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Alessandro Caggiano: l’ anima del Taurasi

vigneto azienda Antonio CaggianoCi sono storie che forse nessuno conoscerà mai. Storie di uomini, contadini, vignaioli che hanno dedicato l’intero spazio di una vita a produrre e trasformare i frutti della terra senza che mai nessuno si sia occupato di loro. Ignorati dalla critica, dalle guide, dalle riviste, dalle manifestazioni di settore e, di conseguenza, sottratti anche alla curiosità e all’attenzione di quei veri pochi appassionati. Non sto parlando di pastori nomadi, allevatori di renne, pescatori o comunità di monaci di qualche remoto angolo del globo per i quali, sia ben chiaro e non di meno, nutro il più profondo e sincero rispetto. Parlo di piccole storie che ci sfiorano, spesso, solo a pochi chilometri da dove abitiamo. Ho in mente il turista moderno che non ha mai visto le bellezze della sua città e decide di partire per qualche paradiso sperduto. Nulla di strano, nulla di male, se non fosse solo per quella insopportabile sensazione di impotenza che, ogni volta, mi coglie quando conosco vignaioli come Alessandro e ne ascolto, rapito, il racconto. In quelle parole riesco a respirare i profumi della vigna, del mosto, della cantina, del vino, del sudore e di tutto ciò che è intorno e ci circonda. Un piccolo pezzo di storia appartiene a quell’uomo, al suo racconto e alle sue parole.

Alessandro Caggiano
Alessandro Caggiano

Non riuscirò mai a rassegnarmi al fatto che un giorno insieme a quell’uomo tutto ciò che egli rappresenta probabilmente scomparirà sotto i colpi di qualche ruspa, nella presunta inevitabilità di una necessaria modernizzazione. Raccontarne la storia diventa, allora, non solo più un grande, immenso piacere ma un improrogabile dovere. Alessandro Caggiano, 65 anni ben portati, ci accoglie con una fierezza, nello sguardo, tutta irpina ed allo stesso tempo si mostra, da subito, sorridente e cordiale. Timido e riservato cerca di sfuggire, tutto il tempo, all’obiettivo della mia macchinetta digitale. Ed ogni frammento di quell’incredibile racconto quasi deve essergli strappato dalle labbra per poi spezzarsi senza soluzione di continuità alla benchè minima interruzione. C’è la consapevolezza di aver vissuto solo e semplicemente la propria vita senza riuscire a coglierne sempre la straordinarietà dei gesti. Le sue parole sono ricolme di orgoglio quando parla del suo aglianico, l’aglianico di Taurasi, o come ama definirlo lui stesso dell’agro taurasino, diverso da tutti gli altri, come lo è, sicuramente, il suo vino. Egli è cosciente, a modo suo, di averne preservato la memoria o, almeno, sicuramente, una parte di essa pur senza la pretesa di aver avuto in questo alcun ruolo strategico predefinito.

Le bottiIl titolo di questo mio tributo è già di per sé eloquente. Alessandro fu tra i primi vignaioli, nel 1975, ad imbottigliare con una sua etichetta l’aglianico dell’agro taurasino, durante gli anni in cui, per intenderci, l’Enopolio di Taurasi aveva, momentaneamente, sospeto la propria attività a seguito di una grave crisi finanziaria. Alessandro possedeva, a quel tempo, quattro vigneti localizzati in ordine sparso in diverse sotto-zone, tra le più vocate del territorio ed oltre ai rossi si dedicava anche ai bianchi: greco e fiano. Nel 1987 decise di dedicarsi esclusivamente alla conduzione dell’attuale vigneto, una proprietà di un ettaro e mezzo per una produzione di circa 6000 bottiglie, seguendo ante-litteram, pur senza ricorrere a nessuna certificazione istituzionale, i dettami dell’agricoltura biologica. Alessandro usa una piccola falciatrice per taglaire l’erba, un pò di poltiglia bordolese (questa sì certificata biologica) per trattare quando proprio occorre, del concime organico sempre rigorosamente “bio”; in cantina ci sono alcuni tini d’acciaio di varia capacità (3-6-10-20 ettolitri) e quaclhe vecchia botte, usata, da 6 ettolitri. Niente lieviti selezionati, niente enzimi, nessuna chiarifica e nessun filtraggio. La permanenza in rovere varia dai 6 mesi ad un anno.

Taurasi 1992Dopo essere stato il primo ad imbottigliare con la Doc, è stato anche il primo ad etichettare con la Docg nel 1992. Lo fece solo, però, quell’anno dal momento che decise subito, immediatamente e definitivamente, di uscirne retrocedendo il proprio rosso, negli anni successivi, a semplice Vino da Tavola. Il suo vino, secondo il suo pensiero, non aveva nulla da condividere con gli altri rossi presentati all’interno della Docg. Non si trattava di essere o sentirsi migliori o peggiori, solamente di non riconoscersi in quelle interpretazioni. Il problema principale, stando alle parole di Alessandro, non risiede solo nella maggiore o minore vocazione delle vigne (territorio, microclima, terroir), né nelle pratiche più o meno spinte di vigneto e di cantina. Tutti questi fattori, insieme alla sensibilità del produttore, pur essendo di fondamentale importanza non bastano. Il punto cruciale sta nel materiale genetico della vite, sulla cui originarietà sono ormai veramente in pochi, lui si considera tra questi, a poter contare e poter vantare.

innestoLe sue marze, quelle dell’87, provengono quasi esclusivamente da un vivaista locale che si preoccupava di attingere materiale solo in zona. Oggi quel vivaista non esiste più ed Alessandro continua a rinnovare il vigneto per propaggine attraverso il sistema “fai-da-te” (non vi spaventate dunque se quando arrivate vedrete centinaia di bottiglie di plastica tra i filari, sono parte strumentale in questo singolare processo rigenerativo della vite). Alessandro ha anche provato con delle barbatelle acquistate da fuori ma ha avuto sempre problemi (con un tasso di mortalità decisamente più alto ed inaccettabile rispetto a quello sopportato con le marze riprodotte in loco) e si è convinto che quello fosse un segno del destino…pardon del terroir.

Aglianico e Taurasi di CaggianoL’etichetta rimane alquanto anacronistica per approccio ed impostazione grafica ma rappresenta lo specchio fedele del liquido in essa contenuto e della filosofia produttiva di questo straordinario personaggio. Nella foto a lato ecco due rare bottiglie delle sue primissime produzioni tra le quali spicca quella con che riporta la prima annata Docg. All’inizio i suoi vini possono sembrare duri ed aspri, Nulla di cui preoccuparsi. E’ quello che ci si dovrebbe aspettare da un aglianico di Taurasi. Con gli anni le asperità si risolvono ed il vino acquisisce un’austerità ed una finezza non comuni. E, mai come in questo caso, dove gli imbottigliamenti sono molteplici, scaglionati nel tempo (anche a distanza di mesi) ed i tappi non sempre affidabili al 100%, la variabilità da bottiglia a bottiglia può diventare quasi la regola ed un elemento, in ogni caso, da non sottovalutare.

FilariAbbiamo assaggiato, per confortare la sua tesi, un ’98 che è risultato in splendida forma. Dopo alcune note di riduzione iniziale, il vino si è aperto su delicate note floreali e terziarie, con un leggero quanto accattivante sentore di cioccolato. Sembrava di mordere uno di quei cioccolatini con la ciliegia dentro: quelli veri, col gambo che spunta fuori dall’involucro di cioccolato. Le sfumature di rosa e l’austerità d’impianto fanno capire perchè un tempo parlando di aglianico si diceva il nebbiolo del sud. Alessandro ha conservato pochissime bottiglie a partire dall’87 fino ad oggi. Purtroppo di ogni vendemmia ne ha Il sistema di allevamento tesoleconservate solo 2/3 esemplari, ben custoditi nel silenzio e nell’oscurità di un angolo della sua cantina. Peccato! Non vi resta altro che andarlo a trovare e sperare quando una volta arrivati in cantina di riuscire ad entrare nelle sue grazie per convincerlo a sacrificare qualcuna di queste vecchie annate. Sono sicuro che non sarà, poi, così difficile conoscendo la sua generosità e la sua disponibilità nell’accogliere gli ospiti.

ll suo rosso VdT è ottenuto seguendo le indicazioni varietali e percentuali stabilite dal La vitedisciplinare del Taurasi. 85% di aglianico e 15% di sangiovese e piedirosso che Alessandro ha piantato nelle parcelle della sua vigna meno adatte all’aglianico (sulla parte più in basso della vigna nella foto precedente). Quella in questa foto, invece, è una pianta con più di ottanta anni che oramai produce solo pochissimi grappoli. Alessandro ha voluto preservarla per testimoniare l’antico sistema di allevamento a raggiera avellinese (“tesole” in dialetto irpino) ancora diffuso nella zona tra alcuni piccoli contadini vignaioli.

Il metodo di allevamento che, al momento, si può osservare tra i filari è, anch’esso, del tutto Le mani di Caggianooriginale: assomiglia ad altri sistemi di coltivazione senza coincidere con nessuno di essi. È il risultato di tanto duro lavoro in vigna.

Questa l’unica regola d’oro di Alessandro che ci mostra le mani, il suo principale strumento di lavoro, per testimoniare la fatica e l’amore con cui ha sempre svolto il suo lavoro di contadino. La sua vigna, il suo universo. Ci confida di non aver mai lasciato la sua vigna né la sua cantina neanche per brevi periodi e sempre più spesso diventa forte la tentazione di andar via, di allontanarsi per andare a vedere come è il mondo lì fuori.

Cartello aziendaCerte volte penso a come sarebbe divertente se il Consorzio di Tutela del Taurasi in occasione di Anteprima invece di andare a far visita (come di prassi) da uno dei suoi membri consociati, portasse i giornalisti da Alessandro Caggiano. Forse farebbe il più grande autogol della sua breve storia oppure forse renderebbe il grande merito che gli spetta ad un bravo vignaiolo. Più semplicemente e di sicuro renderebbe onore alla storia di questa illustre denominazione.

Fabio Cimmino

Fabio Cimmino

Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comincia a girovagare, senza sosta, per le cantine della sua Campania Felix. Diplomato sommelier ha iniziato una interminabile serie di degustazioni che lo hanno portato dapprima ad approfondire il panorama enologico nazionale quindi quello straniero. Ha partecipato alle più significative manifestazioni nazionali di settore iniziando, contemporaneamente, le sue prime collaborazioni su varie testate web. Ha esordito con alcuni reportage pubblicati da Winereport (Franco Ziliani). Ha curato la rubrica Visioni da Sud su Acquabuona.it e, ancora oggi, pubblica su LaVinium. Ha collaborato, per un periodo, al wineblog di Luciano Pignataro, con il quale ha preso parte per 2 anni alle degustazioni per la Guida ai Vini Buoni d'Italia del Touring. Nel frattempo è diventato giornalista pubblicista.

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