Ventennale di Le Piane: dalle origini a oggi, il Boca di Christoph Künzli si confronta con quello di Antonio Cerri

Quella di Boca, comune del novarese, è una storia affascinante e per certi versi esempio del contrasto generatosi nel dopoguerra tra il mondo agricolo e lo sviluppo industriale. Basta osservare le immagini storiche del territorio per rendersi conto che fino agli anni ’50 il parco vigneti era il protagonista assoluto di gran parte dell’Alto Piemonte, con la bellezza di 42.000 ettari vitati. Le colline erano quasi interamente coperte di vigne, ma l’arrivo del boom economico, che ha visto nascere piccole e medie industrie dell’abbigliamento, dell’arredamento, tessili e metalmeccaniche, ha progressivamente spopolato il mondo agricolo a vantaggio di un più sicuro e remunerativo lavoro in fabbrica.

Purtroppo questo fenomeno, se da una parte ha portato benefici alle famiglie, dall’altra ha impoverito profondamente il territorio, riducendo in pochi decenni i vigneti a meno di 700 ettari a vantaggio di boschi di cerri, acacie, robinie e altre piante utili per il lavoro di fabbrica.
Quei circa 700 ettari rimasero attivi grazie alle cantine sociali, che consentirono a molti operai di poter continuare ad allevare la vite nei ritagli di tempo e mantenere viva una tradizione antica.
Nell’area di Boca, che ottenne la DOC nel 1969, uomini di vigna come Antonio Cerri, Ferruccio Valazza, Giuseppe Marcodini, hanno rappresentato la traccia storica di questo passaggio epocale, soprattutto fino agli anni ‘80; nel decennio successivo il testimone è stato mantenuto da aziende storiche come le Cantine del Castello Conti, Poderi ai Valloni e Vallana.
Ma il Boca era praticamente sconosciuto al di fuori della regione; il cambiamento di passo è arrivato agli inizi degli anni ’90, grazie all’interesse, ma potremmo dire vero e proprio amore, di due svizzeri: Christoph Künzli e Alexander Trolf, letteralmente travolti dalla scoperta del territorio di Boca e, soprattutto, dai vini straordinari di Antonio Cerri in località Le Piane.
Christoph, che da giovane sembrava avere il percorso segnato dagli studi di Ingegneria edile, ebbe la fortuna di entrare nel mondo del vino dalla porta principale a soli 19 anni, quando la famiglia nel 1979 acquista una casa con una piccola vigna in Toscana. Allora Christoph non aveva alcun interesse né esperienza in viticoltura, ma quello sembrava il primo segnale che, in un modo o nell’altro, sarebbe stato predestinato a quel mestiere, anche perché suo padre, qualche anno dopo, decise di provare a fare vino da quei 2000 mq di vigna, con l’aiuto di un contadino anziano che se ne sarebbe occupato durante l’anno. Christoph intanto faceva esperienza degustativa a Siena, scoprendo molti vini che lo appassionarono. Più avanti riuscì a fare esperienza in Chianti Classico da Alessandro Sderci de Il Palazzino.

L’approfondimento della lingua italiana e l’amicizia con un sempre maggiore numero di produttori, gli ha consentito dal 1986 di diventare importatore di vini italiani in Svizzera. Nel frattempo viaggiava all’estero e approfondiva la conoscenza del mondo enologico internazionale. Ma l’incontro con Boca arriva grazie a Paolo De Marchi, è lui a portarlo in quelle terre e a fargli conoscere i vini di Antonio Cerri.
Da quel momento torna a Boca a più riprese, finché nel 1998 rileva Le Piane e inizia una nuova avventura, che ancora oggi è in continuo sviluppo, infatti allora non è stato possibile utilizzare i cloni di nebbiolo esistenti, poiché non erano in condizioni tali da poter essere catalogati e replicati, la scelta quindi è andata ai cloni provenienti dalle Langhe, dalla Valtellina e dalla Valle d’Aosta. Dal 2010 è però riuscito a individuare nelle vecchie vigne di Boca, cloni validi non solo di nebbiolo ma di tutte le uve presenti nei vigneti di Le Piane. Tutti i nuovi vigneti sono ormai prodotti da selezione massale, ci vorrà ancora un decennio per capire se la scelta è stata lungimirante, ma personalmente non ho alcun dubbio. Il 1998 è la prima annata che Christoph ha messo in vendita. Per darvi un’idea della situazione produttiva di quegli anni, dalle fonti della Regione Piemonte, si può osservare che nel 1998 a Boca furono prodotti soltanto 84 ettolitri di vino destinato alla DOC.

Il suo amore per queste terre lo ha spinto a preservare piccoli appezzamenti allevati ancora con il sistema di allevamento che aveva perfezionato l’architetto Antonelli, conosciuto come maggiorino, inadatto per una viticoltura moderna, in grado di ottenere qualità elevata con costi di manodopera inferiori e maggiori garanzie di portare in cantina uve sane. Già al suo arrivo negli anni ’90 il maggiorino era stato praticamente soppiantato dai classici filari con potatura a Guyot. Il maggiorino poneva grosse limitazioni e difficoltà, proprio a causa della sua conformazione: si tratta di quattro ceppi di vite raccolti insieme fino a un’altezza di 20-40 cm., poi salendo obliquamente si separano fino a raggiungere il punto di legatura con quattro pali equidistanti. I tralci si sviluppano a un’altezza di 1,20 metri ciascuno su un proprio filo appositamente collocato. Purtroppo questo sistema ha rivelato grossi limiti nella gestione e nella cura degli eventuali attacchi parassitari, tanto lavoro e qualità incerta, quindi scarse entrate. Ma a Le Piane, tra quelle vigne ancora circondate da boschi, ne è rimasta traccia e Christoph ha scelto di continuare ad allevare quel drappello di piante perché la memoria storica non va mai estirpata ma salvaguardata.

Il lavoro di Künzli è stato fondamentale per il distretto di Boca, è grazie a lui che la DOC ha scoperto una nuova giovinezza, i successi commerciali ottenuti in pochi anni, grazie anche ai numerosi riconoscimenti delle guide e della stampa internazionale, hanno dato nuovo vigore alle aziende esistenti e stimolato la nascita di nuove realtà vinicole con la conseguenza di un progressivo recupero di terreni “occupati” dai boschi. Oggi la DOC Boca può contare su una dozzina di piccoli produttori ed è conosciuta ben oltre i confini regionali, ma c’è ancora molta strada da fare, per affrontare un mercato tanto vasto come quello internazionale ci vogliono i numeri, ci vogliono investimenti, promozione, ricerca; la strada è ormai spianata e in continuo sviluppo, di vigne da recuperare ce ne sono moltissime. Qui è il porfido a fare la differenza, ce n’è tanto e ha una funzione importantissima per donare carattere, finezza e mineralità ai vini, basta farsi un giro per le colline per notare molti terreni tinti di rosa.

La verticale organizzata per festeggiare i venti anni di attività di Le Piane, si è svolta la sera del 21 settembre nel celebre Ristorante Pinocchio di Borgomanero, una pietra miliare della cucina dell’Alto Piemonte; lo chef Piero Bertinotti ha allietato la nostra degustazione con le sue preparazioni fortemente legate alla tradizione, come la paniscia e il mitico tapulone, storico piatto di Borgomanero a base di carne d’asino. La degustazione è stata utilissima per comprendere, attraverso una comparazione fra i vini di Christoph e quelli storici di Antonio Cerri, cos’era il vino prima e come è diventato oggi. Personalmente avevo già avuto modo di assaggiare vecchie annate di Cerri in occasione del decennale di Le Piane, ricordo ancora oggi quanto rimasi sorpreso e affascinato dalla grandezza di quei vini. Va detto che il Cerri è nato e cresciuto a Boca, non è mai uscito dal suo territorio, i suoi vini, quindi, rappresentano la sua visione personale senza alcuna contaminazione esterna. Mentre Christoph Künzli, ovviamente, ha fatto moltissime esperienze all’estero, si è innamorato della Borgogna ma anche dei vini del Paesi Baltici, il suo Boca rappresenta il connubio fra l’espressione territoriale e la cultura acquisita in tanti viaggi, tenendo sempre conto che il vino si deve vendere, non si può far finta che il mercato non sia importante, non dobbiamo dimenticarci che Christoph è anche un importatore di vino, quindi sa muoversi molto bene in questo sistema globalizzato, ma sa anche come non farsi condizionare nelle proprie scelte e nella propria visione.

LA VERTICALE
Ciò che ho trovato più stimolante è stato proprio il confronto fra due mondi apparentemente lontani, in realtà uno è l’evoluzione dell’altro, il filo conduttore è rimasto, ma certamente oggi è molto più difficile fare vino come lo faceva Cerri. Lui era abituato a tenerli almeno 7 anni in botte, oggi probabilmente non sarebbe possibile, sia commercialmente che tecnicamente. Allora il vino era più “tosto”, spigoloso, solo tanta botte e tanto affinamento potevano renderlo apprezzabile. Oggi è necessario fare vini più bevibili sin da quando escono dalla cantina, nei tempi che il mercato si aspetta. E questo fa sì che, dalla vigna alla cantina, tutto è progettato per questo scopo, tant’è che molti disciplinari negli anni hanno ridotto il numero di anni obbligatori in legno, poiché i vini, anche a causa di annate sempre più calde e irregolari, cominciavano a soffrire e perdere freschezza, ne abbiamo avuto la prova nei ripetuti assaggi alle anteprime, soprattutto quella del Brunello di Montalcino, che rispetto a Barolo e Barbaresco, tardava ad adeguarsi ai cambiamenti nei disciplinari. Oggi il dubbio che assale molti di noi è se i vini odierni saranno in grado di durare decenni alla stregua di quelli del passato. Si potrebbe dire che questo fattore non è così importante, ma io non sono d’accordo, perché tutta la conoscenza che abbiamo potuto fare è grazie a quei vecchi vini che ancora oggi possiamo bere e apprezzare, perché si sono mantenuti per tanto tempo.
Il Boca di Christoph Künzli
2013 – naso molto variegato, rosa canina, prugna, ciliegia, alloro, pepe, chiodo di garofano, liquirizia, poi sottobosco e leggero balsamico. Intenso al palato, strutturato, si percepisce l’annata calda, base sapida evidente, finale quasi terroso con il frutto che chiude appena maturo. Il tannino è esuberante e testimonia di avere ancora bisogno di tempo per assestarsi.
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2012 – d’impatto mi è sembrato più fine e preciso, mantiene alcune caratteristiche olfattive ma la spinta alcolica è inferiore a tutto vantaggio di una maggiore piacevolezza. Ciliegia e menta, una punta di amarena. Tannino fine e pulito, bocca succosa, fresca, elegante, più gentile e forse meno appariscente, ma a me è piaciuto.
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2011 – fiori macerati, ciliegia sotto spirito, cardamomo, vena balsamica. Palato fresco, sapido, tutto in buon equilibrio. Un vino che difficilmente passa inosservato.
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2010 – qui si fa un balzo in avanti, grande finezza già al naso, annata che sembrava altalenante, ma in questo momento è in splendida forma, con note agrumate e un tannino perfetto, frutto ancora integro e ben sorretto dall’acidità. Bel vino davvero.
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2008 – note officinali, inizia ad apparire il terziario, sfumature di cenere, prugna, ciliegia nera e liquirizia, tabacco. In bocca ha toni scuri, maturi ma non evoluti, l’acidità è sempre lì a ricordarci la qualità di questa terra porfirica. Intenso, rotondo, persistente, manca solo di quel tocco di eleganza che esalta la 2010.
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2007 – un afflato di caffè lascia poi spazio a un rintocco agrumato; in bocca però non emoziona, la leva acida sorprende per incisività, di contro è come si il vino non avesse ottenuto quelli equilibri che ti aspetteresti.
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2006 – toni affumicati, leggero goudron, qualche imprecisione olfattiva, poi si libera e comincia a conquistarti; al palato è austero, profondo, di carattere, sostanzioso.
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2005 – apparentemente sottile al naso, figlio di un’annata sottovalutata da molti, a me piace per la sua schiettezza, per l’assenza di qualsiasi ruffianeria, c’è più muscolo che polpa ma è il timbro dell’annata. Un vino per appassionati di nebbiolo vero, duro e puro.
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2004 – l’unico vino che mi ha lasciato perplesso, due bottiglie con problemi di tappo e una terza migliore ma non perfetta. Difficile valutarlo, si sente molto il fungo e il sottobosco; bocca un po’ evoluta, non ha il mordente di altre annate.
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2001 – ecco un esemplare che ha messo in disaccordo la platea di degustatori, alcuni l’hanno fortemente apprezzato, altri non sono rimasti convinti. Io sono nel primo gruppo, sebbene non sia fra i miei preferiti, riconosco una buona personalità, grazie all’acidità ben presente e a una polpa matura al punto giusto, c’è un ottimo equilibrio d’insieme.
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2000 – vino un po’ fuori dallo standard aziendale, figlio di un’annata interlocutoria, appare un po’ stanco, appesantito, con un tannino più grezzo, non coinvolge.
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1999 – mi aspettavo qualcosa in più da questo millesimo, temo però che parte della colpa sia nel non avere tempo sufficiente per farlo respirare e liberarsi di un fardello che lo destabilizza. Terziario evidente, cuoio, tabacco, liquirizia, prugna secca.
@@@3/4
1998 – è il primo vino, prodotto insieme ad Alexander Trolf, purtroppo arriva per ultimo ed è penalizzato, si sente che è un vino ancora tutto in divenire, impreciso, da inquadrare, una prova, fa comunque storia.
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Il Boca di Antonio Cerri
1991 – questo millesimo è rimasto la bellezza di dieci anni in botte. Spento? Affatto! E’ buonissimo, per nulla ossidato, qui torna prepotente quel segnale agrumato che sembra caratterizzare più il terreno che l’uva o il legno. Bocca freschissima, non è un vino tecnico e si sente, ma questo non sembra affatto penalizzarlo, una vera bellezza.
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1990 – coup de coeur! Davvero splendido, uno di quei vini che ti aprono il cuore. Una gamma infinita di delicate sfumature, tutte ben amalgamate, come il pointillisme costruisce una tela di Seurat, qui ogni ingrediente non spinge ma costituisce una componente di un insieme perfetto. Fantastico vino.
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1989 – naso minerale, quasi ferroso, molto bello; al gusto mantiene quel profilo, un ottimo esemplare per far capire le caratteristiche di queste terre. Vince per eleganza su potenza.
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1985 – chapeau bas per uno dei vini più straordinari della serata, 33 anni di vita e non sentirli. Quanta bellezza, non gli manca nulla, il percorso evolutivo è perfetto, senza sbavature, c’è ancora tanta freschezza e un’energia che da un vino con questi anni sulle spalle non ti aspetteresti.
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1970 – forse il vino meno avvincente, ma ha la sfortuna di essere preceduto da alcuni colossi. Tabacco da pipa, erbe officinali, qualche imprecisione di troppo. In bocca recupera qualcosa, buona freschezza, degno comunque di interesse.
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1961 – andiamo indietro di 57 anni, molti vini italiani e non solo, a questo punto sono cotti, morti, andati, iperossidati. Questo no! Impressiona per la purezza del frutto già al naso, tanto nerbo ed energia, sinuoso, avvolgente, profondissimo e infinito. Fantastico!
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1958 – si scende ancora, qui appaiono note di arancia amara, carcadè, noce, camomilla, mandorla. In bocca è molto bello, speculare nel suo incedere, molto particolare e affascinante.
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1950 – 68 anni. Signori in ginocchio. Dio c’è e fa vini come questo. Quanto garbo, gioia per il naso e per il palato, un vino perfetto, unico, emblematico di una terra magnifica. Ho seri dubbi sia possibile oggi produrre un vino di questa levatura e durata, ma mai dire mai…
@@@@@ (a fondo scala!)
In conclusione
Non posso che ringraziare Christoph per avermi coinvolto in questa bellissima esperienza, che fa riflettere. Antonio Cerri ha il merito, grazie al suo carattere ostinato e “indigeno”, di aver trasmesso attraverso i suoi vini tutta la bellezza di un territorio, ma anche una lezione per gli enologi moderni: a volte ad accapigliarsi con formule e procedure standardizzate, si rischia di perdere il fascino che il vino può trasmettere, di togliergli l’anima. Christoph lo sa, non è un interventista, rispetta le annate e cerca di dare ai suoi vini un’impronta moderna ma sempre fortemente vera, legata a questi luoghi che lo hanno fatto tanto innamorare. Bene così!
Roberto Giuliani