Pantelleria, l’isola figlia del vento, del sole, della roccia e naturalmente del vino
Posta nel Mediterraneo, tra la Sicilia e le coste della Tunisia, l’isola di Pantelleria è un crocevia delle influenze più disparate che ne hanno modellato un’identità unica e singolare
Terra di vento, sole e mare, ma soprattutto isola agricola, Pantelleria è il risultato della parte emersa di un affioramento vulcanico che si estende per 83 km2 e ad oggi, a seguito delle diverse dominazioni – dai fenici ai saraceni, dagli arabi ai bizantini – mostra le tracce indelebili che ognuno di questi popoli ha lasciato nella civiltà pantesca attuale.
L’unicità delle sue caratteristiche paesaggistiche e culturali, restano testimonianza intatta di tradizioni secolari, tale da aver ricevuto ben due riconoscimenti UNESCO, rispettivamente quello per la “Vite ad Alberello” del 26 Novembre 2014 ricevuto anche grazie alle azioni promosse dal Consorzio Volontario di Tutela e Valorizzazione dei vini a DOC dell’Isola di Pantelleria, e per “L’arte dei muretti a secco”, che dal 28 Novembre 2018, un patrimonio unico che rientra nella lista dei beni immateriali dichiarati Patrimonio dell’Umanità. Dal 2016, Pantelleria è anche Parco Nazionale – l’unico in Sicilia – che occupa l’80% del territorio di tutta l’isola e punta sulla sinergia tra ambiente naturale e ambiente antropizzato.
La vera anima dell’isola, quella del suo territorio ancestrale, non vive di solo mare, al contrario è stato infatti modellato nel corso degli anni dalla cultura agricola che con i terrazzamenti ha permesso in questa terra così selvaggia, la diffusione di coltivazioni quali quelle dello zibibbo e dei capperi. Ed è qui, in sinergia con il lavoro del Parco Nazionale, che si inserisce la realtà del Consorzio Volontario di Tutela e Valorizzazione dei vini a DOC dell’Isola di Pantelleria, costituito nel 1997 dalle aziende più rappresentative dell’isola.
Come sottolinea Benedetto Renda, Presidente del Consorzio: ”Pantelleria è un’isola molto complessa e il Consorzio fa da collante, perché parlare di vino significa parlare di storia, di cultura, di ambiente, di clima; quindi il consorzio vuole essere il collante delle altre realtà economiche dell’isola”.
Quello che sorprende nel visitare l’isola è senza dubbio la sua energia unica e magnetica, che, come in tante realtà agricole, soffre in questo momento il problema dell’abbandono dei terreni e della mancanza di giovani che vogliano preservare e proseguire le tecniche colturali, frutto di una tradizione che va senz’altro tutelata. La questione è sicuramente la difficoltà di portare avanti pratiche agricole che fanno rientrare Pantelleria in quella che viene definita agricoltura e nello specifico viticoltura, eroica, dove la raccolta, che si tratti di uva, olive o capperi non può che essere fatta manualmente.
Più di cento anni fa l’isola non solo era autosufficiente, ma in pieno splendore e neanche l’autoisolamento era un problema; infatti, gli agricoltori erano anche armatori; un luogo che è la prova tangibile di come l’uomo è riuscito a modellare la natura impervia per garantirsi, nel tempo, la propria sopravvivenza.
Le condizioni pedoclimatiche hanno sempre stimolato l’abitante pantesco a trovare le soluzioni migliori, come nel caso della costruzione dei “dammusi”, le tradizionali case in pietra riconoscibili dalla copertura a cupola, progettati per massimizzare e raccogliere al meglio l’acqua piovana convogliata attraverso grondaie e condotta in tubi diretti alla cisterna ad essi annessa.
O ancora il sistema del “Giardino pantesco”, solitamente di forma circolare, che segue lo stesso principio dei muretti a secco e la cui parete è un recinto che viene eretto allo scopo di creare un clima adatto allo sviluppo di un albero di agrumi al suo interno. Alto anche 5 metri, crea al suo interno un microclima unico che non solo lo mantiene in ombra per tutto l’arco della giornata, ma garantisce una costante presenza di acqua all’agrume.
Purtroppo oggi come ricorda Benedetto Renda, Presidente del Consorzio: ”L’attività agricola ha avuto una diminuzione importante riguardo la produzione di uva, ma va anche detto che sono cambiate le condizioni, che l’uva di Pantelleria prima era consumata come prodotto fresco – poi soppiantata dall’uva Italia dell’agrigentino e del ragusano – in seconda battuta veniva usata come uva passa per il mercato dolciario – anche questa soppiantata da uve turche – e non ultimo la produzione di vino. Inoltre, oggi il vero problema è il passaggio generazionale e il fatto che il settore del turismo alletta di più i giovani, sia perché meno faticoso, ma anche perché meglio retribuito”.
Di conseguenza quali sono gli obiettivi del Consorzio? In che direzione vuole dunque andare? Il primo passo per affrontare questa domanda è senza dubbio il mettersi in discussione e confrontarsi, ma in secondo luogo cercare di tutelare quello che la storia del luogo e delle tradizioni raccontano, senza però limitarne il progresso.
Risulta senza dubbio interessante il lavoro che si sta svolgendo sulla produzione del Pantelleria bianco secco, senza per questo rinnegare le origini tradizionali del passito, ma anzi affiancandolo e rendendo una lettura diversa dell’uva Zibibbo.
In merito ai soci e ai numeri produttivi, il consorzio conta 22 produttori associati, per una superficie vitata di circa 400 ha e una produzione di imbottigliato di circa hl 8.787,35 (dati del 2021), di cui la prevalenza destinata alla produzione di passito liquoroso (Hl. 5.727,03), seguito dal passito naturale (Hl. 1.423,48). Riguardo il Pantelleria bianco, i numeri ad oggi si attestano sui 634,48 ettolitri, ma sembra di intuire che ci sia la voglia di investire maggiormente su questa tipologia. Interessante e stimolante ascoltare la voce di alcuni soci produttori, tra cui Salvatore Murana e Fabrizio Basile, entrambi legati in modo viscerale a Pantelleria.
Non si può andare a Pantelleria senza incontrare Salvatore Murana – la cui cantina è immersa nella piccola contrada Mueggen – fedele custode dell’isola, un vero punto di riferimento, che ha riscritto la storia del vino passito artigianale siciliano a base di Zibibbo, puntando e credendo anche sul Pantelleria Bianco. Il suo Pantelleria Gadì 2019, vino il cui nome trae origine dalla suggestiva località di Gadir – famoso sito archeologico conosciuto fin dai tempi più antichi per il fenomeno delle “acque calde”, grazie alla presenza di attività vulcanica sottomarina – racconta nel calice i profumi delle erbe mediterranee, della maggiorana e della cedrina, a cui si uniscono in modo discreto le note di zagara, mandorla e gelsomino. Un vino che lascia nel sorso la forza vulcanica dell’isola e dei suoi venti, con la sua traccia sapida e al contempo fresca.
Lo segue a ruota Fabrizio Basile, proprietario di Cantina Basile, in Contrada Bukkuram, che sottolinea in modo sentito l’importanza e le differenze delle diverse aree dell’isola, non solo dal punto di vista dei suoli, ma soprattutto di come la ventilazione e l’esposizione incidono sulla maturazione delle uve, tali da far orientare la produzione del bianco secco, piuttosto che del passito.
La sua è una di quelle realtà autentiche, dove l’accoglienza e lo spirito di condivisione sono messi in primo piano. Anche qui in un contesto unico in cui perdersi con lo sguardo, si scorgono tra le vigne gli appositi stenditoi, che a settembre sono ricoperti dalle uve zibibbo, che vengono coccolate come se fossero dei bambini bisognosi di cure e attenzioni, proprio per permettere l’appassimento naturale e dare vita al passito di Pantelleria.
Intrigante il suo Passito di Pantelleria Shamira 2017 (il cui nome è una dedica alla moglie; S Hamira sta per Principessa Simona), un vino che racconta nel calice le note di dattero, noce, fico, spezie orientali, chinotto e scorza d’arancia; seducente con il suo color ambra, elegante e di grande equilibrio. Molto interessanti anche le altre sue declinazioni dell’uva Zibibbo, in particolare nel suo Pantelleria Bianco Sora Luna 2021.
Sempre parlando di passito, chiudono il cerchio le produzioni delle aziende Pellegrino e Donnafugata, due aziende iconiche che hanno creduto e investito in diversi territori della Sicilia, tra cui l’isola di Pantelleria, dove l’azienda Pellegrino approda nel 1992, iniziando un nuovo capitolo della sua storia e stringendo un legame profondo con l’Isola. Qui la cantina è la prima realtà produttiva di vino da uve zibibbo, provenienti da vigneti di viticoltori locali, ed è qui che nascono il Nes e il loro Pantelleria Bianco Isesi 2020, che esprime i profumi e la magia di quest’isola.
In contrada Khamma, in un anfiteatro naturale costituito da vigneti coltivati su piccoli terrazzamenti, si trova invece la cantina di Donnafugata; un luogo magico dove si resta affascinati non solo dalle vigne centenarie, ma dal prezioso Giardino Pantesco che l’azienda ha donato al FAI, che protegge al suo interno, una pianta di arancio secolare. Interessante poter assaggiare una versione meno giovane del loro Passito di Pantelleria Ben Ryé, l’annata 2008 si racconta per quella che è la sua evoluzione; nel calice si distingue per il suo carattere sfaccettato e complesso, che gioca su note di melassa di fichi, caramello, balsamiche, mediterranee di ginestra e tostate di arachidi pralinate e fave di cacao. Un vino di grande eleganza, profondità e freschezza gustativa.
Quello che emerge è l’unicità di questi luoghi, ma anche la necessità di non perderne le tracce. Bisogna cercare di salvarne le radici, puntando a preservare l’espressione più antica di questa agricoltura mediterranea e delle sue produzioni, soprattutto dando al passito di Pantelleria, un nuovo futuro. Bisogna cercare di renderlo più contemporaneo senza snaturarlo, dandogli il valore che merita, casomai giocando a tavola, senza relegarlo ai canonici abbinamenti con i dessert o alla fine del pasto, ma osando – come qualcuno ha già iniziato a fare – con antipasti o portate intermedie e finanche primi piatti. Insolite, ma riuscite combinazioni, capaci di ricreare quell’essenza vulcanica, espressiva, sfaccettata e mediterranea che caratterizza quest’affascinante isola.
Fosca Tortorelli