A pranzo con Antonio Albanese (Parte seconda. Il 1992, “Su la Testa!” e l'(a)normalità di un Paese)
Ti ho visto per la prima volta nel 1992, a “Su la Testa!”, una trasmissione cult per molti della mia generazione.
Certo, grande.
Per altro io abitavo non lontano da dove giravate le riprese.
A Baggio quindi. (Quartiere della periferia ovest di Milano ndr)
Giravate all’interno di un tendone da circo. Ho cercato tante volte di prendere i biglietti, ma non ci sono mai riuscito.
C’era la tendopoli in RAI la notte prima.
Era un periodo particolare. Tangentopoli era appena esplosa. Tu hai esordito con un personaggio, Alex Drastico e poi successivamente con Epifanio. Come è stata l’esperienza con quel gruppo?
Non ho parole. Indimenticabile. Perché prima di tutto è stato il primo impatto vero con la televisione. E poi il convivere con un gruppo meraviglioso. Un gruppo di autori e attori meravigliosi. Gli autori erano Gino e Michele, Solari, Posani. Insomma, gente che lavora seriamente.
Anche Michele Serra?
No, Michele è diventato mio autore in seguito, quando ho fatto “Giù al Nord”. Quella di “Su la Testa!” per me è stata un’esperienza meravigliosa. Gente per bene. È stato un lavoro sincero, onesto.
Cosa intendi?
Siamo arrivati con del materiale, con delle cose da dire. Siamo arrivati con alle spalle tanto lavoro, tante prove, non è nato il giorno prima. Incontri su incontri.
Paolo Rossi è un professionista in questo?
Paolo Rossi è un mio amico ed è un grande professionista. E poi è uno dei corpi più belli della comicità italiana. Io gli voglio molto bene. Amo il suo lavoro, la sua onestà.
Alex Drastico lo sentii subito familiare, ma Epifanio fu deflagrante. Dicevi tre cose e facevi tutto con una fisicità incedibile. Bastava guardarti per ridere.
Infatti è stato il via.
Mi piaceva però più a “Su la testa!” che successivamente a “Mai dire Gol!”.
Sai, bisogna adattarli. Per me sono state entrambe esperienze bellissime, ma diverse. Bisogna adattare e vivere questo adattamento come un’esperienza piacevolissima. Così come è diversissimo da Fazio. È diverso l’ambiente, è diverso lo studio, l’interlocutore, la spalla. Cambia tantissimo.
Da Fazio il pubblico sembra sempre molto distante. Tu quando reciti da lui lo senti comunque presente?
Certo. A “Su la Testa!” ero dentro il pubblico. Sono scelte registiche. È chiaro che se hai un pubblico che fa la fila due notti per essere presente, appena apri bocca ride e si diverte, quindi l’effetto è maggiore. Ma a dire la verità non è poi neanche questo che fa la differenza. Se è bello piace anche da casa. Il tempo poi ti da ragione.
Tornando a “Su la Testa!”. La percezione di quello che stava accadendo com’era? Accendevi la televisione ed ogni giorno c’era un arresto o un avviso di garanzia.
Io, personalmente, la vivevo da spettatore. La mia comicità in quel periodo era una satira di costume più che politica. Ho sempre rappresentato, in un certo senso, delle conseguenze. Ho vissuto tangentopoli perché poi, comunque, all’interno della trasmissione era un tema centrale. Si sentiva, certo. Noi viviamo il nostro tempo. La comicità vive il tempo che ti circonda, quindi non puoi non sentirla. Però non ho mai trattato la politica direttamente perché la trovo troppo semplice, anche se non puoi, comunque, non prenderla in considerazione.
Però con Cetto la Qualunque…
Si, ma Cetto la Qualunque non racconta solo il nostro tempo. Racconta anche di mio padre che cinquant’anni fa è stato costretto a lasciare la Sicilia per il Nord. Racconta di un territorio che è sempre in mano a queste merde.
Perché hai scelto un calabrese?
Avevo già fatto Alex Drastico che era siciliano, quindi mi piaceva cambiare.
Quindi non c’è una ragione particolare?
No, io adoro la Calabria.
No, sai. Potresti essere accusato, da qualcuno molto in alto in questo momento, di rovinare la reputazione di una regione in questo modo.
Perché?
Beh, le dichiarazioni del Premier da questo punto di vista…avrai sentito cosa ha detto su Gomorra, Saviano?
No. Io ho deciso di non ascoltare più certe testimonianze. Non è più possibile. Io non sono una persona intelligente, però il mio quoziente intellettivo non me lo permette più. Siamo a livelli, veramente, paradossali. Noi viviamo in un paese dove un uomo come Saviano, rischia di fare la vita dei delinquenti che fanno il 41bis. Segregato. Siamo in un paese dove un ragazzo che ha deciso di raccontare delle verità è perseguitato. Un paese civile dovrebbe fermarsi e cercare di risolvere cose del genere. Ed invece no. La normalità è questa ed allora di cosa stiamo parlando? È assurdo. Saviano è un uomo che ha semplicemente raccontato con onestà una realtà che quotidianamente gli da ragione, e invece è un uomo che vive segregato. Ma ti sembra che nel 2010 questo possa rappresentare un paese civile? No.
Alessandro Franceschini
Le altre due parti dell’intervista
• Parte Prima. Il vino, i sommeliers e il pedalino del ciclista
• Parte Terza. La pesca, Cetto e l’arte della comicità