I racconti di Alda: Bistecca alle diciotto e tanta musica
Stava cercando nell’armadio che cosa indossare per la serata e subito, puntuale come quasi ogni pomeriggio, attraverso le pareti della sua stanza le arrivò l’odore della bistecca che Flavio cucinava a quell’ora. Strana abitudine.
“Che problema c’è? “rispondeva Flavio a chi gli chiedeva come mai una bistecca alle diciotto. “E’ un rituale, una promessa, un voto?”
“Niente di tutto questo, un voto poi” rispondeva stringendosi nelle spalle all’estraneo di turno che capitava nella mansarda tra quelli che lui chiamava GLI INFILTRATI”. Loro del gruppo non glielo chiedevano più. Loro erano loro, gli amici veri. “Il gruppo della musica”.
“È molto semplice” tentava di spiegare Flavio paziente e gentile “verso le diciotto mi viene una gran fame e a quell’ora è l’unico cibo che mi vada. Una bistecca alla griglia con un bicchiere di vino, soprattutto quando la sera tardi e per tutta la notte sono impegnato con un concerto”.
Aveva ragione lui. Che problema c’era?
Tornò a cercare nell’’armadio pensando che forse, se si fosse unita a Flavio in quella specie di gozzoviglia fuori orario, le sarebbe venuta qualche idea sull’abito da indossare. Forse era arrivato il tempo di fare un po’ di shopping. Guardò il suo letto ingombro di ogni genere di indumenti e proprio in quel momento, a quel caos e all’odore di bistecca si sovrappose il suono della tromba di Vero. Per lei a quel punto era come se il mondo si fermasse.
Quando Vero era solo e aveva tempo saliva sulla terrazza con la sua magica tromba, cominciava a suonare ed era davvero musica. “My funny Valentine” era il suo pezzo d’inizio. Una vecchia canzone americana senza tempo che molti musicisti avevano ancora in programma. Vero cominciava e finiva sempre in quel modo e spesso si era domandata se nella vita di Vero non ci fosse stata davvero una Valentina che lo aveva segnato per sempre. Una ferita nel cuore. Non glielo aveva mai chiesto. Già, a lui no, ma aveva cercato di sapere qualcosa da Flavio.
“Non so niente della vita sentimentale di Vero, ma tu”… l’aveva guardata in un modo strano “ti sei innamorata di lui” aveva concluso Flavio. Lei aveva negato e aveva subito cambiato discorso.
Innamorata di Vero. Si buttò sul letto tra i suoi vestiti con un principio di lacrime di cui si liberò subito. Intanto Vero continuava a suonare ed era un pezzo che lei non conosceva. Forse stava improvvisando o magari era un altro ricordo del suo passato, un’altra donna. C’è un tempo per amare un tempo per ridere un tempo per piangere un tempo per vivere… No no che confusione, quella era una bellissima canzone di Ivano Fossati che non aveva niente a che vedere con lei con la tromba di Vero e con la mansarda. Già. La mansarda.
Un tempo la mansarda era appartenuta ad un pittore amico di Vero. Il gruppo ancora non esisteva anche se come musicisti erano abbastanza conosciuti e ognuno di loro aveva già inciso alcuni dischi nonostante farsi avanti con il jazz non fosse proprio facile. Quello era il tempo del rap, soprattutto tra i giovani. Per Vero era diverso. Lui era più grande di loro di dieci anni. Era ormai conosciuto in tutto il mondo e aveva suonato con i più noti e affermati jazzisti, italiani e stranieri. Stefano Bollani, Danilo Rea, Francesco Cafiso, Charlie Mariano, Sonny Rollins, Joshua Redman…
Vero era innamorato della mansarda. Oh sì, c’era un tempo per ogni cosa, bastava accorgersi di quel tempo e non lasciarselo sfuggire e quando al pittore era stata proposta una mostra in una prestigiosa Galleria di Parigi e aveva deciso di partire e affittare la mansarda a Vero, lui aveva subito accettato. Il pittore non era più tornato e l’aveva venduta a Vero.
“Bel colpo Vero” gli aveva detto Flavio incontrandolo un giorno per caso nelle vicinanze del Conservatorio. Era stato allora che Vero gli aveva proposto di formare un gruppo Jazz. Jazz passione amicizia vita. “Un quartetto?” Flavio era gasato. Pazzo di vita e di musica… ”Io avrei due elementi da proporti, se tu non sai già…”.
Vero l’aveva interrotto. “Strumenti”?
“Io pianoforte e questo lo sai e sai come suono, poi c’è Marco alla batteria e infine Camilla, una mia amica d’infanzia e di conservatorio, cantante solista brava”. Parla, presto, non lasciarmi sulle spine, sarebbe fantastico se davvero tu… Il tempo, il tempo…
“Per me va bene, so chi siete. Venite domani in mansarda e proveremo.
Così era andata. Si erano trasferiti da Vero. Due anni e “Il gruppo della musica” andava alla grande ormai in tutto il mondo. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarli. O forse sì, qualcuno c’era e lo aveva fatto. Appena quattro mesi dopo la serata del premio.
Camilla era felice, la serata era stata perfetta, il premio per cui era stata organizzata lo avevano vinto loro. Il gruppo. Quanto a lei aveva avuto un successo personale, al di là di qualsiasi aspettativa. Molte proposte e tanti inviti che avrebbe poi valutato con calma. Mai avrebbe lasciato il gruppo, anche se per Vero artista non sarebbe stato un danno dal momento che era famoso prima ancora di unirsi a loro, quanto a Flavio anche lui poteva farcela benissimo da solo, senza di lei o con un’altra al posto suo.
Quella serata. Lui che la prendeva per mano e senza dirle niente la faceva salire in macchina. E lei? Nessuna domanda, nessun percorso di ritorno, addosso ancora l’euforia della vittoria. E poi la terrazza e le luci di Roma. La notte.
Eppure, dopo soli quattro mesi era stata proprio lei ad uscire dal gruppo. Una fuga era la parola giusta. Aveva pensato spesso a loro tre e quando per caso passava davanti ad una trattoria e le arrivava tra tanti odori anche quello di bistecca o, altrove, il suono di una tromba, le veniva quasi da piangere, ma poi sorrideva… la “SUA” l’avrebbe riconosciuta subito.
Un giorno qualunque, un incontro. E adesso Flavio era proprio lì di fronte a lei e la guardava stupito, guardava soprattutto la bambina che lei teneva per mano.
“Quanto tempo! Ho pensato spesso a te, alla nostra bella amicizia, al gruppo” disse Flavio “ci siamo proprio persi”. Poi indicando la bambina “E lei?”.
“È mia”. E di nessun altro, smettila non guardarla così, lo so che gli occhi sono identici ai suoi e poi il sorriso le mani… D’impulso abbracciò l’amico di un tempo. La bistecca alle 18, la tromba di…
“Non vuoi sapere niente di noi?” chiese lui cercando di trattenerla “e di te, non vuoi proprio dirmi niente?”.
“No”. Sperava bastasse quel monosillabo e che quell’incontro finisse lì. Un’altra fuga. La sua, ora, non era una cattiva vita era buona, con la sua bambina e con tanta musica. La serata della vittoria, la fuga, la terrazza, il tempo di… Per un attimo fu tentata di chiamare Flavio, di raggiungerlo e raccontargli tutto. Un attimo. Poi riprese a camminare senza mai voltarsi indietro.
Alda Gasparini