Riecine, Gaiole, John e Palmina
Riecine, dal 1971, è una piccola perla incastonata nel terroir del Chianti Classico e, nonostante i tre cambi di proprietà di tre nazionalità diverse, ancora oggi, dopo 45 anni, rappresenta un punto di riferimento per il sangiovese di Gaiole in Chianti.
Tutto ebbe inizio con un ettaro e mezzo di vigna che, John e Palmina Dunkley, dopo una vita trascorsa a Londra, decisero di recuperare e curare con amore genitoriale. Bastava attraversare il giardino di fronte a casa ed ecco quella vigna, protetta alle sue spalle dai Monti del Chianti, che guarda dall’alto dei suoi 500 metri s.l.m. il paese di Gaiole e la vallata, esposta per ore e ore alla luminosità del sole.
Negli anni il parco vitato è stato arricchito con tante altre tessere che lo hanno portato agli attuali 21 ettari grazie all’acquisto di piccoli appezzamenti, individuati dopo attente valutazioni agronomiche sempre all’interno del comune di Gaiole. Si tratta di parcelle tutte situate ad altezze importanti da alta collina ma con terreni molto diversi uno tra l’altro: la vigna di Riecine, ad esempio, poggia su terreni dove prevale quarzo, roccia, argilla, a Vertine, invece, è il masso vivo a prevalere, un terreno povero che costringe la vigna a cercare in profondità il suo nutrimento per poi dare vita a vini sapidi e minerali. C’è poi la vigna di Casina, quasi abbracciata da un fitto bosco, e qua la vigna si confronta con un terreno in cui prevalgono scisti e sabbie. Del mosaico di vigneti fanno poi parte Riecine Bosco e Palmina (dedicato alla signora Dunkley, vigna storica impiantata negli anni ’70 da cui proviene il Riecine di Riecine), San Martino e infine Gittori, quest’ultimo pressoché confinante con la “vigna madre” e situato su antichi terrazzamenti.
A seconda dell’età degli impianti varia il numero di ceppi ad ettaro, dai 3.400 presenti nelle vigne degli anni Settanta ai 5.000 / 6.000 del decennio passato. La forma di allevamento è da sempre il guyot ma in tempi recenti a Riecine è stato introdotto anche l’alberello, non più appannaggio della sola viticoltura meridionale ma sempre più impiegato in zone come la Toscana centrale, un tempo con temperature di tipo continentale ed oggi interessate dagli effetti dei mutamenti climatici. E così, sotto il cocente sole chiantigiano, l’alberello protegge e ombreggia i suoi grappoli.
Tutte le operazioni di campagna sono dettate dalle regole della viticoltura biologica e supportate da processi biodinamici.
Durante la raccolta la selezione è molto severa, una prima cernita è effettuata in vigna e porta in cantina i soli grappoli integri e maturi, sugli acini diraspati si interviene nuovamente e solo perfette gemme brune entrano nella nuova cantina (2014) dove ora sono presenti vasche di fermentazione in cemento non trattato, attrezzature per la movimentazione delle uve e un innovativo sistema di umidificazione degli ambienti.
L’uva arriva in cantina in piccoli contenitori all’interno dei quali viene pigiata delicatamente coi piedi – pratica del tutto desueta in Chianti – in modo da lasciare integri i vinaccioli dell’acino e non rendere troppo omogeneo il mosto. Questo viene poi trasferito in contenitori di cemento, acciaio o legno a seconda della vigna di provenienza ed inizia la fermentazione che grazie alla temperatura controllata estrae nella misura voluta tannini, colore, aromi. La fermentazione si sviluppa in modo naturale, senza aggiunta di lieviti, inizia quindi molto lentamente e permette al mosto di acquisire il suo vero carattere. Il cappello che si forma in superficie viene manualmente spinto verso il basso quattro volte il giorno e altrettanti sono i rimontaggi. Per aumentare infine l’ossigenazione del mosto è utilizzata anche la pratica del délestage.
Lunghi sono i tempi della macerazione, che si protrae oltre i 40 giorni, segue la fermentazione malolattica ed è poi tempo di affrontare il lungo periodo di maturazione – dai 12 ai 24 mesi a seconda della struttura del vino – in acciaio, in vasche di cemento, in tonneaux e barriques, legni nella gran parte già utilizzati in modo che le cessioni aromatiche siano contenute.
Tutte queste operazioni, fino ad oggi, sono state effettuate sotto l’attenta regia di Sean O’Callaghan che non solo è stato l’enologo dell’azienda ma anche una persona che, negli anni, ha rappresentato e garantito la continuità del progetto Riecine anche se proprio in questi giorni ha informato, tramite post su Facebook, che non farà più parte dello staff aziendale stante la sua voglia di intraprendere nuove strade lavorative. Ma Sean è così, è un personaggio eclettico Sean già nei suoi dati anagrafici: nato in Sri Lanka, inglese di nazionalità, ha studiato Enologia e Viticoltura all’autorevole università di Geisenheim e fatto le sue prime esperienze di lavoro sempre in Germania. Arrivato in vacanza in Toscana nel 1991 non l’ha più abbandonata, “fatale” fu l’incontro con John e Palmina Dunkley che proprio in quell’estate cercavano un aiuto per la loro azienda. Con il passare degli anni l’aiuto è diventato un tecnico di primo livello che ha permesso all’azienda di confermare la sua centralità nel mondo del vino italiano. Sean era a Riecine quando vi arrivò nel 1998 il nuovo proprietario, l’americano Gary Baumann, e nel 2012 quando l’azienda è stata acquisita da Svetlana Frank. “Negli anni – dice Sean – ho imparato a conoscere le vigne di Riecine, a capire come si comportano e a prendermi cura di loro. Uso tutto i miei sensi quando faccio il vino. Cuore incluso”.
Riecine produce quattro diverse interpretazioni di sangiovese le quali, durante una bellissima giornata
romana, sono state presentate all’interno dei giardini dell’Hotel De Russie da Alessandro Campatelli (General Manager) e Amandine Zeman (responsabile commerciale).
Il primo vino proposto è stato, ovviamente, il Rosé for Jasper 2015 (100% sangiovese) che, nelle intenzioni dell’ex enologo O’Callaghan, dovrebbe rappresentare il vino più immediato e disinvolto della gamma vista la sua eccezionale facilità di beva caratterizzata da importanti ritorni di buccia d’uva e sale marino. Note tecnica: il rosé è ottenuto da un pressurage diretto, senza quasi nessuna macerazione, viene successivamente maturato in in cemento.
Il secondo vino degustato è stato il Chianti Classico “Riecine” 2014 (sangiovese 100%) che incanta sia per colore, uno trasparentissimo rosso rubino, sia per carattere ed ambizione visto che, nonostante l’annata certamente non facile, è un sangiovese sottilissimo, apparentemente effimero, che al sorso denota solidità e territorialità allo stato puro. Nota tecnica: il vino fermenta in contenitori aperti e affina per almeno 18 mesi in barriques non nuove, vasche di cemento non trattato e acciaio. Dell’annata 2014 sono state prodotte 40mila bordolesi.
Il terzo vino presentato è stato il Riecine di Riecine Igt 2012 (sangiovese 100%) le cui uve provengono dalla vigna storica dell’azienda le cui radici sprofondano all’interno di un terreno di calcare e roccia. Dal 2010, anno di proma produzione, rappresenta la vera essenza di Riecine che ritroviamo all’interno di un vino decisamente elegante e complesso che, a mio parere, strizza l’occhio ai grandi Premier Cru di Borgogna (provate a degustarlo alla cieca e ne vedrete delle belle). Note tecnica: l’uva raccolta e selezionata è lasciata in parte con i grappoli interi. Dopo la pigiatura viene fermentato in tini aperti e matura per almeno 24 mesi in vecchie botti di legno. Dell’annata 2012 sono state prodotte 5.000 bottiglie.
La Gioia, quarto vino presentato, nasce nel 1982 con l’intento di dotare Riecine del suo Supertuscan che, anche in questo caso è solo sangiovese proveniente da vigneti dalle diverse caratteristiche morfologiche. L’annata 2012 si presenta variegata e complessa nei profumi dove ritrovo la ciliegia matura, il timo, la lavanda, la mineralità scura, il tabacco e la violetta appassita. Sorso generoso ed armonioso e dal finale lunghissimo. Chapeau! Nota tecnica: il vino matura per 36 mesi in barrique e tonneaux di cui il 60% di primo passaggio. Dell’annata 2012 sono state prodotte 5,000 bottiglie.