Ciao Baldo
“Non voglio più abiti talari, basta con le etichette“, mi aveva detto l’ultima volta che l’ho incontrato, a luglio dell’anno scorso. Mi aveva poi telefonato a dicembre, per ringraziarmi di quel breve pezzo e al tempo stesso prendermi un po’ in giro, con quella sua ironia, mai banale o gratuita.
Se n’è andato, ieri pomeriggio, a causa di un brutto male che se l’è portato via troppo presto. L’ha voluto fare da casa sua per poter continuare a vedere le sue vigne in quel di Serralunga d’Alba lui che era nato ad Asmara nel 1944, dove chiunque passasse veniva sempre accolto con calore e semplicità. Re del Barolo chinato. È vero, ma francamente mi è sempre sembrato, non solo ora, riduttivo nominarlo solo per quella delizia, unica ed inimitabile, che produceva ogni anno in non molti esemplari. È stato uno di quei personaggi del mondo del vino, delle Langhe e del Barolo, unici: strenuo difensore della tradizione, del rispetto della terra e del nebbiolo, coraggioso come pochi nel prendere posizione, esporsi, alla ricerca del confronto, come aveva fatto ancora non molto tempo fa a Siena, accompagnando Franco Ziliani nel dibattito con Ezio Rivella circa le sorti del Brunello di Montalcino.
L’ultimo dei mohicani, altra sua oramai celebre definizione: gli altri due sono Bartolo Mascarello, scomparso qualche anno fa, e Giuseppe Rinaldi. Il lavoro di Teobaldo Cappellano verrà ora portato avanti dal figlio Augusto nel solco di quello del padre, sia in vigna che in cantina, attraversando i filari di Gabutti probabilmente con quella stessa scassatissima, ma efficiente Jeep, con la quale mi aveva scorrazzato l’ultima volta che l’ho visto, dicendomi: “voi giornalisti spesso avete il vizio di non chiedere di venire in vigna, volete andare direttamente in cantina a degustare“.
Ciao Baldo.
Alessandro Franceschini