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News dal mondo della birra

Vento Forte: la California, Bracciano e il terroir

Hilary Antonelli e Andrea Dell'Olmo

“Le uniche IPA in Italia che si avvicinano a quelle californiane, sono le sue, sempre freschissime” il vicino di bancone nerd, che quando non è negli Stati Uniti, cerca forse di alleviare le distanze.

“Beh sì lui è famoso per le IPA, e le sa fare pure bene, ma le cose a fermentazione spontanea che ogni tanto fa…lì è un genio” l’amico publican.

“Chi è quel ragazzo così bello che ho visto in foto? Ma che devo iniziare a bere birra per conoscerlo? E’ anche un surfista? WOW” l’amica in palestra, che quanto ignora di birra tanto nota altrove.

Di chi stanno parlando? Ovviamente di Andrea Dell’Olmo e del suo birrificio Vento Forte, da qualche anno molto noto, sia nelle zone intorno Roma, come nel resto d’Italia. Con molta attenzione imbottiglia le sue birre spedendole in giro, dal momento che, soprattutto le IPA, non sono fatte per durare dietro una non corretta conservazione, abitudine che lamenta nella filiera italiana, spesso carente di una distribuzione attenta sia ai trasporti che allo stoccaggio. Conosco Andrea da un po’ di tempo, ci troviamo spesso insieme nelle domeniche al Ma Che, e bevo le sue birre praticamente da sempre. Era il momento di andarlo a trovare.

A Bracciano il birrificio è sospeso tra bosco, castello e lago. Lo scenario è estremamente rilassante. Anche il capannone, da poco ristrutturato si presta ad un utilizzo da buen retiro non poco produttivo, dato il lavoro costante quasi 7 giorni su 7.

Identificabile appunto con uno stile influenzato in tutto dalla West Coast californiana, mi aspetto un incontro focalizzato sul genere. Invece no. Iniziamo parlando di vino.

Il primo luogo in cui mi conduce è una cantina, un non luogo data la sua segretezza non segreta, in cui mi presenta le sue botti con orgoglio. La birra è stata inoculata all’aperto, a contatto con il bosco in cui si trova il birrificio. La prima che assaggiamo, con aggiunta di vinacce merlot, invecchia da novembre, ma risulta un prodotto già vendibile, anche perché è davvero molto buona, mentre l’altra è un blend più speziato, in cui emergono le vinacce del syrah e dall’aspetto piuttosto torbido dato dai lieviti ancora in sospensione. Con trasporto mi racconta le botti, ognuna è diversa dall’altra, aspetto che non immaginava tanto evidente, cui segue una considerazione sul ruolo del blender, figura che reputa essere un po’ sottovalutata, ora realmente conscio del lavoro in cantina.

Hilary Antonelli

L’altra birra richiama le storiche grisette, dal nome delle operaie dalla divisa grigia (gris) che nelle fabbriche dell’800 avevano anche il compito di portare la birra ai minatori, i quali, al pari dei lavoranti nei campi e delle loro saison, necessitavano di qualcosa di dissetante e leggero tanto da poterne bere in quantità. Proprio come quelle, anche qui il corpo è superleggero, per un prodotto rustico, con aggiunta di cereali come segale e avena. Con i suoi 4 gradi, è fantastica, complessa nei sapori dopo 2 anni in botte, passaggio che le permette di evolversi.

“Non fresca ma vintage” si gira ridendo, e intanto i bicchieri si svuotano, non so quanto resteranno là dentro le birre più giovani. Infatti con la scusa di testare le continue evoluzioni delle botti, la cantina è ormai diventata il rifugio di Andrea.

Il progetto nasce nel 2013 insieme al birrificio, ma necessita di molto lavoro, prove, e continui tentativi. Proprio come i Belgi insegnano, bisogna rispettare il tempo. Per cui, immagino ne riparleremo tra un po’. E poi bisogna seguire l’intuito. E direi che quello non gli manca dato che ormai fa bere tutta Roma e oltre.

Risaliamo al birrificio, tra i profumi del bosco, e due sono le domande che mi preme fargli: le sue intenzioni per il futuro e quali le sue birre che maggiormente lo identificano.

Sul primo punto è molto chiaro, non intende perseguire la strada più ovvia, dell’aumento in termini quantitativi, sia nella produzione che nella distribuzione.

Ciò che davvero lo stimola è l’idea di giocare con i lieviti selvatici creando un legame con il territorio. Per lui, l’aspetto in cui l’Italia è carente, una reale cultura storica birraria, maggiormente appartenente ai vicini Belgio e Germania, arriva a costituire un punto di forza nel momento in cui diventa uno sprone alla ricerca, alla creatività e allo sviluppo.

“Torniamo a far comandare la terra” mi dice mentre assaggio la Farmhouse 2014 Amarone che mi ha appena versato. Ed ecco che favoleggio su un movimento di anarchia agricola, che recita il suo slogan. E’ un attimo. In un lampo penso alle terre di Mordor che si agitano e a Leopardi alle prese con il dialogo tra la Natura e un islandese.

Beh…forse il comando alla natura per me è ancora un passo d’avanguardia spinta. Però è un bel traguardo cui tendere.

Vasche d'acciaio

Torno alla Farmhouse, ottima, e passiamo con disinvoltura dalla terra a Terra Viva, e ai vini bevuti pochi giorni prima, entrando in un discorso più ampio sulla biodinamica che lo appassiona molto, presumo con concreti piani futuri.

Terroir è la parola che più utilizza, il suo sogno sarebbe sfruttare le risorse locali, e trattandosi di birra il riferimento va subito ai malti, discorso che implica diverse e numerose problematiche. In sostanza gli piacerebbe ricreare qualcosa di caratteristico che sia legato esclusivamente al territorio in cui è stato prodotto. Che non sia riproducibile altrove. Ingredienti compresi.

Guardo l’attrezzatura per il surf nell’aia, e poi Andrea, il modo di raccontare solare e carico di entusiasmo, l’estrema pulizia del birrificio, il suo fermarsi rivitalizzato sotto il primo raggio di sole cocente nello stesso istante in cui io corro a rintanarmi nell’ultimo cono d’ombra, e noto quanto sia evidente in lui una convivenza di tutti questi elementi, che passano poi direttamente nelle sue birre.

E così arriviamo al secondo punto, quali le sue birre?

Le birre

La maggior parte di esse, che è facile trovare alla spina, vi consiglio di assaggiarle direttamente. Che siano pale ale, ipa o session – definizione tanto discussa – in tutte quante protagonista è il luppolo, e una freschezza sempre garantita. Sul genere amo molto la PRO – Follower 8%, che a differenza delle altre double IPA, riesce ad evitare le tipiche incongruenze attribuibili allo stile. Tutto raggiunge un equilibrio ottimale nella sua versione più “leggera” la Follower 7,1% una IPA dai sapori tropicali (mango, passion fruit, papaya) che mai esagerano ma si armonizzano con il caramello. A bilanciare il dolce, un amaro resinoso non eccessivo, e dalle note lievemente citriche. Il finale è secco.

E Andrea tra tante, quali sceglie?

Uno stile come l’IPA – mi dice – si comunica da solo, il luppolo ben usato tende a piacere subito senza troppe spiegazioni per cui, vira su quelle che per lui hanno subito una minore diffusione, soprattutto in quelle nelle nuove realtà avviate sull’onda della moda cui non ha seguito adeguatamente competenza e passione.

A dirla tutta, lui usa il termine sottovalutate, ma a me non è parso dato la porter che mi nomina, è considerata da molti una delle sue migliori:

Cargo 4% brown porter ispirata a quelle inglesi della working class portuale del 700 e 800, nutrimento degli scaricatori di porto, bevuta a pinte da mezzo litro. Malti tostati, non troppo bruciati, cacao e nocciola molto più decisi rispetto al caffè di una Stout.

Oatmeal amber, amber ale con un discreto quantitativo di fiocchi d’avena che le conferiscono morbidezza e cremosità, il tappo di schiuma è una panna densa. Al naso nocciola e biscotto che tornano anche in bocca. La birra rimane comunque secca e facile da bere. Su questa lui è categorico, la domanda da non fare è: che luppoli ci sono? Perché qua, il protagonista è il malto.

Nel frattempo finisco la mia Farmhouse, e parlando di Amarone terminiamo come abbiamo iniziato, con i vini. Curioso come sempre più spesso mi ritrovo a bere birra parlando di vino.

Anche se in questo caso neanche troppo bizzarro, dato che il birrificio italiano che più rimanda al sole californiano nasconde il cuore proprio in cantina.

Poi magari sale su ad abbronzarsi.

Hilary Antonelli

Appassionata di birra artigianale, con un debole da anni per Franconia e West Coast USA coltiva quotidianamente la sua passione tra pub, amici publican, birrai e non, e viaggi fino all'altro capo del mondo. Lasciando poco spazio alle mode, il suo posto preferito era e resta il bancone del pub. Tra una birra e l'altra si occupa di promozione e tutela del Made in Italy agroalimentare nel mondo.

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