A spasso tra Caprili e Armilla con Giacomo Bartolommei
Generazioni che si susseguono, per fortuna, e danno continuità al mondo del vino.
Investimenti, quando è possibile, mirati a migliorare tutto il processo produttivo e ottenere vini di pregio, che piacciano a chi li fa e, si spera, a chi li acquisterà. Esperienze e conoscenze che si trasmettono di padre in figlio, fornendo una base utile per evoluzioni future.
La ragione che mi ha spinto a parlare di Armilla nasce dal fatto che quest’anno ho avuto modo di degustarne il Brunello e il Rosso di Montalcino a Benvenuto Brunello, e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Decido di andare a visitare l’azienda, ma la persona che vedrò si occupa anche di un’altra realtà, già ampiamente affermata.
Mentre il giovane enologo Giacomo Bartolommei mi racconta delle novità di Caprili, azienda che la sua famiglia fondò esattamente 50 anni fa, non posso fare a meno di ricordare quanto Montalcino abbia subìto una radicale trasformazione dagli ultimi trent’anni, quando il vino italiano, dopo lo scandalo del metanolo del 1986, fece un balzo in avanti puntando ad una qualità sempre maggiore e a una crescita degli ettari vitati e delle bottiglie prodotte di anno in anno. Basti pensare che nel 1980 furono messe in commercio solo 63.583 bottiglie di Brunello di Montalcino, mentre oggi abbiamo 2100 ettari iscritti alla Docg e una produzione annua che si aggira sui 10 milioni di bottiglie.
Come sempre accade, il successo non fa fare sempre scelte oculate e, magari, non tutti quegli ettari meriterebbero di poter produrre Brunello, ma quello di perdere il senso dell’equilibrio è un male decisamente nazionale e non riguarda certo solo il vino.
Non siamo qui, però, per divagare sulle problematiche che sono scaturite dalla crescita esponenziale dei territori vitati a Montalcino, nelle Langhe o in Valpolicella, sarebbe un discorso troppo lungo e, probabilmente, noioso. Preferisco tornare a Giacomo e a Caprili, una splendida realtà situata nel podere omonimo, dove i Bartolommei nel 1965 impiantarono il primo vigneto, ancora oggi chiamato “Madre”, perché è da lì che sono stati ricavati i cloni per i nuovi ceppi impiantati nei successivi vigneti aziendali. E la prima annata di Brunello risale al 1978, messa in commercio nel 1983.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, o forse dovrei dire di vino, oggi la parte enologica è nelle mani di Giacomo e dello zio Paolo, con la consulenza di Mauro Monicchi. Faccio un giro dell’azienda e vedo tante novità, c’è la nuova cantina che sarà pronta per la vendemmia di quest’anno; sopra una bellissima struttura per il ricevimento delle uve, di fronte i vigneti. Degusto le nuove annate di Rosso 2013 e Brunello 2010, le avevo già apprezzate a Benvenuto Brunello e a distanza di poche settimane trovo perfetta conferma.
Ci spostiamo da Armilla, a Tavernelle, solo 7 km da Montalcino, qui Silverio Marchetti acquistò nel 1980 un rudere e 4 Ha e mezzo di terreno, lo fece restaurare per costruirci l’attuale casa, dove si trasferì con la moglie nel 1982. Silverio veniva da un’attività lavorativa presso una importante azienda agricola ilcinese, ormai prossimo alla pensione, decise di investire in vigneto gli ettari di terreno che aveva acquistato.
Impiantato il primo ettaro e costruita la cantina, iniziò a vendere il vino sfuso poiché la Docg in quel momento era chiusa. Nel 1995 riuscì finalmente ad ottenerla per una buona parte del vigneto, intanto con la moglie Ofelia si affiancano le figlie Ilaria e Fiorella; poi arrivano i nipotini Nicola, figlio di Fiorella, e Giacomo, figlio di Ilaria. Purtroppo nel 1997 Silverio muore prima di poter vedere la prima bottiglia di Brunello messa in commercio. La famiglia, ormai allargata fra moglie, generi, figli e nipoti continuerà l’avventura di Armilla, una piccola azienda che farà parlare molto di sé, ne sono certo. Oggi sono proprio i nipoti Giacomo Bartolommei e Nicola Giannetti, con la consulenza di Paolo Caciorgna, a seguire il processo produttivo di Armilla, e i vini meritano la massima attenzione, ecco le mie impressioni sul Rosso di Montalcino 2013 e sul Brunello di Montalcino 2010.
Rosso di Montalcino 2013
Gradazione 14%, sangiovese 100%
Già dal colore si può intuire qual è lo stile in casa Armilla: rubino luminoso con lampi granati verso il bordo; accostato al naso non si fa alcuna fatica a capire che si tratta di un sangiovese di Montalcino, profuma di ciliegia matura, lampone in confettura, viole macerate, timo e alloro, felce, sensazioni molto gradevoli ed equilibrate che accompagnano un sorso avvolgente e succoso, sorretto da una buona acidità e un tannino misurato e quasi setoso.
Il Rosso di Montalcino che vorresti avere a casa, per me è una conferma dato che lo avevo già ampiamente apprezzato a Benvenuto Brunello 2015, questi ulteriori tre mesi di affinamento in bottiglia gli hanno fatto bene, ora è proprio pronto per essere goduto, se siete vegetariani magari con una zuppa di farro e fagioli rossi o con una pappa al pomodoro un po’ più speziata del solito, mentre se non lo siete sono ideali le pappardelle al sugo di lepre e la pecora in umido.
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Brunello di Montalcino 2010
Gradazione 14,5%, sangiovese 100%
Deriva da un vigneto di circa 2 ettari e mezzo impiantato nel 1982 su terreno argilloso-calcareo con presenza di galestro e tufo, l’età media delle piante è di 30 anni, condizioni ideali per la produzione di questo vino. La fermentazione dura tre settimane e si svolge in vasche d’acciaio termoregolate, la maturazione in botti da 25 e 26 Hl per un periodo di 24-30 mesi secondo l’annata, a cui segue circa un anno di affinamento in bottiglia.
L’incantevole bouquet, che affiora con eleganza, senza prorompere ma con un incedere progressivo e sempre più ampio, ci rimanda a ciliegie e prugne, ribes, mirto, poi è come immergere il naso nel bosco, abbassandosi fino a percepire la terra, per poi risalire al bosso, alle bacche, girando l’angolo in direzione del tabacco, di quello che nel tempo diverrà cuoio, per finire sulla liquirizia.
Al palato riserva un trattamento adeguato, sempre sul filo dell’eleganza e della misura, non c’è opulenza ma una fresca e avvolgente giocosità, non così frequente nei Brunello, il frutto e le spezie accompagnano piacevolmente il sorso con un tocco di sapidità, mentre il finale lungo, che ben nasconde la generosa alcolicità, rivela una delicata balsamicità. Da provare con spalla d’agnello farcita alla toscana (con salsiccia sbriciolata, spezie tritate e verdure).
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Roberto Giuliani