Dialogando con Luca Balbiano alla scoperta del Freisa
Fotografie di Enzo Trento
Il Freisa è uno storico vitigno autoctono del Piemonte con forti relazioni genetiche con il Nebbiolo, confermate dagli studi del centro CNR dal momento che in una mappatura dei geni di entrambi i vitigni circa il 90% coincidono.
Un vitigno rustico, che bene si adatta ai climi del Piemonte centro-meridionale, con una maturazione medio tardiva, indicativamente da metà settembre a metà ottobre, resistente alle malattie e muffe, con un’uva dal colore intenso e rubino, molto ricca di polifenoli e con un profilo aromatico e speziato intenso.
Un vitigno che regala grappoli spargoli con acini con buccia spessa che ben si presta alla tradizionale vinificazione frizzante, con una veloce seconda fermentazione con zuccheri naturali dell’uva, così come alla spumantizzazione oppure a un classico vino fermo, con affinamenti in acciaio per i vini da bersi giovani oppure con passaggi in legno per potenziarne struttura e longevità.
Il primo documento che parla di Freisa fu trovato a Pancalieri nel 1517, dove in una bolla doganale si attesta la produzione di queste uve in città con prezzi simili ai migliori vitigni europei.
Il suo sviluppo in tutto il Piemonte avviene tra il XVII e il XVIII secolo, anche in terreni non prettamente vocati grazie alla sua coriacea resistenza.
Nel 1820 Giorgio Gallesio nel suo “Pomona Italiana” identifica il “Freisa piccolo” come vitigno tipico piemontese.
Tra le particolarità il giudizio dato nel 1880 da Giovanni Battista Croce, cantiniere di Casa Savoia, ritenendo la Freisa “come un vino con un carattere estremamente rustico che rende nervose le donne”.
Oggi il Freisa conta circa 1.024 ettari sparsi qua e là in Piemonte, anche se la maggioranza risiedono nei territori indicati dai disciplinari del Freisa di Chieri Doc e del Freisa d’Asti Doc, entrambi emanati nel 1973, con la punta in provincia di Asti con il 54% dei vigneti.
La collina di Superga a Torino in passato era quasi totalmente vitata. Il più celebre e nobile dei vigneti era senz’altro quello di Freisa attiguo alla Villa della Regina di Torino, progettato dal principe Maurizio di Savoia all’inizio del Seicento come regalo alla moglie Ludovica di Savoia.
Questo appezzamento viticolo è rinato tra il 2003 ed il 2006 grazie a un complesso intervento di recupero ambientale attuato dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli che ha riscattato l’intera proprietà e portato al reimpianto di circa metà del vigneto storico, unitamente al completo recupero del compendio demaniale e, in particolare, al restauro degli Appartamenti Reali e dei Giardini all’italiana, intrapreso fin dal 1994.
Il lungo e complesso lavoro di reimpianto del Vigneto Reale di Torino fu affidato all’Azienda Balbiano di Andezeno, che ne ha curato ogni aspetto avvalendosi della preziosa collaborazione del professor Gerbi (Università degli Studi di Torino – Facoltà di Agraria) e della dottoressa Anna Schneider (CNR – Torino).
In totale furono piantate 2.700 barbatelle, per la maggior parte di Freisa, disposte su una superficie totale di 0,73 ettari.
L’annata 2009 ha segnato la prima vendemmia ufficiale della “Vigna della Regina”: 40 quintali di uve sane e mature che hanno dato origine alle prime storiche bottiglie del “Vigna della Regina”, che dal 2011 può fregiarsi anche della menzione Freisa di Chieri Doc.
Questo è un rapido riassunto delle nozioni apprese nel corso della decima edizione di “Di Freisa in Freisa”, evento che si è svolto a fine maggio a Chieri nell’ambito dei festeggiamenti in onore dei 500 anni di vita e di storia di questo vino e del suo territorio, espresse con particolare meticolosità dall’enologo Gianpiero Gerbi.
Nell’occasione ho potuto incontrare Luca Balbiano, presidente del Consorzio Tutela e Valorizzazione delle Doc Freisa di Chieri e Collina Torinese, istituito nel 2002 e che ad oggi può contare dell’apporto di cinque soci produttori oltre allo stesso Balbiano: l’azienda vitivinicola di Stefano Rossotto di Cinzano Torinese, l’azienda agricola di Guido Rubatto di Chieri, l’azienda vitivinicola Masera di Pino Torinese, il Girapoggio di Verrua Savoia e la cantina sociale Terre dei Santi di Castelnuovo Don Bosco.
Dialogando con Luca ho appreso non solo nozioni sulla sua azienda ma di tante particolarità e aspetti che caratterizzano il territorio vitivinicolo a ridosso del capoluogo piemontese, oggi tra i meno blasonati della regione ma ancora ricco di fascino e con enormi potenzialità inespresse.
L’azienda vitivinicola Balbiano fu fondata nel 1941 nel centro di Andezeno dal nonno Melchiorre Balbiano con una visuale molto futuristica per il periodo, con un’impronta e stile internazionale, rendendola fin dall’inizio accogliente per la clientela, anticipando in pratica la filosofia degli agriturismi attuali.
L’attuale cantina fu ricavata scavando nella collina a sette metri di profondità, recuperando e creando diverse nicchie nel duro terreno tufaceo, i cosiddetti “infernotti”. Una parte della cantina è stata dedicata a museo degli attrezzi e oggetti enologici storici ed alla vita contadina, con un particolare riguardo ai giocattoli delle varie epoche, alcuni visibili nelle etichette dei loro vini in seguito a un loro recente restyling.
Alla scomparsa di Melchiorre, avvenuta nel 1984, le redini passano al figlio Francesco, che si dimostra un autentico “paladino del Freisa”, salvaguardandone la produzione e facendolo conoscere sui mercati nazionali e internazionali, alternando tra l’altro la sua attività agricola e quella di sindaco di Andezeno, ruolo rivestito per ben tre mandati.
Terminati gli studi in giurisprudenza all’Università di Torino con una laurea a pieni voti, Luca, primogenito di Francesco, decide nel frattempo di seguire la tradizione di famiglia, dando vita alla terza generazione di produttori nonostante il parere avverso del padre.
Attualmente l’azienda possiede circa sette ettari vitati, ai quali si aggiungono una decina di storici conferitori, in gran parte anziani ed alle prese con il rischio del mancato ricambio generazionale, che Balbiano sta aiutando ad arginare cercando di aumentare la domanda di vino Freisa per alettare le giovani leve a proseguire o intraprendere l’attività di vignaiolo.
Se non avessi fatto il produttore di vino, quale attività avresti intrapreso?
“Penso che avrei fatto avvocato, passando la vita cercando di risolvere le grane degli altri anziché cercare di risolvere le mie come adesso” – afferma radioso Luca, facendo chiaramente trasparire al contrario la soddisfazione e felicità di essere rimasto in campagna.
Cosa può spingere un giovane a intraprendere questa attività?
Personalmente fin da ragazzo ho avuto uno spirito imprenditoriale, sono sempre stato poco incline a fare il dipendente o lavorare in ufficio.
Nella zona delle Colline Torinesi si può far leva sullo stile di vita e sulle opportunità che si stanno creando per rivalorizzare questo territorio, prendendo ad esempio le azioni operate per far rivivere il vigneto della Villa della Regina di Torino.
Un’indiscussa opportunità per un giovane che volesse intraprendere la strada del vignaiolo è rappresentata dalla buona disponibilità in questo territorio di terreni adatti alla viticoltura a prezzi molto accessibili, potendo anche contare su strutture di consulenza e di finanziamenti.
Lo stile di vita qui a mio avviso è impagabile, non lo scambierei assolutamente con i frenetici ritmi della città: stare quotidianamente al contatto con la natura regala emozioni impagabili!
È fondamentale che i giovani facciano prezioso bagaglio delle testimonianze degli anziani del territorio, nozioni e aneddoti da raccontare e tramandare anche ai turisti e clienti.
Quali sono e sono state le difficoltà più grandi?
Non nascondo che ho dovuto e devo tutt’ora superare quotidianamente difficoltà, a cominciare dalla scarsa propensione a fare sinergia, a collaborare.
Non dimentichiamo che vendiamo un prodotto che ormai non è più indispensabile come nutrimento rispetto al passato.
In questo periodo è più difficile proporre un Freisa piuttosto che un Nebbiolo, bisogna puntare sulla novità e unicità del prodotto.
Fare un vino buono ormai non è più sufficiente per affrontare i mercati, ormai lo fanno in molti, mentre è determinante raccontare il prodotto, cercare di renderlo unico. I mercati stranieri sono molto curiosi di apprendere le storie di un vino o di un territorio: ad esempio negli Stati Uniti spesso è più importante la storia di un vino che il suo prezzo.
Chi è stato il tuo punto di riferimento, colui che hai preso come guida da cui attingere i segreti del mestiere?
Mio padre assolutamente, ho sempre avuto un esempio di abnegazione assoluta nel lavoro, ed inoltre mi ha permesso di fare esperienze in questo mondo a 360 gradi.
Potessi tornare indietro nel tempo, cosa cambieresti?
Probabilmente nulla, finora le scommesse un po’ pazze sono andate tutte in porto, come nel caso del vigneto di Villa della Regina.
Personalmente invece avrei dovuto prendermi un anno sabbatico per visitare un po’ il mondo e fare esperienze all’estero.
Che cosa ti piace di più e di meno del tuo lavoro?
Mi piace molto raccontare il mio territorio, i miei vini, grazie a internet noi stessi possiamo raccontare la nostra realtà produttiva, non dimenticando che però bisogna essere bravi a raccontarci, a far vivere un’esperienza particolare e unica, attività sarebbe meno efficace se demandata a terzi intermediari.
La burocrazia ci priva di molto tempo che invece potremmo dedicare alla qualità, curando dettagli apparentemente irrisori ma che sono determinanti in un mondo artigianale.
Mi piace molto rimettermi quotidianamente in gioco, evitare di dire e pensare che abbiamo sempre fatto così: si può sempre fare meglio!
Qual è il vino rappresentativo della tua azienda?
Dal punto di vista caratteriale la Freisa di Chieri vivace, mentre il vino vetrina è la Freisa “Vigna della Regina”.
Quale è il complimento più bello e la critica più brutta che possono fare a un tuo vino?
Scherzando posso dire che mi piace quando mi dicono che il mio vino non sembra una Freisa, perché sono riuscito a dare un nostro stile al vino.
Mi fa parecchio arrabbiare invece quando qualcuno mi dice che una bottiglia di vino di 7-8 euro è cara, perché si ignora il rischio di impresa e il molto lavoro che c’è dietro.
Sto studiando la formula giusta per far capire al cliente il mondo e l’indotto che c’è dietro e dentro una bottiglia.
Qual è il vino che ti dà più soddisfazione?
Il mondo da anni è andato in direzione di vini strutturati, io invece ho un amore per la Freisa vivace per la gioia, la felicità e leggerezza che può regalare, una versione che ci può permettere di competere di fronte agli altri vini piemontesi, evitando di cercare di copiare e imitare vini di successo rischiando di perdere la vera identità del vitigno.
La Freisa vivace ha un aspetto più selvaggio, rustico, che viene apprezzato anche all’estero, tipo in California o in Svezia.
Qual è il tuo vino più richiesto?
Freisa di Chieri Doc frizzante, di cui ne produco circa 60-70.000 bottiglie.
Come fa un produttore a tenersi aggiornato sui metodi e prodotti da utilizzare in vigna e in cantina?
In azienda ci appoggiamo a dei consulenti che mi informano su come ottimizzare il nostro potenziale, non limitato alla cantina che segue un protocollo convenzionali, piuttosto nel vigneto dove stiamo sperimentando nuovi modi di coltivazione seguiti dall’enologo e agronomo Giampiero Gerbi.
Quanto è preparato il cliente medio che arriva in azienda?
Nel nostro caso abbastanza, probabilmente grazie ai vari messaggi che inviamo periodicamente attraverso i vari mezzi di comunicazione.
Non siamo in un territorio famoso, chi arriva qui, tendenzialmente giovani e curiosi, è perché ha sentito parlare e vuole conoscere il prodotto oppure già lo apprezza e vuole conoscere posti e vini inusuali.
Quale vino italiano che ti piace di più? E quello straniero?
Abitando in Piemonte amo ovviamente il Nebbiolo, anche perché ha dei lati in comune con il Freisa. In Italia apprezzo molto il Sagrantino per le sue asperità, all’estero il Pinot Noir di Borgogna, entrambi per la loro unicità.
Qual è il tuo giudizio sul mondo del vino in questo periodo?
Un mondo in crescita sotto tutto i punti di vista, in generale quello italiano, con ancora buoni margini di progresso non tanto sulla qualità ma su ciò che sta intorno al vino, una chance enorme per cantine e territorio.
Sono i produttori che fanno il mercato o viceversa?
Dipende dai produttori, è indubbio che l’industria del vino detta le regola del mercato.
Il piccolo produttore deve però sempre credere nel vino che fa, non bisogna arrendersi alla omogeneità ma puntare sulla sorpresa e sulla unicità che sono l’ossigeno per le microaziende.
Oggi si sente parlare sempre più spesso ma anche confusamente di vini biologici, vini biodinamici e vini naturali. Quali sono le tue idee in proposito?
Tutto ciò che viene dopo la parola vino secondo me è superfluo o almeno dovrebbe esserlo, l’importante che il vino sia buono, non è determinante definire come venga fatto.
Da consumatore non sacrificherai mai la piacevolezza di un vino a fronte della dicitura biologico o naturale.
Non dobbiamo sempre per forza catalogare tutto rischiando di confondere il consumatore.
In un periodo in cui la crisi economica e le regole del codice stradale portano a un consumo giudizioso di vino, quale potrebbe essere un’alternativa commerciale valida?
Discorso molto ampio, sicuramente le strategie della mescita a bicchiere o mezza bottiglia sono valide, ma credo che prima di tutto bisogna puntare sulla cultura del bere responsabile, che non vuole dire “bere zero” ma con moderazione e consapevolezza del prodotto.
I giovani poco propensi abbinare il vino al cibo. Cosa ne pensi?
All’estero si è molto condizionati dai film che fanno vedere bicchieri di vino bevuti da soli.
Non ritengo sia male bere un bicchiere di vino senza cibo mentre sono assolutamente contro a snaturare il vino dealcolizzandolo o cercando alchimie per renderlo più piacevole.
Vino, e poi quali sono le tue passioni?
Lo sport, avendo giocato per quasi 30 anni a calcio e che continuo a praticare a livello amatoriale, e la passione per il collezionismo.
Hai in cantiere qualche nuovo progetto per la tua attività?
Ho nel cassetto diversi nuovi progetti: il primo la costituzione dell’Associazione Vigneti Urbani d’Europa insieme ai miei colleghi europei per cercare di far conoscere e promuovere questi vigneti e le produzioni, operazione complessa per la variegata tipologia aziendale e vincoli territoriali ma con un obiettivo comune, che inizierà a prendere piede nel corso del 2019.
Un primo importante passo è già stato fatto nel 2014 con il gemellaggio della Vigna della Regina di Torino con il “Clos Montmartre”, vigneto urbano di Parigi. Da allora i due più importanti e storici vigneti urbani d’Europa cooperano per la promozione della viticoltura urbana, con progetti mirati alla beneficenza.
Luciano Pavesio