Pantelleria, uno spettacolo a cielo (e mare) aperto
Nei miti letterari il concetto di isola è spesso utilizzato per descrivere un altrove immaginario nel quale rifugiarsi o, al limite, per rappresentare un luogo protetto caratterizzato dalla pace e dalla serenità. A Pantelleria non mancano sicuramente tali valori, in quanto la generosità dei suoi abitanti, l’euforia aromatica dei suoi vini e la semplicità dei suoi piatti si rivelano, come per incanto, gli indiscussi protagonisti. Già, in ogni suo punto sono sensibili gli effetti degli scambi termici creati dal mare, che si riflettono in una cultura profonda e vissuta del paesaggio.
L’isola ha sempre avuto il potere di evocare, specie nel passato, il sapore dell’avventura, dell’ignoto, del fantastico, rendendola sede perfetta di altrettante storie, favole e vicende mitiche. Pantelleria, con ogni probabilità, non racchiude tutto questo mistero, ma, rivendica con il giusto orgoglio il suo essere “altrove” e il suo contenere un ambiente autosufficiente, sicuro e completo in sé stesso. Una piccola grande porzione di terra, con i suoi immancabili aspetti di originalità e stravaganza, dove comunque regnano la tranquillità e la distensione; e dove nemmeno gli scogli perigliosi dei suoi litorali e la durezza della sabbia di origine vulcanica, evocano paralisi o tantomeno inquietudine.
Pantelleria è dunque un caleidoscopio di storia e cultura: un territorio tanto ambito quanto conquistato, da sempre. Abitata nel corso dei millenni dai Sesi, Fenici, Romani, Bizantini e Arabi, concedendo tracce perpetue ed evidenti, l’antica Cossyra, ma anche Bent el Riah (figlia del vento in arabo), rappresenta dopo Malta la più grande delle isole intorno alla Sicilia e culmina nell’antico cratere della Montagna Grande (836 m slm), contornato da altri vari coni craterici detti cuddie. E numerose sono infatti le manifestazioni vulcaniche: le favare, grandi emissioni di vapore acqueo dai crepacci delle rocce; i bagni asciutti o stufe, grotte naturali con emanazioni di vapori; le sorgenti termali; le buvire, pozzi di acqua salmastra e tanto altro ancora…
In questa piccola grande isola, centro autorevole della civiltà mediterranea per via della sua ricca storia, alcuni prodotti hanno trovato infatti un’eccellente terra d’elezione, talvolta assumendo forme, colori, profumi e sapori irriproducibili altrove. Il suo clima piuttosto assolato (nonostante risulti un grande attrattore di nuvole per via delle altezze), particolarmente ventoso ma comunque temperato e caratterizzato da una discreta scarsità di piogge, hanno reso, altresì, ogni frutto della terra, sia spontaneo che coltivato, un autentico concentrato di gusto ed umiltà.
Paesaggio ora aspro, ora verdeggiante; comunque, altamente vario e pittoresco, insomma selvaggio e tremendamente attraente.
Gli abitanti di Pantelleria rimangono un popolo di contadini piuttosto che di grandi marinai o al limite pescatori, con alle spalle infatti un’abitudine agricola millenaria ed eroica. Sul suolo nero e rossastro, derivato da rocce bruciate e lava vulcanica, non troppe coltivazioni riescono di fatto ad attecchire, ma crescono rigogliose elargendo frutti di notevole sapore: dai capperi alle olive, agli agrumi (questi ultimi in particolare tutti protetti dai tradizionali giardini) e, the last but not least, all’uva zibibbo, in passato coltivata per ricavarne uva passa, oggi quasi esclusivamente per ottenere nettari unici.
Il vino, quindi, non manca di certo e gioca un ruolo fondamentale all’interno del comprensorio. Qui la vite è coltivata ad alberello molto basso (per via del vento) con espansione orizzontale alquanto strisciante, spesso e volentieri su terrazze di piccole dimensioni delimitate da muretti a secco in pietra lavica che contribuiscono a prevenire l’erosione del suolo. E che si sviluppa, inoltre, all’interno di conche scavate in modo da raccogliere al meglio la rara pioggia e l’umidità della notte, cercando di evitare al massimo i rischi di marciume.
Piccole imprese (accompagnate dall’emanazione di alcune grandi siciliane) tratteggiano così uno sfondo in cui la qualità regna sovrana, accompagnata dall’utilizzo di una esigua meccanizzazione, ma sempre e comunque, a salvaguardia del tipico.
La versione Passito continua imperterrita ad esprimere straordinari equilibri tra dolcezza e freschezza palatale, nonostante sia a tutti gli effetti “un vino di calore, non certo di luce”, come ci ricorda saggiamente Salvatore Murana. La volontà dei produttori (e aggiungo io, correttamente) vuole però misurarsi in nuove sfide, come la produzione di una maggiore quota di vini bianchi secchi, consapevole del fatto che l’uva si presta ottimamente a tale tipologia e fermo restando che “coltivare la terra a Pantelleria è un vero atto d’amore”, parafrasando ancora le parole del presidente dell’omonimo Consorzio, nonché della cantina Pellegrino, Benedetto Renda.
Pantelleria rimane allora un’isola autentica che non ha mai peccato di mistificazioni e che ci tiene a sottolineare, orgogliosamente, il suo essere “territorio”. Il suo scenario selvaggio, “pitturato” dalle ossidiane che affiorano dalle sue viscere, è quindi un inno alla biodiversità, senza alcun azzardo. Un’alchimia salmastra e terrestre, una commistione di opposti apparenti, dove non si può essere assediati dall’acqua marina, poiché la ricchezza aromatica del lentisco, della ginestra, della fillirea, del caprifoglio, associata all’affascinante architettura a misura d’uomo, fa davvero venir meno i limiti naturali.
Perduta o meno nell’immensità favolosa dei suoi mari, la cultura del territorio pantesco è ancora viva e vibrante, poiché l’accoglienza è realmente sentita come una forma di elevazione spirituale (come ci evidenzia infine l’eclettico G. Fabrizio Basile) che si coniuga sempre più attorno al paradigma dello sviluppo sostenibile, racchiudendo in un unico valore, paesini, paesani e paesaggio. Forse un concetto non troppo stagionato, entrato nel vocabolario isolano da poco tempo, ma che pone una complessiva visione della qualità della vita, attraverso l’esperienza diretta tra l’habitat naturale e l’utilizzo sapiente e responsabile delle risorse.
Pantelleria continua così a essere uno spettacolo a cielo (e mare) aperto. È un’isola che c’è (per leggere al contrario un celebre brano musicale) e che nel suo cerchio magico, ingloba e protegge un eden arricchito da una vegetazione lussureggiante e da gustose delizie culinarie. La gente che vi soggiorna, con un semplice sorriso, esprime infatti tutti i giorni dell’anno e con assoluta modestia, la consapevolezza di vivere in un luogo baciato, assolutamente, dalla dea bendata.
Lele Gobbi