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Monte Maletto di Gian Marco Viano e la “Nouvelle Vague” dei viticultori eroici di Carema

Fotografie di Danila Atzeni

Gian Marco Viano
Gian Marco Viano

La storia di Gian Marco Viano è soprattutto una storia che parla di passione e grande caparbietà. Questi termini, talvolta usati a sproposito nel mondo del vino, rappresentano il carburante che alimenta un progetto ambizioso che sin dal principio mi ha coinvolto e a cui ho aderito con slancio. Ma andiamo per gradi perché prima di parlare dell’uomo bisogna parlare della natura e del luogo, e in questo caso ci troviamo a mio avviso in uno dei territori vitivinicoli più affascinanti del Piemonte.

Il paesaggio di Carema

Il comune di Carema è un piccolo borgo di circa 800 abitanti situato in provincia di Torino al confine con la Valle d’Aosta, vanta una tradizione legata alla viticultura che risale al 23 a.C., si narra che il vino prodotto in questa zona fu saccheggiato dai legionari Romani per festeggiare la vittoria sui Salassi. In epoche più recenti, attorno al 1597, lo ritroviamo protagonista in un famoso libro del medico Andrea Bacci che lo annovera come uno tra i migliori vini dell’epoca. Mario Soldati, famoso scrittore e regista dello scorso secolo, dedica parole entusiasmanti a questo lembo affascinante e antico del nord Piemonte, celebre la sua massima nel trattato enoico “Vino al Vino”, un libro cult per gli appassionati: “Carema ha una struttura strana e meravigliosa, che le deriva appunto dalla sua ubicazione e dalla sua funzione, appunto come Venezia e New York. Non diversamente da queste città, la sua bellezza è unica.” Stupendo il modo in cui la descrive: “Colonne di pietra inghirlandate di vigna”.

Vigneti a Carema
Vigneti a Carema

La mia esperienza nei confronti di Carema comincia più o meno agli inizi del 2007, quando da appassionato di vino e montagna partivo da Novara in direzione Aosta almeno una volta ogni due mesi, per una passeggiata nel centro storico o in qualche vallata circostante, scorta di Fontina DOP e vini valdostani che già ai tempi mi colpivano per grande duttilità nell’abbinamento gastronomico, vini da avere sempre in cantina a mio avviso. Superata l’autostrada A4 e incrociata l’A5 Torino-Aosta, dopo pochi chilometri, all’altezza di Quincinetto, ricordo che giravo sempre le sguardo verso un vero e proprio spettacolo della natura, un paesaggio montano dove tuttora la roccia domina, la pietra riempie lo sguardo ingentilita soavemente da terrazzamenti spettacolari in cui vi alberga la vite. Un vero e proprio paese vigneto, dove le viti a pergola albergano tra le case, si alternano ai giardini, ai cortili, un intreccio di colori e sfumature che rallegrano il cuore, rigenerano l’anima, soprattutto a quelle persone come me che nonostante un doveroso distacco psicologico vivono giornalmente la frenesia del capoluogo lombardo.

Pergola
Pergola

Agli inizi dello scorso secolo la vite costituiva per gli abitanti di Carema una delle risorse più importanti, era fonte di grande lavoro e ricchezza, una vera e propria icona della comunità, ha sempre rappresentato anche visivamente il comune. I vigneti, tra i più caratteristici d’Italia, sono una vera e propria peculiarità del posto, lo sguardo si perde sulle stupende terrazze che formano un anfiteatro naturale che parte dai 300 metri s.l.m. sino ad arrivare ai 600. La caratteristica principale che nel corso dei secoli ha fatto guadagnare a questo territorio la menzione “Viticultura Eroica” è rappresentata sicuramente dalla conformazione del suolo. Vi è una forte pendenza e per impedirne l’erosione l’uomo, grazie al suo ingegno e ai pochi mezzi a disposizione dell’epoca, ha adottato il famoso sistema del terrazzamento costituito da muretti in pietra a secco. Così facendo ha realizzato inoltre il sistema a pergola, una forma di allevamento particolarmente rispettosa della natura, adatta alle caratteristiche ambientali, anche detta “topia” in dialetto piemontese, la cui intelaiatura di travi è spesso sorretta dai caratteristici tutori in pietra tronco-conici, chiamati “pilun”.

Pilun
Pilun

I caratteristici colonnati in pietra oltre a sostenere tutto il sistema di pergole hanno un importante funzione termoregolatrice, la pietra durante il giorno si scalda parecchio e questo calore lo rilascia anche nelle ore notturne riuscendo a mantenere un clima meno rigido tra i vari vigneti. Lo spazio a Carema è sempre stato limitato e soprattutto un tempo questo sistema di allevamento consentiva anche la coltivazione degli ortaggi sotto la pergola, “di necessità virtù” è proprio il caso di dirlo.
Carema è una vera e propria conca morenica, un esempio stupendo della caparbietà dell’uomo che in questo lembo di Piemonte si è ostinato a voler coltivare la vite. Solo percorrendo a piedi questi terrazzamenti ci si può davvero rendere conto di quanto sforzo fisico e spirito di sacrificio servano per seguire la vite in tutte le sue fasi, è impensabile ogni tipo di meccanizzazione da queste parti, raggiungere con la macchina il punto di partenza degli stessi vigneti è stata un’impresa. I vicoli del borgo sono strettissimi, se avessi guidato io, abituato alla pianura novarese, a quest’ora la fiancata della macchina assomiglierebbe a una tela di lamiera violentata da Freddy Krueger.

Architettura caremese
Architettura caremese

Il terreno, come in tutto il Canavese terra di confine, è di origine morenica e ricco di svariati elementi per via di una grande varietà di rocce che provengono dal famoso disfacimento. Il PH, come diverse zone del Nord Piemonte è piuttosto basso, compreso tra valori pari a 5-6, in virtù della natura acida o sub-acida della reazione. Questa tipologia di rocce appartiene al gruppo denominato silico-alluminoso-alcalino, ed è corrispondente ai massicci cristallini delle montagne più importanti d’Italia, abbastanza vicine a Carema: il Monte Bianco, il Monte Rosa ed il Gran Paradiso.

Un grappolo di nebbiolo
Dettaglio di un grappolo tardivo

La DOC Carema è nata nel 1967, deve il nome al suo comune di provenienza, l’unico a rientrare nel disciplinare di produzione. Il protocollo prevede l’utilizzo minimo dell’85% di uve nebbiolo, la particolarità di questo vino è data dall’impiego di due particolari cloni, uno è il picotendro o picoutener, che nella forma dialettale significa “dalla buccia tenera”, l’altro è il pugnet. Nel restante 15% sono ammesse uve a bacca rossa non aromatiche, provenienti dall’ambito aziendale, idonee alla coltivazione nella provincia di Torino, le più utilizzate sono il neretto e il ner d’ala, anche chiamato vernassa o neirèt dal picul rus, varietà autoctone che stanno pian piano recuperando fama e interesse da parte degli appassionati viticultori come Gian Marco. Queste uve, anche se applicate in percentuali minime, sono in grado di dare al Carema DOC una tipicità che lo caratterizza notevolmente. Questo concetto è molto importante e avviene in molte regioni d’Italia, ad esempio in Alto Piemonte in provincia di Novara, un territorio molto vicino a Carema, con DOC quali Boca, Fara e Sizzano ma anche DOCG come il Ghemme, dove al nebbiolo, localmente chiamato spanna, vengono sempre affiancati vitigni autoctoni quali vespolina e uva rara. Per quanto sia un amante sfegatato dei vini prodotti con l’impiego di un solo vitigno, devo riconoscere che il rispetto della tradizione storica di una DOC è molto importante, sia per tutelare importanti uve che fanno parte del patrimonio enologico italiano, sia per dare al vino caratteristiche di unicità e forte aderenza al territorio di elezione. Il consumatore o appassionato potrà così “facilmente” riconoscerlo, identificarlo e allo stesso tempo crescere come degustatore. Come tutti i vini piemontesi importanti a base nebbiolo, il Carema DOC dev’essere sottoposto a un periodo di invecchiamento piuttosto importante, in questo caso il disciplinare impone 24 mesi per il “base”, 36 per la “Riserva”, di cui 12 in legno di rovere o di castagno con decorrenza dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.

Il sentiero per raggiungere il vigneto La Costa
Il sentiero per raggiungere il vigneto La Costa

Ho imparato ad amare il vino di Carema grazie a due importanti realtà del territorio, le uniche che hanno sempre prodotto questo vino con una coerenza e costanza qualitativa del tutto invidiabili. La prima è la Cantina dei Produttori di Carema, fondata nel 1960 da un gruppo di 10 viticultori residenti, a oggi questa bella realtà con sede a Carema, vanta 101 soci di cui 71 conferenti uve per un totale di 13 ettari di vigneto. La seconda è Ferrando, un’azienda con sede a Ivrea, che non ha certo bisogno di presentazioni perché da cinque generazioni conquista le tavole di tutti i grandi appassionati di nebbiolo di montagna, e non solo. Ho personalmente conosciuto i proprietari anni fa, prima Luigi, poi il figlio Roberto che attualmente gestisce l’azienda, devo riconoscere che sono persone davvero appassionate che hanno fatto conoscere il vino di Carema in tutto il mondo.

Nel corso degli anni ho seguito molti comprensori vitivinicoli al loro esordio mediatico, ricordo con piacere il territorio di Dolceacqua nell’estremo ponente ligure al confine con la Francia, un territorio unico nel suo genere, bagnato dal mare e protetto dalla Prealpi marittime, il tutto in pochissimi km. Sono trascorsi ormai più di dieci anni, ripenso al periodo in cui cominciò a guadagnare i primi consensi di critica e pubblico, grazie a un gruppo di appassionati viticultori che con un gioco di squadra esemplare riuscirono a risollevare le sorti di un’intera DOC destinata alla pseudo estinzione, forti di un territorio tra i più particolari d’Italia e di un’uva, il rossese, le cui potenzialità sono infinite, vini che posseggono grandi doti di eleganza.

Nel vigneto La Costa
Nel vigneto La Costa

A Carema sento che sta accadendo la stessa cosa, dal 2014 un gruppo di giovani viticultori fortemente appassionati e motivati, ha iniziato a coltivare le proprie uve e a fare i primi esperimenti in cantina, cercando di valorizzare al massimo soprattutto il lavoro in vigna tra gli stupendi pilun.

Il primo di questi giovani ragazzi che ho avuto il piacere di incontrare è Gian Marco Viano che ha avviato la sua attività vitivinicola nel 2014. Il nome Monte Maletto lo deve all’Alpe omonima che sovrasta e protegge i vigneti di Carema. La sua è una filosofia produttiva che si ispira al regime biologico, ossia divieto assoluto di qualsiasi prodotto di sintesi, utilizzo in vigna di zolfo, rame e corroboranti naturali composti da alghe, oli essenziali e fiori d’arancio. La sua è una storia affascinante, per certi aspetti diversa da altre in cui mi sono imbattuto. Dopo aver conseguito un diploma in campo tecnico, Gian Marco decide di cambiare strada. Come tanti si avvicina per gioco al mondo del vino, ma decide di frequentare il corso per diventare sommelier; una volta ottenuto il diploma, con grande spirito di avventura prende un aereo e comincia a girare l’Europa per fare un po’ di esperienza nella ristorazione. La grande tenacia e il suo talento lo portano in sette anni a lavorare in diversi ristoranti, molti dei quali stellati. Tornato in Italia, prende servizio al famoso Bellevue di Cogne in Valle d’Aosta, vivendo a Ivrea e dovendo fare avanti e indietro era inevitabile il colpo di fulmine con le vigne di Carema, quasi un richiamo, un segno del destino, un doveroso atto da compiere nei confronti di un territorio che è sempre stato in grado di regalare grandi vini. Giano Marco decide di abbandonare progressivamente la sua professione di sommelier per dedicarsi anima e corpo alla vigna. Mi ha colpito molto il suo racconto, un percorso inverso per certi aspetti, dal prodotto finito servito in ristoranti di classe con grande competenza, alla coltivazione della terra, al mestiere del vignaiolo, del contadino, ma alla domanda: “Cosa ti manca di più del tuo vecchio lavoro?” Gian Marco risponde senza esitare:”Il rapporto con il cliente, la mia soddisfazione nel vederlo crescere come degustatore. Proponevo anche vini difficili,  fuori dal coro, ma era emozionante constatare che il cliente le volte successive me li richiedeva senza esitare un solo istante, una soddisfazione davvero unica, impagabile. Per non parlare del continuo allenamento nella degustazione che mi manca molto, nonostante alcune serate organizzate con produttori e amici per cercare di tenermi aggiornato e per un continuo confronto”.

La vasca con l'annata 2018
La vasca con l’annata 2018

Gian Marco vuole apprendere le basi della viticultura, cerca finanziatori in zona per il recupero di vigneti abbandonati e comincia a fare i primi esperimenti di imbottigliamento presso la cantina della Cooperativa dei Produttori, ma capisce ben presto che quella non è la strada da percorrere. Con molta umiltà e passione comincia a fare esperienza in vigna presso aziende del Canavese quali Tenuta Roletto e Orsolani. Il vino si fa anche in cantina, dunque l’esperienza in Cantine Briamara di Cuceglio dove tuttora lavora, e tantissimo studio da autodidatta, lo portano ad avviare la gestione in Carema, del suo primo mezzo ettaro di terra suddiviso in sette vigneti per ora non di proprietà, oltre a 3.800 metri quadrati di erbaluce nel comune di Parella. Gian Marco ci tiene a specificare l’importante collaborazione al progetto di Maurizio Curto, un amico del padre purtroppo scomparso prematuramente; nel 2015, contestualmente all’uscita della prima annata, Maurizio lo aiuta in diverse fasi del progetto ed è un valido sostegno in tutto e per tutto.

Abbiamo visitato i vigneti più importanti, tra cui “La Costa”, un vigneto storico di Carema, quello al quale si sente più affezionato, scherzosamente lo definisce un vero e proprio Grand Cru. I presupposti a mio avviso ci sono tutti: l’esposizione a sud, un’altitudine che raggiunge i 450 metri s.l.m., la matrice del terreno prevalentemente morenica di origine glaciale, una ventilazione ottimale che annienta completamente la peronospora, e l’età delle viti che in media hanno 30 anni, da 10-15 le più giovani sino a 70-80 le più vecchie.

L’impegno di Gian Marco e quello di altri viticultori come lui, ha fatto sì che negli ultimi anni ci sia stata una crescita progressiva di ettari vitati, questi ragazzi stanno portando avanti un discorso di tutela e recupero dei vigneti di Carema destinati probabilmente all’abbandono. Negli ‘40-‘50, nel periodo prima che nascesse l’Olivetti, una delle realtà industriali più importanti del nostro paese, gli ettari vitati a Carema erano ben 64, l’avvento dell’industria fece calare drasticamente la produzione. Contestualmente alla nascita della DOC, nel ’67 ad esempio, gli ettari vitati erano 32, fino a raggiungere il picco negativo di 13 ettari nel 2014.

Dal 2015 stiamo assistendo a un graduale aumento degli ettari vitati: 14,13 nel 2015, 15,87 nel 2016, 16,82 nel 2017, questo grazie alla “Nouvelle Vague” dei viticultori eroici di Carema, come amo definire questo piccolo fenomeno. Negli anni ’50-’60, alcuni cineasti francesi capitanati da Godard e Truffaut rivoluzionarono completamente il cinema francese inventando un nuovo linguaggio cinematografico. Gian Marco Viano dell’azienda Monte Maletto e altri protagonisti di altrettante piccole realtà di cui parlerò prossimamente, avranno vita ben più “facile” con la loro “Nouvelle Vague”. L’obbiettivo che si sono prefissati è molto concreto: continuare a tramandare l’importante tradizione vitivinicola, aggiungendo quel tocco di personalità, tanto in vigna quanto in cantina, che contribuirà al successo di vini fortemente caratterizzati e legati al territorio di Carema.

Andrea Li Calzi assaggia dalla vasca il 2018
Andrea Li Calzi assaggia dalla vasca il 2018

Terminata la visita in vigna, Gian Marco ci ha fatto assaggiare alcuni campioni della recente annata 2018 direttamente dalle varie vasche suddivise per vigneti, la macerazione sulle bucce è durata dai 30 ai 40 giorni. Attualmente vinifica le proprie uve presso un conoscente, ma con l’’idea di acquistare i vigneti e ristrutturare una propria cantina con il frutto dei primi guadagni significativi. Con l’annata 2018 produrrà una cifra più significativa di bottiglie, circa 2500, un passo per volta, come bisogna fare sempre a mio avviso, su questo ci siamo trovati subito d’accordo. In questa fase prettamente embrionale mi ha colpito soprattutto l’assaggio del suo nebbiolo in purezza che proviene esclusivamente dal vigneto La Costa, per via di una pulizia aromatica molto interessante dove la nota vinosa rincorre le spezie e il lampone, tempra tannica di razza, freschezza ai massimi e lunga scia sapida. In tutti i suoi vini vi è un 30% di uve non diraspate, in questo campione invece la percentuale di raspi in relazione alle uve impiegate è del 100%, è un esperimento a cui tiene molto, vuole valorizzare al massimo il vigneto. Le uve sono state pigiate con i piedi per mantenere il più possibile l’integrità del frutto, filosofia adottata in parte da Ferdinando Principiano di Monforte d’Alba, con il quale si confronta spesso. Gian Marco sposa la filosofia dei lieviti indigeni e in questo momento sta facendo esperimenti in tal senso con i suoi vini, in passato ha utilizzato lieviti selezionati.

Affinamento Carema 2017
Affinamento Carema 2017

Passiamo agli assaggi dell’annata 2017 direttamente dalla botte. Visti gli attuali numeri e non disdegnando lo stile borgognone ha optato per l’utilizzo della barrique, una di terzo passaggio, l’altra di secondo, più un tonneaux anch’esso piuttosto esausto, sempre di terzo passaggio. In percentuale il vino di Gian Marco è composto in prevalenza da nebbiolo 95%, a saldo troviamo le uve autoctone, neretto e ner d’ala. La macerazione delle uve in questo caso si è svolta in 45 giorni, verranno fuori circa 1200-1300 bottiglie che rientreranno tutte nella DOC Carema. Assaggiando i campioni dopo un anno di affinamento e da ogni singola botte diversa in termini di usura, si notano differenze sia a livello olfattivo che gustativo, ma è piacevole immaginarli assemblati in una sorta d’insieme futuro. La 2017 è stata un’annata generosa a livello climatico e risulta piuttosto pronta, scherzosamente vorrebbe già imbottigliarla perché il vino ha un suo buon equilibrio d’insieme, ma chissà cos’altro potrà ancora regalare. Il bel colore rubino ammicca al granato, naso espressivo con note che spaziano a seconda del campione dalla spezia dolce alle erbe officinali, la viola e note pungenti che rimandano ai frutti rossi, effluvi minerali di piccole pietre sminuzzate. In bocca la trama è notevole, tannino graffiante ma dolce sul finale, freschezza in linea con una sapidità da fuori classe tipica dei vini di Carema, sarà interessante l’anno prossimo studiarne l’evoluzione.

Abbandoniamo la piccola cantina di vinificazione per trasferirci da Vittorio Garda titolare di Cantine Soprasso, ad Airale una frazione del comune di Carema, realtà che avrò il piacere di illustrare prossimamente. Mi ha emozionato la prima chiacchierata che ho fatto con Gian Marco perché ancor prima di accordarci sulla visita in cantina mi ha parlato subito di Vittorio e del suo grande lavoro in vigna, e di quanto fosse necessaria la sua presenza durante il nostro appuntamento, per comprendere a pieno il sentimento che anima la nuova ondata di viticultori a Carema. Le cose stanno un po’ cambiando in Italia, ma purtroppo episodi come questo, che evidenziano una forte unione di spirito tra produttori sono ancora troppo sporadici, a mio avviso sono linfa vitale per la crescita del vino e di un piccolo territorio nello specifico. Il confronto, la crescita, i successi e soprattutto gli errori vanno condivisi, non gelosamente custoditi.

Erbaluce di Caluso Vecchie Tonneau 2017 Monte Maletto

Entriamo nella sala degustazione della cantina di Vittorio Garda, il primo vino a comparire sulla tavola è l’Erbaluce di Caluso “Vecchie Tonneau” 2017 di Monte Maletto, prodotto in 750 esemplari. L’uva viene raccolta, pigiata e rimane in pressa per una notte, segue la fermentazione in acciaio. Quando mancano 4 gradi Babo da svolgere, finisce la fermentazione in tonnaux esausti che hanno quindici anni di vita, dove rimane un anno senza ulteriori travasi ma con frequenti bâtonnages. L’ulteriore riposo di quattro mesi in bottiglia è fondamentale per una maggior stabilizzazione. Viene aggiunta solo solforosa e si utilizzano lieviti selezionati. La fermentazione malolattica in quest’annata notoriamente calda è partita, ma è stata bloccata per preservare la giusta acidità. 12,5 % Vol.
Il vino si presenta con tonalità calde che ricordano l’oro antico, attraversato in controluce da lampi paglierino, è dotato di una buona consistenza, mostra archetti fitti e regolari. L’approccio olfattivo è da subito intenso, la sottile linea di confine tra la mineralità protagonista ed un comparto floreale in crescendo stuzzicano il naso, lo risvegliano. Il calcare e una leggerissima nota di smalto fanno da apripista a sentori ben più dolci di agrume candito e cera d’api. Il tiglio, la camomilla, erbe aromatiche quali maggiorana e menta, sentori che si amplificano fortemente con l’aumento della temperatura e la giusta ossigenazione. Un naso autorevole dotato di complessità, evolve nel bicchiere anche a una buona mezz’ora dalla mescita, momento in cui rivela note di mandorla e yogurt. Il palato è incentrato fondamentalmente su due elementi convergenti, la grande sapidità del sorso e la coerenza dell’agrume. Quest’ultimo è in grado di implementare notevolmente la freschezza del vino che risulta scorrevole, succoso, riempie il palato per poi liberarlo agevolmente sul finale, lungo e appagante con una vena ammandorlata.

Carema Sole e Roccia 2016 Monte Maletto

Ci ritroviamo finalmente davanti alla prima annata di Carema prodotta in soli 448 esemplari dall’azienda Monte Maletto di Gian Marco Viano, la 2016. I vini saranno distribuiti da Les Caves de Pyrene di Rodello (Cn). Annata regolare per fortuna, senza eccessi di caldo o fenomeni naturali particolarmente ostili, una grande annata dunque, personalmente gli assaggi che fino ad ora ho effettuato da nord a sud lo confermano. Macerazione di 40 giorni sulle bucce e affinamento di 18 mesi in barrique di terzo passaggio, più ulteriori 4 mesi di bottiglia, anche in questo caso il vino non è stato filtrato, viene aggiunta solo solforosa. 13,5% Vol. Gian Marco per onorare il suo territorio, ha attribuito al vino il nome “Sole e Roccia“, gli elementi che maggiormente contraddistinguono i suoi magnifici vigneti. L’etichetta molto sobria ed elegante ritrae Mario Soldati, un personaggio importante per la storia del comune di Carema che ha vissuto in senso assoluto queste terre. L’opera di Francesco Tabusso, l’artista che ha dipinto il ritratto, è molto suggestiva, ma Gian Marco ha scelto quest’’immagine anche perché ricorda fortemente il volto del padre purtroppo mancato nel 2015, anno in cui inizia l’avventura di Monte Maletto e contestualmente alla nascita del suo primo figlio. Produrrà inoltre 552 bottiglie di Vino Rosso “Battito del Maletto“, etichetta che in passato ha già fatto parlare di sé, medesimo stile del Carema DOC, ma da vigne limitrofe non ancora registrate dal disciplinare.
Il vino ha una luce propria, sprigiona una verve cromatica particolarmente vivace tra il rubino ed il granato, quest’ultimo in maggior evidenza a bordo bicchiere. Roteandolo per un’opportuna ossigenazione, si delineano archetti fitti e regolari, lacrime scorrono lente e rivelano una consistenza di tutto rispetto. Il naso è un profluvio di sentori che si alternano ritmicamente, il pepe nero rincorre la viola in una gara stimolante, ma c’è ben altro, sentori di frutti rossi aciduli, lampone e ribes su tutti. Effluvi minerali ricordano l’incenso, un accenno di erbe officinali, tabacco in foglie ed una nota piuttosto classica del vino di Carema che poeticamente potremmo definire di “sole e roccia”, per ricordare il suo nome e per concludere idealmente il cerchio. Davvero un grande vino in continua evoluzione, minuto dopo minuto, questo è il picotendro o nebbiolo di Carema. Il palato non è da meno, sorso scorrevole e lineare, succoso, il tannino è coeso e percettibile, freschezza spinta ai massimi in cui viene fuori tantissimo l’annata, in linea con una sapidità che dimostra la potenza del territorio. Davvero lungo in bocca, coerente nei toni speziati ad aciduli dei frutti descritti, è un vino davvero goloso perché nonostante la tempra e la stazza conserva doti di grande bevibilità, una caratteristica necessaria a mio avviso in un grande vino.

Considerando il livello di qualità e il fatto non trascurabile che sto degustando la prima annata di Carema DOC prodotto dall’azienda Monte Maletto, mi è fin troppo facile augurare a Gian Marco un futuro pieno di soddisfazioni. La strada che sta percorrendo è quella giusta a mio avviso, un passo per volta, traguardo dopo traguardo come dicevamo tra i pilun, ma oltre all’esperienza sarà la sua grande passione e umiltà a rendere immenso un territorio già grande, e i suoi vini ne saranno la prova autentica. In bocca al lupo Gian Marco!

Andrea Li Calzi

È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a quando ha sentito che il vino non poteva essere escluso o marginale. Così ha prima frequentato i corsi AIS, diplomandosi, poi un master sullo Champagne e, finalmente, nel giugno del 2014 ha dato vita con la sua compagna Danila al blog "Fresco e Sapido". Da giugno 2017 è entrato a far parte del team di Lavinium.

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