pressate le bucce, viene eseguita la svinatura e il vino resta a maturare un anno in botte, poi due anni in acciaio e due in bottiglia prima di essere messo in commercio, a cinque anni dalla vendemmia.
Un vino di spiccata personalità che, accanto a un corpo e un bagaglio aromatico di notevole complessità, riesce a restare sempre godibilissimo grazie alla mineralità e all’acidità che ne facilitano la beva.

L'antica sala di degustazione

Con il marchio Grici viene prodotto anche un grande rosso da uve Merlot oltre al Collio Rosso, blend bordolese con prevalenza di un 70% di Cabernet Franc e il restante 30% ricavato da Cabernet Sauvignon, Merlot e un po’ di Pignolo. Entrambi maturano due anni in legno, due in acciaio, due in bottiglia prima di essere pronti dopo quasi sette anni.
Viviamo in periodo storico dove la celebrazione del proprio ego e della propria immagine sembrano diventate prioritarie, date in pasto ai social, alla ricerca di una legittimazione che molte volte non tiene nemmeno troppo conto dei reali contenuti che ogni persona porta dentro di se.
Io amo le persone che con umiltà portano avanti il proprio lavoro e i propri ideali. Che non devono per forza gridare al mondo intero quanto sono belli e bravi, ma che riescono a sorprenderti anche con i loro silenzi, molte volte più assordanti che mille parole sprecate al vento.
Renato Keber lascia parlare i suoi vini e questi raccontano delle belle storie. Parlano di una terra di confine che è stata testimone della sofferenza di molte generazioni. Una terra che al tempo stesso è benevola e dispensa vita e speranza a chi ha sposato senza compromessi questo territorio.
Poter lavorare fra le sue colline e produrre dei vini che riescono a emozionare e far parlare di se nel tempo, sono la miglior ricompensa per un uomo, come Renato Keber, legato alle colline di Zegla quanto lo sono le radici delle sue viti.

La cantina con le botti

DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO

Renato Keber

Che caratteristiche e peculiarità dovrebbe avere il tuo vino ideale?
Il mio vino ideale deve essere figlio del territorio e ogni suo sorso deve riportarmi alle vigne fra le quali è nato. Deve essere un vino con una spiccata mineralità, capace di evolversi nel tempo una volta in bottiglia. Non devono mancare la finezza e l’eleganza, ma assolutamente non deve essere un prodotto globalizzato che segua le mode del momento. Deve essere un vino vero, non un furbacchione che fa risaltare soprattutto le più ruffiane note dolci. Deve affascinare chi lo beve. Creare un’aspettativa che porti a voler conoscere tutte quelle sfumature che solo una paziente attesa è in grado di rivelare.

Produci una linea classica e una denominata “Grici”. Si tratta solo di una diversificazione produttiva, con una linea base più semplice e un’altra di livello superiore, o è frutto di un progetto diverso?
Si tratta sicuramente di un progetto diverso. Tutti i vini che produco sono delle riserve, ma mentre la linea base è prodotta tutta in acciaio, per la Grici uso anche, in maniera non invasiva, tonneau e botti grandi di legno. Sono vini prodotti da vigneti diversi, entrambi danno delle uve di primissima qualità, ma le vigne dalle quali ricavo la materia prima per la linea Grici, hanno delle caratteristiche uniche che mi permettono di ottenere dei grandi vini, con un’elevata capacità d’invecchiamento.

C’è un tuo vino che ami in maniera particolare e perché? Sicuramente il Tocai Friulano perché Zegla è un territorio di eccellenza per la produzione di questa tipologia. Poi amo il Pinot Bianco per la sua naturale predisposizione all’invecchiamento, ma non vorrei tralasciare fra i miei preferiti nemmeno il Merlot. Diciamo che però in generale amo tutti i vini che sono buoni.

Le viti

Che cosa rende uniche le colline di Zegla, un terroir di nicchia in un contesto già di per sé vocato come quello del Collio?
Nelle colline di Zegla c’è una composizione molto particolare del terreno, unito a un microclima che permette di produrre uve che riescono a dare vini con caratteristiche di finezza diverse dalle altre zone del Collio. Questa finezza è resa possibile anche dal clima fresco, dal borino che soffia costante sulle vigne, ma un ruolo fondamentale è sicuramente svolto dalle marne e arenarie (ponka) dei terreni. La finezza e l’eleganza che raggiunge il Tocai Friulano prodotto fra queste colline, ne sono la testimonianza. La ponka riesce a donargli, durante invecchiamento, caratteristiche sensazioni di mandorla dolce e nocciola tostata.

Zegla è famosa per avere un terreno particolarmente adatto al Tocai Friulano. Dal marzo 2007 è diventato legge il divieto della denominazione Tocai in etichetta. In questi anni è stata spesa una somma ingente di risorse pubbliche per la promozione del marchio “Tipicamente Friulano” che doveva in primis promuovere la conoscenza di un vitigno che aveva cambiato solo nomenclatura, ma portava sempre con sé la storia e la cultura di un territorio.
A distanza di quasi sette anni, com’è lo stato di salute del Friulano e pensi che la promozione abbia raggiunto i risultati che si era prefissa?

Le somme investire sono state ingenti, mentre i risultati non sono palpabili, almeno non nell’immediato. In tutto il Friuli si è assistito a un calo vistoso della superficie vitata a Tocai Friulano, ma penso che qualcosa si stia muovendo, che ci sia un po’ d’interesse in più almeno nel mercato interno. Il Tocai Friulano è stato da sempre la tipologia di punta prodotta nelle colline di Zegla, e ha riscosso sempre notevole interesse e avuto numerosi estimatori, ecco perché crediamo molto nelle potenzialità di questo vitigno.

Renato Keber

Una fetta della tua produzione la riservi ai mercati esteri. Qual è la tipologia che trova i maggiori consensi al di fuori dei mercati nazionali?
Il Pinot Grigio fa sicuramente la parte del leone, seguito a ruota dal Friulano che desta grande curiosità ed ha molti estimatori, senza tralasciare i progressi fatti dalla Ribolla Gialla. La tendenza dei mercati esteri è quella di richiedere i soliti noti, gli internazionali come il Pinot Grigio e lo Chardonnay, mentre in mercati più specifici come quello Asiatico, c’è una grande richiesta di vini rossi.

Produci una tipologia che io personalmente, per eleganza e finezza, amo molto e che specialmente sul Collio trova espressioni di assoluto pregio. Come mai però il Pinot Bianco si produce così poco?
Considero il Pinot Bianco, per la sua eleganza, il principe dei vini. Lo Chardonnay, suo parente, è il fratello meno intelligente, meno dotato. Penso che chi sia profondo conoscitore di vino, vada alla ricerca del Pinot Bianco, chi invece ama i prodotti più modaioli, preferisca le qualità dello Chardonnay, ma come sempre alla fine è una questione di gusti.

Il Pinot Bianco 2004

L’anno scorso è uscito nelle sale il film “Zoran, il mio nipote scemo”, diretto dal regista goriziano Matteo Oleotto con protagonista l’attore Giuseppe Battiston. Ottimo successo di critica e pubblico per un film che ha riservato un ruolo, non da comparsa, al vino che veniva e viene ancora consumato in quei caratteristici locali, che sul Carso si chiamano osmize e sul territorio isontino e friulano “private” o “frasche”. Un uccellino mi ha raccontato che c’è qualche collegamento con te, la tua azienda e i protagonisti del film…
Non nego questo collegamento. Sono amico del regista Matteo Oleotto, e molte delle idee alla base della produzione del film, sono nate nella mia cantina, fra molte chiacchiere e molti bicchieri di vino. Anche l’attore Giuseppe Battiston è stato parecchie volte mio ospite. Il regista Oleotto quando ha iniziato a presentare il progetto e andava a bussare alle porte per raccogliere fondi per la realizzazione del film, si accompagnava sempre a qualche bottiglia del mio vino, e molte volte questo ha contribuito a creare la giusta atmosfera per garantire il buon fine delle trattative. In seguito ho contribuito con le mie botti, il trattore, il carro e le damigiane a creare anche parte della scenografia. Al Lido di Venezia, nel corso del Festival, è stata anche ricreata l’antica tradizione dell’osmiza, dove veniva offerto il mio Friulano, nominato per l’occasione Zoran, assieme a tante uova e tanto prosciutto, come da tradizione di questi tipici locali. Un’idea che ha riscosso ampi consensi e notevole partecipazione.

Renato Keber con le sue botti

Accanto all’azienda vitivinicola è in piena attività anche l’accogliente alloggio agrituristico inaugurato nel 2007. Il binomio vino e turismo rappresenta sicuramente una scelta vincente adottata anche da molti tuoi colleghi della zona. Com’è la situazione nel Collio a livello di strutture e offerte da proporre all’enoturista, e il territorio sta raccogliendo i successi di presenze che merita?
Molti hanno iniziato a investire in questo senso ed è un’ottima cosa perché il Collio è da sempre un territorio di valore che però non è stato ancora adeguatamente valorizzato. Molti turisti che arrivano nelle nostre terre per la prima volta, ne restano estasiati ed entusiasti. Parlando della mia esperienza personale, posso dire che dopo circa sei anni di attività, posso ritenermi più che soddisfatto. La gente che ci ha fatto visita, ritorna e molte volte grazie al passaparola, arrivano anche nuovi turisti e clienti. Il turista apprezza molto il nostro territorio e le sue innumerevoli bellezze, la nostra cucina e soprattutto i nostri vini. Il friulano, caratterialmente, tende a essere un po’ chiuso all’inizio, ma poi quando si apre, riesce a donarti il cuore e questo è molto apprezzato da chi viene qua in vacanza.

Le diverse annate e tipologie in affinamento

Parlare della famiglia Keber significa menzionare quattro generazioni che hanno da sempre legato il loro lavoro alla campagna e alla viticoltura fra le colline di Zegla. Che cosa speri e pensi possa il riservare il futuro alla prossima generazione, quella di tua figlia, quando prenderà in mano le redini dell’azienda?
Naturalmente sarà libera di seguire la sua strada, ma ovviamente spero che segua la linea che ho tracciato e continui a produrre vini di qualità, non globalizzati e longevi e soprattutto spero che resti fedele al suo territorio e rispetti le sue leggi naturali.

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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