Azienda vitivinicola Ornella Bellia: intervista all’enologo Andrea Masat
Da New York a Venezia il passo è stato breve. Del resto è l’energia che abbiamo dentro a muovere ogni cosa, a fare in modo che le sinapsi del cuore arrivino alle gambe per portarci ovunque noi scegliamo di essere. Ed eccomi a vivere nella splendida perla sospesa nella laguna veneta, dove oltre all’arte ingigantita dai riflettori della biennale, vi è il cibo ed il buon vino a coinvolgere in vortici indimenticabili di piacere assoluto. Ed è così che anch’io ho iniziato ad andar per bacari a consumare sfiziosi cicheti e le ombrete di vino.
Vi è tutta una letteratura attorno a questa bella abitudine veneziana dall’interessante etimologia e che trae origine da usanze, credenze e necessità di un tempo. Dove voglio arrivare è proprio ad uno strano incontro: l’essermi trovata, faccia a faccia con lui, stupendo, dai colori rossi intensi, inebriante, forte ma non troppo, carico, piacevole, che mi ha tenuto buona compagnia. Sto parlando del Signor CARMENERE dell’Azienda Vitivinicola Ornella Bellia di Pramaggiore (VE). Vino che si presenta anche in veste di artista con la collezione di bottiglie Art Packaging. E non è stato un caso, davvero, se qualche sera dopo mi sono imbattuta nel giovane enologo Andrea Masat che ho scoperto con immensa gioia essere parte di quella famiglia produttrice del vino in questione, la cui forza viene generosamente imbottigliata assieme al nettare d’uva.
E si sente tutta! L’interesse verso la cantina che ha prodotto il “mio” vino gustato con immenso piacere aumenta e vengo a sapere che l’azienda prende il nome della mamma del giovane Andrea, ed è di proprietà della famiglia da ben tre generazioni. La storia inizia nel 1951 nel cuore dell’area “Lison Pramaggiore”, nuova denominazione ad origine controllata “Venezia”. Diciotto ettari condotti a mezzadria dal nonno di Ornella, il Sig. Aurelio Bellia. Attualmente gli ettari di proprietà sono diventati oltre trentatré, senza contare i quaranta ettari dei selezionati conferitori costantemente a contatto con gli agronomi e gli enologi della cantina. L’arte di fare il vino è stata poi passata al padre di Ornella, il Signor Giovanni che con tanta dedizione ha tramandato valori e gesti che si perdono nei tempi. Gli stessi che Ornella con il marito Patrizio stanno passando al giovane Matteo e ad Andrea.
Trecentomila all’anno le bottiglie prodotte, una ventina di etichette, per coprire un mercato nazionale (80%) ed europeo sempre più in espansione. Importanti le presenze a fiere specializzate, con l’inserimento nei più quotati magazine del settore e nelle guide come quella ufficiale AIS Veneto.
Torniamo all’incontro con Andrea Masat. L’occasione è propizia per un’inevitabile intervista, mentre il ventiseienne mi offre un bicchiere di bianco, Incrocio Manzoni, giusto per farmi capire che Ornella Bellia non è soltanto l’amato Carmenere e per cercare di darmi una visione d’insieme.
Cosa rende speciale il tuo vino, Andrea?
Chi passa tra questa pianura, vede un paesaggio modellato dalla viticoltura. Ma chi tra queste pianure è cresciuto, imparandone i colori e i profumi, vede una terra in cui riscoprire il valore, i piaceri e le virtù. Innanzitutto il suolo è caratterizzato da un sottile strato di caranto (carbonato di calcio) e da uno più superficiale prevalentemente argilloso, entrambi di origine alluvionale, grazie all’apporto di materiale detritico da parte dei vicini fiumi Livenza e Tagliamento.
Terreni che presentano una buona capacità di riserva idrica, alti contenuti di elementi minerali quali potassio, calcio, magnesio ed un’equilibrata dotazione di sostanza organica. Qui il clima è temperato per la presenza delle vicine montagne e brezze marine del Mar Adriatico.
Oltre alle caratteristiche organolettiche del vino, quale altro ingrediente vi rende speciali?
La famiglia! Il nostro stretto rapporto, il confrontarci ogni giorno, il lavorare fianco a fianco, tutto questo aiuta anche alla qualità di ciò che produciamo. E’ un valore aggiunto. E poi vendemmiare assieme è un’esperienza unica!
Quale credi sia l’ingrediente giusto per una vincente imposizione nel mercato?
Credo che innanzitutto chi produce vino, come noi, abbia il dovere di trasmettere al consumatore anche il concetto di “terroir”, dell’insieme di tutte quelle caratteristiche che rendono il vino unico. Perché se io capisco ciò che bevo, tutto quello che ci sta dietro, compresa la storia, la fatica, la dedizione, l’attaccamento alla terra e ai rapporti umani, allora riesco ad assaporarlo completamente.
Tu sei enologo, ti sei diplomato all’Istituto Cerletti di Conegliano. Come definisci il mestiere che fai?
Mi piace che lo definisci “mestiere” e non professione. Perché amo questa definizione con tutti i significati più ampi. Io mi occupo della cantina, della vinificazione e della parte commerciale del prodotto, grazie anche a validi collaboratori che supportano me e i miei genitori in questa non sempre facile impresa ma che ci riserva sempre nuove grandi soddisfazioni. Trovo che ciò che faccio sia intrigante perché è un po’ come un lavoro da artista, dove trovano spazio fantasia e creatività. E poi mi accende l’incognita di sapere come andrà la stagione, quell’essere in primis spettatore di un piccolo grande miracolo che si rinnova ogni anno ma mai in maniera uguale o automatica, e portando con sé sempre un ricordo.
Qual è la qualità più importante che devi mostrare nel tuo operato?
Sicuramente l’umiltà di continuare a studiare e a non dirmi mai arrivato. Tieni presente che sono nato fra le vigne ma trovo sia indispensabile continuare a capire ed interpretare, ad esempio, i gusti del consumatore che variano in continuazione. Il suo modo di “percepire” il vino, con un ritorno ai vini semplici rispetto ad una decina di anni fa. Un’ altra dote è quella di far sognare quel “sogno buono” che è legato al vino ed è prima di tutto il mio sogno. Umile ma che porta al buon umore, all’aggregazione, ai veri valori semplici di una famiglia che tutti vorremmo felice ed unita come la mia.
Ed è con aria sognante che girando il capo osserva ancora fra le sue bottiglie D.O.C. Già immagino voglia stappare una terza bottiglia, (forse LISON?), per prolungare quel piacere al palato di cui andare veramente fieri.