Per uno come me, che alle volte si dimentica quello che ha fatto il giorno prima, andare a visitare un’azienda e fare un salto all’indietro nel tempo di più di 500 anni, rappresenta sicuramente un’attività emozionante e ricca di significati storici e culturali. Ci troviamo in località Farra d’Isonzo e se andassimo a rovistare nell’archivio del seminario di Gorizia, troveremo una pergamena datata 5 aprile 1499, che consacra la nascita di Tenuta Villanova. Le terre che dalle rive alte dell’Isonzo arrivano fino ai rilievi del Collio, erano conosciute come alcova ideale per la viticoltura già al tempo degli antichi romani, e non serve ricordare quanto questo popolo fosse sensibile e competente sulle tematiche che riguardavano il vino. Primi protagonisti delle fortune della Tenuta Villanova furono i conti di Strassoldo che dopo aver acquisito l’azienda, la diressero per ben tre secoli. Nell’Ottocento è la famiglia d’origine ebrea dei Levi a continuare il processo di crescita ed espandere i confini commerciali anche all’estero. Seguirono successivi passaggi di proprietà, fino al 1932 quando con Arnaldo Bennati inizia quel processo di crescita e modernizzazione che arriverà fino ai giorni nostri. Oggi la famiglia Bennati è ancora protagonista e ha nella moglie Giuseppina la rappresentante prima, della proprietà e della storia della tenuta. A dirigere l’azienda troviamo però il nipote Alberto Grossi, che dalla famiglia ha ereditato la passione e le competenze per continuare un percorso che profuma di storia e tradizione, al pari della terra dove, in circa 103 ettari, 80 nella zona DOC Isonzo e i rimanenti in DOC Collio, le viti affondano le proprie radici.
Alberto in azienda segue tutto il ciclo produttivo ed è sempre pronto a dare il suo contributo, dalla campagna fino alle attività commerciali. Si avvale di un fidato gruppo di collaboratori che non fa sentire solo come dei dipendenti ma parte integrante di un’azienda che vuole anche essere una famiglia. La cantina è ampia e funzionale, risultato di un’accurata integrazione fra gli antichi locali e le nuove strutture, con delle sale dedicate agli acciai e un’affascinante barricaia dove i vini maturano prima di essere imbottigliati. Tre piccole autoclavi da 45 ettolitri sono usate per la produzione dei propri spumanti.
All’interno della tenuta ci sono delle sale adibite alla distillazione delle proprie vinacce, uno dei pochi esempi in Italia d’azienda che distilla direttamente le proprie materie prime. Dal lontano 1796 si producono selezioni di grappe e acquaviti, da vinacce miste e da monovitigno, e l’antica caldaia di rame con alambicco testimonia una tradizione che ha radici lontane. Il nome della linea di prodotti, Val di Rose, fu dedicato, da Alberto Levi, in ricordo e memoria di tutti gli ebrei sepolti in una valle del Vipacco che appunto si chiamava Val di Rose. La produzione di grappa e acquavite è limitata, ma se si parla di vino, i numeri diventano importanti. Tenuta Villanova produce circa 400mila bottiglie con un 60% dedicato alle tipologie bianche e il restante 40% alle rosse. Vengono prodotti due spumanti metodo Charmat, uno da uve di Moscato Rosa e l’altro da Pinot Nero che resta per dodici mesi a maturare in autoclave sui propri lieviti prima di essere imbottigliato. La gamma produttiva parte dalla linea base Meni, diminutivo di Domenico, storico lavoratore della tenuta. Le due etichette prodotte sono il blend Bianco Meni (40% Friulano, 30% Malvasia, 20% Chardonnay, 10% Pinot Bianco) e il Rosso Meni (50% Merlot, 25% Cabernet Sauvignon, 25% Cabernet Franc). Il grosso della produzione si divide fra la linea Villanova e la linea Ronco Cucco.
I vigneti ubicati in zona DOC Isonzo danno le uve per la linea Villanova, vini prodotti in acciaio che hanno nella fragranza, nella franchezza dei profumi e nella grande bevibilità il loro punto forte. Fa eccezione solo il Refosco che matura in legno per diciotto mesi in botti di rovere da 2500 litri. La linea di maggior pregio è sicuramente la Ronco Cucco. I vigneti si trovano in zona DOC Collio, parte sui pendii di Ronchi San Giovanni e parte sul Monte Fortino, il più alto di una serie di rilievi della zona, sito strategico di enorme importanza storica perché permetteva un ampio controllo sulla vallata sottostante e in tempo di guerra risultava fondamentale per la gestione di questa zona.
Oggi sono solo i vigneti a essere protagonisti, con le colline che ci regalano le condizioni ideali per produrre degli ottimi vini che oltre a risaltare per la loro grande mineralità e freschezza, ci offrono anche un arcobaleno di sfumature aromatiche e grande consistenza gustativa. Solo nelle annate migliori viene prodotto il Fraia (nel dialetto locale significa “festa”) che nato in vigna nel 1999 per festeggiare i 500 anni dell’azienda, è stato prodotto solo in altre quattro annate, di cui l’ultima il 2007. Si tratta di un blend con un 80% di Merlot e il restante di Cabernet Sauvignon che matura in barrique per 36 mesi e poi si affina per altri 12 mesi in bottiglia. Quando si visita un’azienda, è bello scoprire i profumi che si diffondono nella campagna e quelli che si formano in cantina. Se poi ci sono note più complesse, legate a secoli di storia, allora tutto diventa ancora più emozionante e dobbiamo essere grati alle realtà, come la Tenuta di Villanova, che ci permettono di toccare con mano quello che la fatica e il lavoro di uomini veri riescono a creare e tramandare alle generazioni future.
DIALOGANDO CON NADIA LA MILIA (export manager della Tenuta Villanova)
Il Friuli è, per caratteristiche del territorio e storia, una terra fatta di piccoli appezzamenti vitati e produttori artigiani del vino. Come riesce un’azienda più grande come la vostra a mantenere un’identità e una sensibilità produttiva, coinvolgendo nel progetto anche il personale che vi lavora? Se parliamo di anzianità di servizio, io sono l’ultima arrivata ma gran parte del personale lavora in Tenuta Villanova da molti anni e quindi conosce ed è vicino alla filosofia produttiva dell’azienda. Ultimamente c’è stata una maggiore sensibilizzazione e chi lavora, sente l’esigenza di conoscere i prodotti, le novità e gli obiettivi che l’azienda si è posta. A questo riguardo, abbiamo iniziato a pianificare delle riunioni con tutto il personale, dove si discute e si espongono le varie attività e i nuovi progetti e dove tutti sono liberi di dare i propri consigli ed esprimere le proprie idee. Detto questo, è inutile negare che quando ci sono tante teste da sensibilizzare e mettere d’accordo, il lavoro diventa più impegnativo. L’importante è comunicare le cose in maniera chiara, parlare con le persone e far capire che c’è un obiettivo comune da raggiungere e che il buon risultato finale deve essere motivo di soddisfazione per tutti.
Avete varie linee produttive. Quali sono le difficoltà che incontrate nel comunicare i vari stili e le differenze che ci sono fra tutti i vini che producete? Lavorare nel mercato locale e in generale in Italia è sicuramente più semplice. Molti clienti già ti conoscono e quindi sanno già come orientarsi fra la varietà della nostra linea di prodotti. Ovviamente per gli agenti e i distributori, tante etichette da presentare diventano un impegno gravoso, ma se vogliamo vedere l’altra faccia della medaglia, questa è anche una grande opportunità, perché rende possibile soddisfare le diverse esigenze del cliente sia in termini di prezzo sia di fasce qualitative. Nell’ultimo decennio, il mondo della comunicazione è cambiato moltissimo. Per raggiungere il proprio obiettivo, bisogna investire molto più tempo e dedicare attenzioni giornaliere a tutti quei canali del marketing e della comunicazione che ci aiutano a promuovere i nostri prodotti. Abbiamo deciso di sensibilizzare personalmente gli agenti e i distributori che commercializzano i nostri vini. Infatti, periodicamente li invitiamo in azienda per delle giornate didattiche, ma anche spensierate e mondane, in modo che possano vedere con i propri occhi come lavoriamo e qual è la nostra filosofia. Solo così avranno poi tutti gli elementi per riuscire, non solo a commercializzare, ma anche a trasmettere le emozioni che il vino riesce a donare. Nei mercati esteri diventa ovviamente tutto più difficile. Il Friuli Venezia Giulia in molti paesi non è ancora ben conosciuto. C’è assoluto bisogno di una maggiore e migliore promozione per rendere più facile il nostro lavoro e quello di tutti gli altri produttori della zona. Nel nostro caso, il dover comunicare le differenze, non solo fra le varie tipologie, ma anche fra due linee che rappresentano due territori diversi come il Collio e l’Isonzo, è impresa non certo facile. Ma anche se ci vuole più tempo, è bello quando si riesce a far capire al cliente straniero qual è la nostra filosofia produttiva e le differenze territoriali delle singole zone vitivinicole, rappresentate in degustazione dalle varie sfumature organolettiche dei nostri vini.
C’è un vino che più ti piace per gusto personale e qual è quello che forse meglio identifica l’azienda? Io amo lo Chardonnay, e il nostro Ronco Cucco, che si produce in zona Collio, è sicuramente il mio preferito, un nettare morbido e accogliente. E’ un vino che da sempre è stato sinonimo di eccellenza e motivo di vanto per l’azienda. Si racconta che in tempi lontani, ci fosse un via vai di curiosi, non sempre disinteressati, che bramavano per carpire i segreti di questo Chardonnay che solo da queste parti sviluppava caratteristiche qualitative e sensoriali uniche e difficilmente replicabili. Se devo citare un’altra tipologia, scelgo sicuramente la Malvasia che rappresenta e identifica la zona DOC Isonzo con la sua grande freschezza e mineralità.
Temi come sostenibilità e tutela dell’ambiente quanto sono vicini alla filosofia produttiva della vostra azienda? Non siamo un’azienda biologica ma siamo assolutamente vicini a tutte quelle tematiche che riguardano il rispetto per l’ambiente e i suoi delicati equilibri. Sicuramente ci interessa l’argomento viticoltura biologica e cerchiamo di restare sempre informati in materia. Riteniamo però che sia una filosofia difficile da perseguire nella sua interezza se l’ambiente circostante non segue la stessa strada e in alcuni casi è meno rispettoso delle sacre leggi della natura. La nostra regola basilare è quella di lavorare in maniera certosina in vigna, rispettare la natura per dover poi intervenire il meno possibile in cantina. La buona qualità delle uve deve essere l’elemento fondamentale per ottenere vini sani e di qualità.
Nella Tenuta organizzate eventi, meeting, degustazioni, ed è già in cantiere il progetto per adibire le storiche rimesse a strutture di ospitalità alberghiera. Quanto sono importanti per la vostra azienda tutte queste attività e come siamo messi in Friuli se sì tocca l’argomento della promozione del territorio e dell’accoglienza del turista? Ritengo che l’attività di accoglienza e l’organizzazione di eventi e degustazioni siano importantissime. Abbiamo la fortuna di avere una struttura e dei locali che ci permettono di fare un sacco di attività diverse, non solo legate all’enogastronomia ma anche al mondo culturale e musicale. Collaboriamo con le varie associazioni della regione, Consorzi di Tutela, AIS, Strade del Vino e dei Sapori, Movimento Turismo del Vino, all’interno di un circuito turistico ed enogastronomico che cerca di dare un’ampia e variegata offerta al turista che arriva in regione. Il Friuli deve imparare a comunicare meglio le grandi potenzialità della propria terra. Le sue bellezze artistiche e naturali e la bontà e varietà dei propri prodotti. Sarebbe necessario fare quadrato, unire le forze per comunicare meglio e con maggiore risonanza un messaggio che deve avere lo scopo finale di far arrivare tanti turisti in regione. Per la nostra azienda, nello specifico, è importante farsi conoscere, perché anche se le nostre tradizioni sono centenarie, non godiamo ancora della visibilità che forse meriteremo.
Sei appena ritornata dalla trasferta in Nord Europa dove hai rappresentato la Tenuta Villanova nel “Friulano on Tour”. Qual è il livello di considerazione che abbiamo nei paesi esteri? L’immagine dell’Italia enogastronomica riesce a prendere le distanze da un sistema politico e una gestione del paese che per certi aspetti è tragicomica? E’ inutile negare che nell’ultimo decennio, andando all’estero, specialmente negli Stati Uniti, potevi respirare a pieni polmoni, dai vari discorsi ironici, il clima d’incredulità e sfiducia che il berlusconismo e la pochezza della nostra politica in generale erano in grado di trasmettere. Come italiana restavo male dalla poca considerazione che avevano di noi, ma quando poi si passava a parlare di enogastronomia il clima cambiava. I nostri prodotti, i tanti bravi produttori, godono di una stima notevole e di un rispetto assoluto. Nell’ultimo viaggio in nord Europa, abbiamo avuto riscontri molto positivi e la consapevolezza che in questi mercati i nostri vini cominciano a guadagnarsi degli spazi importanti. La cosa fondamentale è comunicare in modo efficace e creare curiosità nelle persone che si avvicinano e desiderano conoscere la nostra terra. Paesi come il Belgio e la Danimarca consumavano maggiormente vini rossi. Però sono luoghi nei quali si mangia molto pesce che quindi trova un’ottima possibilità di abbinamento con i vini bianchi friulani. Il problema è che in questi paesi non c’è una grande tradizione gastronomica e quindi diventa più difficile creare la giusta cultura dell’abbinamento a tavola.
Qual è il paese estero che dà più soddisfazioni in termini di vendite e competenza della clientela? In Europa sicuramente la Germania, anche perché ci sono tanti italiani che lavorano e vivono lì e quindi sono sia consumatori sia promotori del made in Italy. Alla base c’è però anche una cultura del tedesco, che ama e cerca i prodotti italiani. Oltre oceano, sicuramente gli Stati Uniti, dove sono in crescita la conoscenza e il modo di approcciarsi al vino. Però anche l’Asia e in particolar modo il Giappone, apprezzano i prodotti italiani di alta qualità e sono estimatori della nostra cultura e delle nostre tradizioni. Volendo fare una battuta, ma non troppo, se fosse per me, lavorerei solo con i Giapponesi, perché hanno un profondo rispetto e senso degli affari e pagano sempre con puntualità quasi svizzera.
All’interno della proprietà, avete anche una distilleria dalla quale dal 1796 producete selezioni di grappe e acquaviti utilizzando la vostra materia prima. Qual è lo stato di salute di questi prodotti, penalizzati forse più del vino, nei ristoranti soprattutto, dalla paura dell’etilometro, e a che mercati vi rivolgete? Le regole della strada e l’etilometro hanno sicuramente penalizzato i consumi di grappa al ristorante. I nostri mercati di vendita sono per lo più locali o rivolti a qualche appassionato dello stivale. All’estero l’unico paese che ne è vero estimatore e consumatore è la Germania, anche se qualche segnale positivo sta arrivando dai paesi dell’Est, ma per ora si tratta semplicemente di contatti più che veri affari. La grappa è un prodotto che fa parte delle nostre tradizioni ed è quindi difficile da commercializzare oltre i nostri confini. Per noi fare grappa significa dedicarsi a un prodotto che fa parte della storia e delle tradizioni dell’azienda. E’ un modo con cui la signora Giuseppina Grossi Bennati vuole ancor oggi onorare il ricordo del marito Arnaldo, grande estimatore della grappa. Per il futuro abbiamo un progetto in piedi, ancora top secret, che ci permetterà, se andrà a buon fine, di aumentare un po’ i nostri volumi di vendita. Sicuramente non è nostra intenzione aumentare a dismisura la nostra produzione e scontrarci magari con i Nonino, che oltre a dedicarsi esclusivamente a questo settore, sono quelli che hanno tenuto alto il nome del Friuli commercializzando la loro grappa.
Dalla calda Sicilia sei venuta a lavorare nel più fresco Friuli. Aldilà delle differenze climatiche e caratteriali, cosa rimpiangi della tua terra e cosa invece ti ha colpito maggiormente della nostra regione? Della Sicilia mi manca sicuramente il calore e l’approccio umano che da noi sono elevati all’ennesima potenza e rappresentano un connotato socio-culturale della nostra terra. Le differenti condizioni climatiche aiutano sicuramente. In Sicilia fa più caldo, la gente esce di più all’aria aperta, s’incontra e socializza più facilmente. Nei climi più freddi si tende invece a ritirarsi di più all’interno delle proprie mura, vicino al focolare, in intimità con i propri cari. Dei friulani mi piace sicuramente la dedizione al lavoro, il fare le cose contando sulle proprie forze, cosa che in Sicilia non è così radicata, perché molte volte si tende a rimandare a domani quello che magari si può fare oggi. Il friulano è laborioso, coriaceo, serio, instancabile e queste qualità si ritrovano anche nei produttori di vino e nel loro operato.
Una pergamena del 5 aprile 1499, conservata nell’archivio del seminario di Gorizia, consacra la nascita di Tenuta Villanova. Siamo agli inizi di quel Rinascimento che porterà enormi cambiamenti ed eccezionale fervore artistico e culturale nel nostro paese. Siamo a fine 2013 e la situazione nostrana è un po’ diversa. Quali sono i tuoi sogni e le tue aspettative per il nuovo anno e quelli a venire? Sono da quasi quattro anni in azienda e il mio sogno sarebbe quello di vedere che tutti gli sforzi che stiamo facendo per promuovere i nostri prodotti e il turismo del Friuli Venezia Giulia sono stati ricompensati. Riuscire a raccogliere, specialmente all’estero, quei risultati che altre regioni dell’Italia stanno portando a casa da molto tempo. Il lavoro sta già dando i primi risultati, ma si tratta di un progetto a lungo termine che guarda in avanti, al futuro prossimo. Certo mi farebbe grande piacere che questo accada presto e che anche la Tenuta di Villanova possa beneficiare e raccogliere le soddisfazioni che merita.
|