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Michele Moschioni e i grandi vini rossi del Friuli

Michele Moschioni
Michele Moschioni

Una delle cose con cui mi sono trovato spesso a combattere sono i correttori automatici.
Tu che t’impegni a scrivere un qualcosa e ti ritrovi alla fine una frase di senso completamento diverso. Un amore mai sbocciato per quello che mi riguarda e non accetto battutine a tal riguardo dal primo Millennials che passa che magari vuole darmi del vecchio Boomer.
L’altro giorno, intento a iniziare a scrivere le mie impressioni dopo una bella visita fatta a un’azienda vitivinicola della mia regione, mi sono scontrato con il dispettoso correttore: io che volevo scrivere che il Friuli è una terra di grandi vini rossi e il correttore che invece rimarcava che lo è ma solo di vini bianchi.
Una lotta all’ultimo respiro e solo quando sono riuscito a raccontare al correttore la storia e i segreti di questa importante azienda ubicata nei Colli Orientali del Friuli, questo finalmente si è convinto a fare un passo indietro e abbracciare il mio pensiero che, in effetti, poteva sembrare un po’ azzardato visto che il Collio e i Colli Orientali del Friuli sono conosciuti soprattutto per i grandi vini da bacca bianca.
Il nostro racconto inizia a Gagliano, frazione di Cividale del Friuli, località che la storia ci insegna fu centro rilevante per le antiche attività di Celti, Romani e Longobardi, testimoniati dai numerosi resti che sono tuttora presenti e visitabili.
Qui da secoli è protagonista una famiglia che ha legato il suo lavoro e le sue fortune con quello di queste terre: sto parlando della famiglia Moschioni e il personaggio che andremo oggi a conoscere è Michele, il penultimo della nuova generazione.

Azienda Moschioni

I Moschioni sono presenti in zona dal 1500 dove lavoravano la terra in regime di mezzadria, com’era tipico in quei tempi. Nel 1953 acquistano dalla Curia tredici ettari in cui si dedicano principalmente al seminativo che farà da viatico alla specializzazione viticola.
Negli anni ’70 il papà di Michele, assieme a un cugino, avvia una stalla con 180 animali da latte e da carne, continuando a fare vino che però viene venduto solo ai grossisti. Un serio incidente capitato al padre di Michele, porta l’azienda famigliare a un bivio perché sarebbe stato troppo impegnativo continuare con tutte le attività e quindi una scelta diventava obbligata. Questa porterà Michele ad abbandonare la stalla e puntare tutto sul vino.
Siamo alla fine degli anni ’80 e un territorio da sempre vocato per le tipologie bianche dovrebbe portare Michele a seguire la strada più ovvia e anche la più facile e remunerativa. Invece nella sua testa nasce una convinzione, che poi diventerà progetto, da perseguire: nei 13 ettari vitati fra le colline e pianure dei Colli Orientali, bisognava puntare tutto, in maniera esclusiva, sulle tipologie a bacca rossa, con un occhio di riguardo prevalentemente alle varietà autoctone di questa zona, molte delle quali a rischio estinzione. Ecco che quindi accanto agli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon, i protagonisti dei vini Moschioni diventano il Tazzelenghe, il Refosco dal Peduncolo Rosso, lo Schioppettino e il Pignolo.

Il simbolo celtico riportato nelle etichette
Il simbolo celtico riportato nelle etichette

Una sfida difficile ma affrontata con entusiasmo e passione.
La filosofia in vigna è di coltivare la terra senza scorciatoie e nel rispetto della natura e dei suoi delicati equilibri. Nessun uso di diserbanti, dissecanti o concimi chimici, ma solo stallatico. Uve che sono portate in modo naturale al loro massimo potenziale di maturazione e che poi, una volta vendemmiate, riposano per qualche giorno all’interno delle loro cassette, in un locale che garantisce una sorta di sovra maturazione che non ha nulla a che vedere con l’appassimento ma permette solo di arricchire ulteriormente il potenziale delle uve prima di essere vinificate.
In cantina uso esclusivo di legno, sia barrique, che garantisce micro-ossigenazioni naturali, sia botti grandi che hanno il compito solo di accudire un prodotto che non necessità di nessun tipo d’intervento, mentre l’acciaio è impiegato solo per i travasi. Utilizzo di soli lieviti indigeni, nessuna filtrazione e chiarifica. Uso minimo di solforosa.
I vini maturano un anno in barrique, poi per molti anni in botte grande e successivamente continuano il loro lungo affinamento in bottiglia.

vigneto Azienda Moschioni

Se si pensa che vanno in commercio dopo minimo 7-8 anni dalla vendemmia, si può ben capire che filosofia e che vini si punti a portare in bottiglia per deliziare poi il consumatore. Vini potenti, strutturati, alcolici ma che grazie alla loro acidità, freschezza ed eleganza risultano essere anche estremamente bevibili.
Dai circa 13 ettari vitati si ottengono mediamente 36-38mila bottiglie.
Le etichette base sono cinque e andremo brevemente a descriverle nelle ultime annate ora in commercio:

ROSSO CELTICO 2012 (50% Merlot – 50% Cabernet Sauvignon): Siamo dinanzi al vero e proprio uvaggio, molte volte termine abusato perché identifica in realtà dei “vinaggi”.
Viene raccolto prima il Merlot e messo a riposare in fruttaio per alcuni giorni, poi quando anche il Cabernet Sauvignon è pronto, lo si vendemmia e si effettua diraspatura e vinificazione delle due tipologie assieme che iniziano così il loro lungo percorso in cantina. Il risultato è un vino di stile bordolese, morbido e persistente, che mantiene la sua freschezza, eleganza e potenza evolutiva nel tempo.
Il nome è di fantasia ma è legato alla storia di Cividale e alle popolazioni celtiche che furono qui presenti nel passato, e che è rappresentato anche dal simbolo di tutti i vini Moschioni in etichetta, appunto un rosone celtico.
Il Celtico è un vino di rara e vibrante potenza espressiva, di grande corpo, buona struttura e una rinvigorente freschezza.

vigneto Azienda Moschioni

ROSSO REAL 2011 (50% Tazzelenghe – 25% Merlot – 25% Cabernet Sauvignon): il suo nome in friulano significa vero, è vuole indicare la natura autentica del vino e la sua capacità di rappresentare in modo sincero e genuino il carattere del luogo. È un vino che rappresenta il gemellaggio fra le tradizioni bordolesi e il Friuli. Il territorio è rappresentato dal Tazzelenghe, una tipologia caratterizzata da una super acidità che se vinificata in purezza non sarebbe in grado di compiere la malolattica, e si deve inevitabilmente abbinarla ad altre tipologie che ne permettano di smussarne le estreme ruvidezze e accentuarne le peculiarità. Nel passato il Tazzelenghe, il cui nome deriva dall’espressione dialettale, “taglia lingue” per il suo carattere deciso e aspro, era utilizzato come uva da taglio per dare freschezza ad altre tipologie nelle annate stanche. Vinificarlo in purezza è cosa impossibile, ma in questo Real riesce a essere autentico protagonista della tipicità friulana.
Il Rosso Real al palato è avvolgente, caldo, strutturato e tannico, con una persistenza sapida e fresca.

REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO 2013: è un’uva in cui Michele crede molto, una cultivar di territorio che negli ultimi 4-5 anni ha preso molto piede e che regala sempre grosse emozioni. Una tipologia che si potrebbe definire selvatica, cui può mancare un po’ di eleganza e finezza che molte volte invece il consumatore ricerca. Lavorando bene in vigna però si può migliorare il prodotto che si porta in cantina, ingentilirlo un po’. Quando si parla di Refosco, diventa molto importante la componente sole che deve esserci al momento giusto, in modo che le uve mantengano la giusta acidità e si riesca ad ottenere così un frutto pazzesco.
Il Refosco di Moschioni è un vino ad alto impatto sensoriale, ricco e avvolgente, morbido, fruttato, corposo e rotondo, animato da un’ottima freschezza.

vini azienda Moschioni

SCHIOPPETTINO 2011: Lo Schioppettino è tipico della zona di Prepotto, ma l’interpretazione data da Michele non trova tutti d’accordo perché è lui stesso a non voler allinearsi, come ci racconta lui stesso. Al momento della creazione della sottozona Schioppettino di Prepotto, Michele è stato uno degli artefici del progetto, a fronte anche del fatto che aveva già 3 ettari vitati mentre fra tutti gli altri produttori di Prepotto e Albana si arrivava al massimo a 4 ettari.
La verità è che nessuno credeva veramente alle potenzialità di questo vitigno che dà grappoli da chilo e acini grossi, un’uva nel complesso povera. La sfida di Michele è stata quella di valorizzare quest’uva, e di riuscire a fare, riportando le sue testuali parole, se non un grande vino, sicuramente un buon vino, frutto di una ricerca che ne ha valorizzato un’identità che invece il territorio stenta a trovare, con pochi produttori che fanno ognuno un vino diverso dagli altri, senza cercare di dare un’identità unitaria che sia riconoscibile al di fuori dei propri confini e che miri ai massimi livelli qualitativi possibili.
Lo Schioppettino Moschioni, prodotto mediamente in 7000 bottiglie, è un vino di grande intensità e complessità, dal profilo aromatico deciso, caldo e speziato. Corposo e consistente, di buona freschezza e dal tannino energico e intenso.

PIGNOLO 2011: Il Pignolo è un grande vino friulano che non ha nulla da invidiare ai più famosi rossi d’Italia. Un vino di grande struttura e buona predisposizione all’invecchiamento e all’affinamento in legno.
Il Pignolo di Moschioni è caratterizzato da una struttura vigorosa e muscolare, dotato di forza e carattere e sostenuto da una buona freschezza e da una notevole trama tannica.
Il 2011 è ancora un bambino, fra 2-3 anni inizierà la sua evoluzione che lo porterà poi a essere quasi pronto per la beva, anche se per apprezzarne al meglio le sue enormi potenzialità, sarebbe necessario dimenticarselo in cantina per minimo 15 anni.
Se si pensa che il disciplinare permette rese di 120 quintali per ettaro e Michele nei suoi 4 ettari vitati produce al massimo 25 quintali per ettaro, si può ben capire lo spessore delle uve che porta in cantina e che poi diventeranno nettare pregiato delle sue circa 6500 bottiglie.

vini azienda Moschioni

Alle 5 etichette ufficiali, se ne aggiungono due “occasionali”, il Rosso e il Bisest che sono prodotte solo negli anni in cui le condizioni climatiche non permettono all’uva di maturare come desiderato e quindi dopo i primi assaggi, ci si rende conto che la qualità non è all’altezza dell’etichetta. Ma non possono essere considerati dei vini di secondo livello perché il processo di vinificazione rimane lo stesso come rimangono alti i livelli qualitativi. In trentatré anni sono stati fatti solo 4 declassamenti 2005, una parte del 2008, 2010, 2014.

ROSSO 2014 (Merlot, Cabernet Sauvignon, Refosco, Tazzelenghe in percentuali variabili); un vino dalla grande potenza espressiva e ricchezza aromatica, un’esplosione di profumi, morbido e seducente alla beva e contraddistinto da una grande freschezza che ne invita la beva.

ROSSO BISEST 2014 (Pignolo 50% e Schiopettino 50%); vino dal palato importante con notevole freschezza e tannino sferzante bilanciato da una ricca componente glicerica. Lunga persistenza finale

Alla fine di questa lunga batteria di assaggio, la canzone perfetta per identificare lo stato d’animo raggiunto non potrebbe che essere “Emozioni” di Lucio Battisti, perché come non emozionarsi dinanzi a vini che richiamano vendemmie lontane oramai una decade e constatare che l’immenso potenziale ha appena iniziato a sprigionarsi e le prospettive evolutive e di longevità sono ancora notevoli.
La grande scommessa di Michele Moschioni è stata quella di credere che non fossero solo le tipologie a bacca bianca a farsi valere in un territorio vocato come i Colli Orientali del Friuli. Una sfida vinta a pieni voti che gli ha permesso di presentare alla grande platea di appassionati, dei vini rossi, prevalentemente autoctoni, che non hanno nulla da invidiare alle zone più vocate e rinomate.
E se ne faccia una ragione anche il correttore automatico di cui vi ho menzionato all’inizio di quest’articolo: il Friuli è anche terra di grandissimi vini Rossi, e questo lo si deve sicuramente molto all’ampia visione e lungimiranza di un friulano DOC come Michele Moschioni.

Michele Moschioni

DIALOGANDO CON MICHELE MOSCHIONI
Quando alla fine degli anni ’80 hai iniziato la tua attività, producevi sia vini bianchi sia rossi. Poi la svolta. Qual è stata la scintilla che ti ha portato verso un’unica direzione, quella delle tipologie in rosso?
Per rispondere a questa domando dobbiamo ritornare indietro nel tempo e nella storia della mia famiglia, ai miei nonni e bisnonni che mi hanno tramandato un patrimonio vitivinicolo di territorio, varietà autoctone e vini che mi hanno da sempre affascinato molto di più delle varietà internazionali che invece andavano per la maggiore alla fine degli anni Ottanta quando io ho iniziato la mia attività prendendo il testimone da mio padre.
Ed è così che ho iniziato a eliminare i vitigni internazionali come il Chardonnay, Riesling, Pinot Bianco e iniziare a capire che le tipologie rosse come il Pignolo, lo Schioppettino, il Tazzelenghe, il Refosco potevano darmi maggiori soddisfazioni, non solo qualitative ma anche come rappresentative di un territorio.
È stata una sfida non facile perché mi sono dovuto scontrare con la diffidenza della gente e della mia stessa famiglia, mio padre in primis che mi diceva se ero matto, ma io sono andato avanti per la mia strada, sperimentando micro-vinificazioni con le varietà autoctone rosse. Prima di iniziare a lavorare con le varietà che ora compongono i miei vini, avevo già fatto una ricerca su delle tipologie autoctone praticamente sconosciute ai più come Cividin, Ucelut, Sciaulin e Picolit Neri, a testimoniare il profondo interesse che già nutrivo per l’argomento.
Lungo il mio percorso, quando ancora frequentavo l’istituto di agraria a Cividale, ho anche avuto la fortuna di conoscere Enos Costantini e Carlo Petrussi che hanno fatto le ricerche e mi hanno aiutato molto agli inizi di questo mio progetto con le varietà autoctone.

Michele con il figlio Valentino
Michele con il figlio Valentino

I Colli Orientali del Friuli, così come il Collio, sono da sempre terra di vini bianchi, o per lo meno questi sono quelli che hanno riscontrato per primi i maggiori consensi e successi al di fuori dei confini regionali. Come detto, tu hai scelto una strada diversa, puntando tutto sulle tipologie rosse, prevalentemente autoctone.
Oggi i tuoi vini sono apprezzati e conosciuti in Italia e all’estero e quindi non hanno bisogno di grandi presentazioni. Ma se ritorniamo al 1989, anno della tua prima etichetta, quanto è stato difficile far capire che il Friuli poteva essere una terra anche di grandi vini rossi e non c’è mai stato un momento in cui ti sei chiesto se la strada che stavi seguendo fosse veramente quella giusta?

Io non sono tipo da scendere a compromessi, non credo nelle mode, faccio quello che a me piace, e questa e forse la mia forza. I primi anni sono stati difficili, in un contesto locale, dove nell’osteria si chiedeva o un bicchiere di bianco e uno di rosso, dove non c’era la ricerca e la conoscenza di adesso.
Se il territorio è cresciuto, lo dobbiamo sicuramente a personaggi come Walter Filiputti, Gianolla Nonino, Luigi Veronelli che hanno da sempre appoggiato la necessità di portare avanti la storia dei vitigni del territorio, di recuperare quelli che stavano scomparendo. Però trentacinque anni fa non era semplice fare dei grandi vini rossi in Friuli, il clima era diverso, avevo un piccolo patrimonio di viti vecchie che mi erano state tramandate, ma avendo anche sostituito le tipologie bianche con quelle rosse, sai bene che una vite comincia a dare i suoi frutti dopo minimo 3 anni, ma appena dopo 15-18 anni riesce a darti un grande frutto, grazie a radici che scendendo in profondità e che riescono a donarti mineralità, estratto, potenza.

Vigneto azienda Moschioni

All’inizio i miei vini avevano carattere e una buona personalità ma peccavano in eleganza e così ho dovuto trovare qualche soluzione alternativa, ed è nel ’90, di ritorno da un Vinitaly che ho la fortuna di fare un incontro che sarà molto importante per il futuro delle mie produzioni: Bepi Quintarelli, grandissimo produttore di Amarone.
Bepi era un po’ orso, non dava confidenza a nessuno, ma con me è stato una sorta di amore a prima vista, forse per il fatto che ero giovane e avevo una passione innata per il mio territorio. Avevo portato quattro bottiglie da fargli assaggiare. Il riscontro fu positivo, e riconobbe grande potenzialità e struttura nei vini ma carenza di eleganza e finezza. Il consiglio che mi fu dato era di portare le uve a una maturazione fenolica ancora più estrema, cosa che, anche con la vendemmia ritardata al massimo, non era comunque sempre possibile.
Bepi colse l’occasione per portarmi a vedere il fruttaio dove lavorava per produrre il suo Amarone, è questo mi è stato di notevole ispirazione. Infatti, decisi di iniziare a sistemare le uve vendemmiate, a buona maturazione, in cassette che andavo a recuperare al mercato ortofrutticolo, e che lasciavo riposare e arieggiare per 15-20 giorni.
Il tempo donava un frutto e un estratto più importante, cosa che a causa del clima e della giovane età delle piante non riuscivo a ottenere in vigna. Un processo totalmente naturale perché sappiamo benissimo che la frutta lasciata fuori dal frigo continua a maturare, senza alterare acidità e freschezza, mantenendo le tipicità del vitigno ma con molta più complessità.
Negli ultimi dieci anni ho però apportato delle modifiche nella lavorazione: la raccolta dell’uva è sempre fatta in cassettine ma lascio l’uva a riposare per solo 3-4 giorni, perché oramai ho delle piante molto più mature che mi regalano dei frutti molto più completi e pronti.
Per risponderti poi all’ultima parte della tua domanda, oggi come oggi ripartirei da zero e rifarei tutto quello che ho fatto, anzi forse eliminerei il Cabernet Sauvignon e il Merlot per dare spazio esclusivo alle varietà autoctone, anche se comunque il Merlot è presente da più di 300 anni nel territorio e fa quindi oramai parte del nostro patrimonio vitivinicolo.
La scelta la rifarei anche perché il clima sta cambiando, le tipologie rosse riescono a darti sempre maturazioni estreme e complete in estratti e polifenoli, mentre i bianchi, a mio avviso, stanno entrando un po’ in sofferenza, tranne le zone più alte, con gradazioni elevate e perdita di eleganze e finezza.

Cantina azienda Moschioni

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, ma è vero anche l’esatto contrario. Al di là dei discorsi affettivi, quanto è stata, ed è tuttora importante, tua moglie Sabrina per la realizzazione di un progetto entusiasmante e ambizioso ma anche molto impegnativo?
Questa domanda forse sarebbe meglio fargliela a mia moglie Sabrina.
A onor del vero, Sabrina non ha iniziato il percorso aziendale fin dall’inizio ma è entrata una decina di anni dopo. All’inizio forse mi ha messo un po’ i bastoni fra le ruote, perché da donna di casa, attenta al bilancio famigliare, non capiva perché mi ostinassi a rinunciare a produrre vini bianchi che potevano dare introiti più veloci e immediati a differenza del progetto sui vini rossi che entravano in commercio parecchi anni dopo la vendemmia.
Se pensi che oggi i nostri vini in commercio sono targati annata 2011, e appena fra un mese entrerà in commercio il 2012, puoi capire le reticenze di mia moglie.
Adesso però ha sposato appieno le mie idee e anche mio figlio Valentino è entrato in azienda e sta imparando i segreti del mestiere e la filosofia che c’è dietro ai vini Moschioni.

I vitigni protagonisti dei tuoi vini sono soprattutto gli autoctoni Pignolo, Tazzelenghe, Schioppettino e Refosco dal Peduncolo Rosso accanto agli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon.
Con il Pignolo forse sfondo una porta aperta nel tuo cuore: parliamo di un vino di altissima qualità, che anche grazie alla vostra azienda è stato recuperato ed è stato possibile così dare un seguito alla sua storia. Le viti sono tra le più vecchie dell’azienda, arrivate negli anni ’40 dall’Abbazia di Rosazzo e rendono possibile produrre un grande vino che esce sul mercato dieci anni dopo la vendemmia.
Possiamo dire che è il Pignolo, il vino che più rappresenta la tua azienda e il tuo modo di pensare il vino o c’è né un altro cui sei più affezionato, forse perché ti ha reso la vita più difficile per domarlo?

Io dico sempre che ho tre figli: Alessia e Valentino e il terzo è il Pignolo. È un vino che mi da emozioni assolute. L’uva è difficile da portare avanti in vigna ma rappresenta l’essenza della completezza e della complessità. Non esiste un Nebbiolo, un Syrah, un Cabernet Sauvignon, un Merlot che arrivi all’estratto, alla potenza, ai polifenoli che ha un Pignolo, forse solo il Sagrantino può avvicinarsi. Ma è un vino che dobbiamo lasciare in cantina minimo dieci anni per permettergli di esprimersi ai suoi massimi, e sono convinto che nel futuro sarà un vino che farà la differenza per il nostro territorio.
Altre tipologie hanno piante che hanno bisogno di diradamenti per avere basse produzioni e ottenere vini importanti, mentre il Pignolo è di una costanza impressionante, non serve diradare, non necessita di nessun intervento per ottenere grandi risultati.

Il Pignolo e la ponka
Il Pignolo e la ponka

La cantina dal 2017 è certificata biologica. Segui una viticoltura rispettosa della natura e dei suoi delicati equilibri. Nessun uso di diserbanti e dissecanti. Bandite le concimazioni chimiche e uso esclusivo di stallatico. In cantina arrivano uve sane e di qualità che non necessitano nessun intervento di stile enologico: uso di lieviti indigeni, no filtrazioni e chiarifiche, travasi per decantazione, solfiti ridotti al minimo. I vini li accudisci per tanti anni in barrique e botti grandi prima di imbottigliarli e dopo un ulteriore lungo riposo in bottiglia, li commercializzi.
Sbaglio a dire che viviamo in un periodo storico dove non basta più fare un vino buono ma questo deve essere il risultato di un lavoro fatto in modo consapevole e rispettoso nei confronti di una natura e di un ecosistema sempre più in sofferenza e quindi prerogativa che anche il consumatore finale deve esigere?

Purtroppo, siamo in mano al potere delle varie multinazionali, dei colossi farmaceutici che hanno grossi interessi economici da tutelare. Noi cerchiamo, nel piccolo, di fare del nostro meglio. Lavoriamo solo con zolfo e rame, però ricordiamoci una cosa, facciamo sì meno danni rispetto una viticoltura convenzionale, però il rame è sempre un metallo pesante, e i 4kg ettaro che si utilizzano normalmente inquinano comunque la terra. Mi arrabbio perché arrivati nel secondo millennio, non riusciamo a trovare qualcosa che possa contrastare questi problemi. Adesso abbiamo dei mezzi tecnologici che ci permettono di prevedere le piogge e quindi organizzare i trattamenti, ma devi essere molto maniacale. Noi con poco più di 13 ettari riusciamo in quattro ore a fare il trattamento ma chi ha 100 ettari come riesce a gestire in maniera ottimale le operazioni in vigna?
Purtroppo, oltre il mondo del vino, anche se si parla di alimenti come la carne, le verdure, non possiamo non dire che stiamo mangiando vere schifezze, frutto di allevamenti e coltivazioni industriali.
Mi auguro che finalmente la politica possa fare bene il suo lavoro per tutto quello che riguarda la tutela dei prodotti che consumiamo e salvaguardare chi cerca di lavorare in modo naturale. Se io lavoro in un certo modo, cerco di operare nella maniera più naturale possibile ma magari il mio vicino non ha rispetto per quello che faccio, non si va da nessuna parte.

Le caratteristiche dei tuoi vigneti sono variegate, caratterizzati da esposizioni e microclima che varia da filare in filare e danno da uve con caratteristiche diverse. Le stesse vendemmie sono selezionate e si svolgono in diverse giornate anche nello stesso filare. È questa la vera forza dei tuoi vini, espressione di un terroir che ricorda in questo le grandi zone della Borgogna?
Tutti noi pensiamo che la collina sia sinonimo indiscutibile di qualità e che lì tutte le uve siano di massima eccellenza.  Ma non è vero. Se piantiamo ad esempio uno Schioppettino in alta collina, dove regna la marna, non darà risultati perché è una vite che ha bisogno di ricchezza, di sostanza. In un terreno molto povero, dove troverebbe invece condizioni ideali una Ribolla Gialla, una Malvasia, non ottieni risultati di qualità con lo Schioppettino. Grappoli da un chilo, acini grossi, richiedono un terreno fertile e quindi da solo, l’elemento collina non basta per ottenere grandi uve e quindi vini importanti.
Io ho cercato di prendere esempio da quello che facevano i nostri nonni e di mettere a dimora delle vigne che si differenziavano a seconda della tipologia del terreno, cosa molto importante questa. La mia realtà vitivinicola di 13 ettari non è formata da un lotto unico, ma è suddivisa in sei lotti. Un Cabernet Sauvignon ad esempio non lo metterei mai in collina, sarebbe deleterio, necessita di terreni poveri, di fondo valle, ghiaiosi. Solo così si riescono a ottenere risultati importanti. Ogni varietà ha bisogno del suo terreno e della condizione ideale. Invece un Pignolo va bene in collina, ma no dove c’è solo ponka. Le mie viti di Pignolo sono diversificate su vari lotti, in collina, a metà collina e fondovalle. La collina mi dà la gradazione ma un’acidità bassa, mentre il fondo valle mi dà più acidità e freschezza.
In ogni mia botte non scrivo solo la varietà del vino e la zona, ma anche la vigna dalla quale proviene perché il tipo di terreno cambia anche a seconda del filare e con esso anche le caratteristiche delle uve che si portano in cantina./em>

Il vino per te è amore, passione e rispetto per la natura, ma per chi ne ha fatto il suo lavoro ci sono anche conti da far quadrare alla fine del mese. Quali sono i mercati e la clientela cui si rivolgono i tuoi vini e qual è la situazione attuale dopo un anno di emergenza Covid?
Devo essere sincero, in un momento come questo, cercando di fare vini di qualità, per fortuna non ho risentito per niente di questo enorme problema globale del Covid. Mi hanno sempre criticato che faccio vini troppo alcolici e strutturati, ma la gente bevendo a casa in questo periodo ha ancora meno problemi nel bersi il bicchiere in più.
La mia clientela è variegata e copre tutto il mondo: Giappone, Taiwan, Cina, Russia, Belgio, Olanda, Inghilterra, Canada, Usa, oltre ovviamente l’Italia.

Alle cinque etichette ufficiali, se ne aggiungono due “occasionali”, il Rosso e il Bisest che sono prodotti solo negli anni in cui le condizioni climatiche non permettono all’uva di maturare come desiderato e quindi dopo i primi assaggi, ci si rende conto che la qualità non è all’altezza dell’etichetta. Ma non possono essere considerati dei vini di secondo livello perché il processo di vinificazione rimane lo stesso, come rimangono alti i livelli qualitativi.
Visto che in 33 anni sono stati fatti solo 4 declassamenti 2005, una parte del 2008, 2010, 2014, possiamo quasi dire che sono proprio queste annate e questi vini a diventare esclusivi e quasi introvabili.

Sicuramente e per fortuna queste annate cosiddette difficili non sono predominanti, ma anche in queste, dopo 5-6 anni di evoluzione possono venire fuori delle grandi sorprese perché il vino è figlio dell’annata, con le sue criticità ma anche con dei valori qualitativi capaci di sorprenderti aldilà delle tue aspettative iniziali.

Documentandomi sulla tua azienda e sui vini da te prodotti, mi devo essere imbattuto in una fake new che riportava che un rossista integralista come te si era messo a produrre una bollicina metodo classico da uve Chardonnay e Ribolla Gialla?
Confermi la notizia quasi blasfema o c’è qualcosa di vero?

Tutto vero. È nata nel 2014, come sperimentazione e anche perché bere i miei rossi d’estate, cominciava a diventare impegnativo quando è troppo caldo, con le sue gradazioni importanti.
Io sono un grande appassionato di bollicine francesi e mi sono sbizzarrito per il nostro autoconsumo a fare questa bollicina metodo classico. È un modo per non escludere completamente le tipologie bianche che per quanto riguarda i vini fermi per adesso non vinifico, anche se per il futuro non mi dispiacerebbe cimentarmi con il Friulano, tipologia che mi piace molto ed è identitaria della nostra regione per quanto riguarda le tipologie a bacca bianca.

Bianchera, Leccino, Pendolino per citarne alcuni, non sono i nomi di vitigni autoctoni friulani, ma siamo entrati nel mondo degli oliveti e delle olive. Coltivi circa un migliaio di piante, che hanno più di venti anni e regalano circa 400 litri di olio in regime biologico. Com’è nata questa tua passione parallela al mondo del vino?
Tanti anni fa ho avuto la fortuna di conoscere Danilo Starec e avendo degli appezzamenti di terra dove mi passava sopra l’alta tensione e vigna non mi lasciavano mettere, ho deciso di chiedere il permesso di piantare ulivi. È una pianta che mi piace, mi affascina, sempre verde. Amo il prodotto finale che si riesce ad ottenere. Se si lavora con cultivar giuste, rispettando i tempi di raccolta, se sei un po’ maniacale, riesci ad ottenere dei grandi prodotti, e poi l’olio è un prodotto naturale che rappresenta una delle eccellenze italiane. Certo è una passione che necessita molto impegno, ma per tutto quello che riguarda il lavoro e la potatura degli uliveti, ho demandato il lavoro a mio padre e mio figlio Valentino.

Sono passati più di trent’anni da quando hai iniziato la tua entusiasmante avventura. Ma pensi di aver dato abbastanza e ora si tratta solo di consolidare quanto costruito, anche con l’aiuto di tuo figlio Valentino, o hai qualche nuovo progetto per il prossimo futuro?
In qualsiasi mestiere che fai, se pensi di essere arrivato vuol dire che non hai capito niente. Nel nostro mondo, ogni anno è diverso, c’è l’influenza del clima con annate siccitose e altre piovose, ci sono molte variabili che non puoi prevedere. Io dico sempre che il vino perfetto non l’ho ancora fatto e nemmeno so se riuscirò a farlo. Sono contento di quello che ho creato fino ad ora, ma forse sarà mio figlio Valentino che riuscirà un domani a realizzare qualcosa che si avvicini alla perfezione assoluta.
Una cosa alla quale però non posso rinunciare è la continua ricerca al fine di migliorare, perfezionare il mio lavoro. Sempre.

Stefano Cergolj

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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