Giulio Grasso, il vigneto nel sangue
Fotografie di Enzo Trento
Tra le decine di riconoscimenti e premi che vengono elargiti ogni anno dalle associazioni e riviste del settore, uno tra i più meritati a mio avviso è quello attribuito quest’anno a Giulio Grasso, titolare dell’azienda →Ca’ del Baio, “Viticoltore dell’Anno” secondo il Gambero Rosso.
Il motivo è semplice: è difficile incontrare Giulio in un evento o in una delle molteplici degustazioni organizzate ogni anno, compito che lascia molto volentieri a una delle sue tre figlie Paola, Valentina e Federica, mentre al contrario è quasi impossibile che ogni giorno non sia presente nella sua azienda di Treiso, in cantina o nei suoi amati 25 ettari di vigneto, intento a dedicarsi con un’immensa passione al suo lavoro, attività che svolge quotidianamente “da quando avevo 10 anni, con poca voglia di studiare e molta di salire sul trattore!” esordisce con orgoglio.
“Il mio ingresso in azienda a tempo pieno possiamo farlo risalire alla maggiore età, dopo essere stato dispensato dal servizio militare per problemi di salute di mio padre Ernesto, con cui ho sempre condiviso scelte e decisioni fino alla sua scomparsa, avvenuta nel marzo dello scorso anno a 92 anni.
Ebbene si, ho praticamente sulle spalle una quarantina di vendemmie, ben 33 vissute insieme a mia moglie Luciana, prezioso e insostituibile “braccio destro”!”.
Cosa hai provato quando hai saputo che ti hanno eletto “Viticoltore dell’Anno”?
“Ammetto che il riconoscimento mi ha regalato una grande soddisfazione, che ho accettato perché rispecchia la verità, mentre ritengo non sarebbe stato giusto ad esempio un premio come migliore azienda italiana perché credo che possiamo ancora migliorare.
Alla premiazione mi ero prefissato di non parlare della mia azienda ma del territorio del Barbaresco e della Langa intera, perché sono in tanti ad aver dedicato la vita a questo lavoro.
Penso che sia giusto contribuire per portare avanti un’intera regione e non solo la propria piccola realtà“.
Quali sono gli ingredienti per svolgere bene questa attività?
“Grande passione, tanta pazienza e umiltà, il mestiere si impara piano piano, mese dopo mese, esperienza dopo esperienza. Un’azienda, così come l’intero territorio, cresce se si collabora per diventare bravi tutti insieme.
Un recente esempio di passione e umiltà ci è stato dato quest’anno da un giovane australiano, Henry, che ha lavorato qui per due mesi e mezzo, collaborando fin dal primo giorno senza problemi o pretese sia con noi, sia con i nostri collaboratori di origini macedoni. Henry dopo aver conseguito la laurea ha già fatto due vendemmie in Australia, una in Canada, una in California e il prossimo anno ha in mente di imparare ulteriormente andando a lavorare in Borgogna, con l’obiettivo di aprire in futuro una cantina a casa sua.
Ritengo però che non sia indispensabile essere proprietari di un’azienda per svolgere questo lavoro, anche come dipendente si può essere molto importanti, considerati e ben remunerati se si riesce ad acquisire una buona professionalità: in pratica “fare il padrone sotto padrone” come lo definisco io“.
Quali sono state e quali sono ora le difficoltà più grandi?
“Come tutti sono state parecchie le difficoltà che ho dovuto affrontare e superare nel corso degli anni. Ricordo ancora i primi Vinitaly da sconosciuto, dove nessuno era interessato al mio vino, ma ero convinto che se avessi continuato a puntare sulla qualità avrei trovato il mio spazio.
Non è stato facile ad esempio far accettare a mio padre i diradamenti dei grappoli nei vigneti ma, essendo di mentalità molto moderna e collaborativa, pur non essendo molto favorevole mi diceva solo di far attenzione a non rimetterci ma anche che, se secondo me era la via giusta, di andare avanti.
Ora i problemi maggiori sono legati alla commercializzazione“.
Chi è stato il tuo punto di riferimento, colui che hai preso come esempio da cui attingere i segreti del mestiere?
“Devo molto a Beppe Caviola, che è più giovane di me di 3 anni. Lo conosco da più di vent’anni, da quando ha iniziato a fare il consulente alle aziende appena finiti studi. Anno dopo anno, dopo decine di degustazioni, pareri e confronti, è nata un’amicizia profonda.
Nel vigneto mio padre mi ha insegnato molto, per lui come per me è estremamente importante portare in cantina una bella uva, e in questo caso i “sorì”, i cosiddetti cru, terreni privilegiati per esposizione e suolo, sono determinanti sia in stagioni secche come il 2015 sia in quelle più umide e piovose come il 2013 e 2014“.
Come fai a tenerti aggiornato sui metodi e prodotti da utilizzare in vigna e in cantina?
“È molto importante il confronto, occorre molta passione, ci si deve innamorare del vino, non bisogna arenarsi bensì osare ad adottare qualche nuova soluzione, avere il coraggio di fare piccoli cambiamenti, coinvolgendo, e di comune accordo con mia moglie e le mie tre figlie“.
Che cosa ti piace di più e cosa di meno del tuo lavoro?
“Il momento più bello della giornata è poter andare in vigna, dove puoi trovare grande serenità e tranquillità. La vite è una grande pianta, impossibile non innamorarsene, alla quale si deve rispetto e cura: infatti eseguo personalmente la potatura, da un paio d’anni mi aiuta il mio fido collaboratore macedone Stoike, che sono ormai una dozzina d’anni che lavora al mio fianco.
Un aspetto molto negativo riguarda la burocrazia e i costi che ci stanno sommergendo. Temo che avanti così le aziende medie-piccole saranno destinate a chiudere: una testimonianza è la multa che è stata comminata quest’anno a un vignaiolo di Castellinaldo che si è affidato ad amici per raccogliere l’uva, pratica largamente utilizzata nel passato, anche perché si tratta di un momento di gioia e fratellanza, ma oggi vietata, con conseguenze anche spiacevoli per clienti o appassionati che vorrebbero invece essere coinvolti.
Andare in giro per il mondo a parlare del mio vino non è invece il mio forte, ma per fortuna in questo delicato compito sono aiutato dalle mie figlie“.
La preziosa presenza delle tre figlie di Giulio e Luciana è sottolineata anche da alcune originali e curiose soluzioni architettoniche realizzate nell’azienda Ca’ del Baio, come i tre alberi stilizzati a sostegno della copertura della zona spedizioni oppure la spettacolare colonna centrale presente nel caveau delle vecchie annate.
Figlie che non si limitano a seguire il settore commerciale, bensì si cimentano sia in vigna che in cantina: Valentina, che al contrario del papà ha svariate passioni oltre al suo lavoro, come ad esempio andare a cavallo o cimentarsi con la moto da cross, dopo una stagione in Borgogna, quest’anno ha vinificato una piccola parte di Nebbiolo in totale autonomia, mentre Federica è reduce da un’esperienza di 3 mesi in Australia.
Più delicato e in alcuni casi più impegnativo, il ruolo della primogenita Paola, che deve dividersi tra il ruolo di mamma di due splendide bimbe e il lavoro nell’azienda di famiglia, attenta a non ledere l’equilibrio “aziendale casalingo” con il marito Carlo Deltetto, uno dei produttori di riferimento del Roero.
Qual è il vino che ti dà più soddisfazione?
“In questo momento il Riesling, la prima annata di produzione 2011, che esce a gennaio in pratica due anni dopo la vendemmia, un vino che non ha fine, di una longevità e complessità impressionanti, che ho voluto produrre dopo aver assaggiato diversi Riesling Renani e della Mosella. Così ho impiantato nella primavera 2009 questo vigneto nel cru Ferrere a Treiso, in un appezzamento in punta alla collina di circa 5.500 metri esposto a nord. Il prossimo anno ho intenzione di realizzare una nuova vigna sulla collina Pora, sempre esposta a nord, di circa 4.000 metri.
Ritengo però che bisogna fare attenzione a non eccedere, in questo periodo sta nascendo un po’ una moda di questi vini bianchi, e non dimenticarsi che qui il vitigno principe deve rimanere il Nebbiolo.
Infatti in assoluto le più grandi soddisfazioni me le ha regalate il Barbaresco, e mi aspetto molto dalla Riserva 2011 del cru Asili che uscirà per la prima volta a gennaio 2016 dopo circa 50 mesi di affinamento“.
Il complimento più bello che possono fare a un tuo vino.
“Quando un cliente dice che un nostro vino è buono, subito o anche dopo molto tempo dalla sua uscita sul mercato, è una grande soddisfazione.
Non si lavora solo per il guadagno ma per cercare di fare sempre meglio per soddisfare noi stessi e chi beve i nostri vini“.
Qual è il vino rappresentativo e quello più richiesto della tua azienda?
“Penso il Barbaresco, sicuramente il Nebbiolo in generale, un grande vitigno che ci permette di fare una bella varietà dei vini. Tutti i nostri quattro Barbaresco rispecchiano il terroir, dal Valgrande dotato di grande bevibilità e un po’ meno struttura al fine ed elegante Asili, simile al Pora, che esce dopo 4 anni perché è il nostro vigneto più vecchio, fino al Marcarini, più rude e bisognoso di tempo per esprimersi“.
Quanto è preparato il cliente medio che arriva in azienda?
“In azienda arrivano stranieri che fanno migliaia di km per venire fin qui spinti da una grande passione e che spesso conoscono il territorio meglio di molti di noi. Chi viene a trovarci normalmente conosce e apprezza molto il Nebbiolo“.
Qual è il tuo giudizio sul mondo del vino in questo periodo?
“Penso che oggi più che mai sia importante non eccedere in quantità ma in qualità.
Quando ho iniziato erano in pochi a fare vini eccellenti, l’importante era farne tanto, anche perché era poco redditizio fare alta qualità se si pensa che inizialmente i diradamenti nel vigneto non venivano né capiti né apprezzati.
La rivoluzione in Langa degli anni ’80 è servita molto per “ringiovanire” i vini partendo da legni nuovi, ma ora ritengo che non bisogna eccedere, la “via di mezzo” è ideale per trovare un giusto equilibrio“.
Sono i produttori che fanno il mercato o viceversa?
“Personalmente faccio il vino che piace innanzitutto a me, sono molto restio a piegarmi al mercato, quando sono convinto di una cosa difficilmente torno indietro. Anch’io quando ero agli inizi ho usato barrique nuove per i miei vini che però non mi convincevano appieno e così sono tornato ad usare botti più grandi“.
Oggi si sente parlare sempre più spesso ma anche confusamente di vini biologici, vini biodinamici e vini naturali… quali sono le tue idee in proposito?
“Il rispetto per l’ambiente è la prima cosa che il contadino deve osservare. Chi fa il biologico deve farlo al 100%, accollandosi anche i rischi di non raccogliere in annate particolarmente difficili. Noi stiamo lentamente percorrendo questa strada, senza necessariamente scriverlo in etichetta, cercando di non utilizzare prodotti chimici come ad esempio antimuffe.
Bisogna fare molta attenzione al lavoro in vigna, avere particolari accortezze: lo scorso anno ad esempio con il Moscato a metà vendemmia abbiamo interrotto, sfogliato parecchio e ripreso la raccolta dopo qualche giorno: il risultato è stato sorprendente!”
In un periodo in cui la crisi economica e le regole del codice stradale portano a un consumo giudizioso di vino, quale potrebbe essere un’alternativa commerciale valida?
“La mezza bottiglia non ritengo sia la soluzione ideale né per un consumo moderato né per affinare bene i nostri vini, meglio piuttosto poter portare a casa la bottiglia non finita durante il pranzo o la cena. Vedo che nella nostra zona i veri appassionati di vino si organizzano, gli stranieri in particolare, lasciando la guida a chi non beve oppure affidandosi a un taxi“.
Questa piacevole chiacchierata con Giulio Grasso ancora una volta mi ha permesso di conoscere uno dei molti artefici del vero “made in Italy”, uomini che con la loro passione e dedizione sono stati in grado di far nascere realtà e prodotti che l’intero mondo apprezza e ci invidia, realtà e prodotti che rendono unica questa nazione, realtà e prodotti che sopravvivono soltanto grazie al loro quotidiano lavoro e impegno, a dispetto di leggi e personaggi che sempre più spesso anziché aiutarli rischiano di provocarne l’estinzione.