Questa volta comincio con una parentesi: ieri l’altro è mancato Giulio Gambelli, un uomo di straordinaria modestia, profondo conoscitore del Sangiovese e fautore di molti dei migliori vini Toscani. Non lo conoscevo bene; ci incontravamo ogni tanto, ma io ero troppo timido per parlare molto e lui troppo sordo per capire quel poco che mormoravo. Penso che mi considerasse alquanto lento, ma era troppo gentile per dirlo. Ho comunque un racconto da fare: diversi anni orsono andai a mangiare con due amici, uno produttore e l’altro importatore. Cominciammo con un Morellino di Scansano di quelli che si ricordano di essere “ino,” un vino leggero e scattante con notevole verve. Passammo poi ad un vino (a noi sconosciuto) entrato con furore nella Guida del Gambero, aggiudicandosi subito i famigerati tre bicchieri (che allora contavano molto più di adesso). Stavamo annusando, commentando la concentrazione, il colore, l’armonia e prendendo sorsi piccoli piccoli fino a quando l’importatore non disse, “Al diavolo, voglio bere!” e si fece portare una bottiglia di Pergole Torte. Quando andammo via, le Pergole erano scomparse, ma l’altra bottiglia era ancora piena. Grazie, Giulio. Per sapere di più, sia Carlo (qui) che Roberto (qui) hanno scritto delle bellissime cose su Giulio Gambelli.
Tornando a noi, che ci sia la crisi è innegabile, come anche che la gente stia stringendo la cinghia. Ed è forse anche per questo motivo che la Casa Editrice Vallardi ha ristampato “La Cucina al Tempo di Guerra“, volume pubblicato nel 1942 da Lunella de Seta, con lo scopo di aiutare le massaie italiane a fare la loro parte, combattendo “la quotidiana battaglia per l’alimentazione della famiglia.” È una lettura assai interessante. Perché c’era il razionamento e le condizioni erano difficili. Ma prima di aiutare le massaie a sopperire alla mancanza di molti ingredienti a loro familiari, l’autrice prende tempo per dire che anche in momenti avversi si deve proseguire: l’apparecchiatura della tavola come sempre, ma con tovaglie colorate che rimangano pulite più a lungo (anche il sapone era razionato), servirsi di tegami e vasellame che può anche andare in tavola per ridurre l’entità della rigovernatura e così via. Seguono le ricette e viene spontaneo chiedere cosa – a causa del razionamento – manchi. Carni e grassi principalmente, anche la farina bianca (l’autrice specifica farina di segale) e anche latte, che richiede, ma spiega come sostituire. Poi il caffè, sparito da quasi tutte le tavole, e qui spiega non soltanto come fare il caffè d’orzo, ma anche il caffè con le ghiande tostate e tritate (c’è perfino un budino con farina di ghiande). E cosa compare? Estratto di carne e dado, che sono usate spesso per ravvivare le minestre, carne in scatola (quasi la metà delle ricette a base di carne sono preparazioni con carne in scatola), mentre buona parte di quelle rimanenti sono a base di animali da cortile, in particolar modo coniglio. Poi pesce bianco o in scatola e legumi, verdure, insalate, e frutta. Il mondo vegetale gioca, come ci si potrebbe aspettare, un ruolo importante: nell’introdurre le insalate l’autrice osserva che data la situazione si possono preparare pasti salutari senza essere schiavi delle tradizioni, servendo semplicemente un primo seguito da una gustosa insalata, cosa normale adesso ma non allora. I legumi rivestono un ruolo altrettanto importante. L’autrice nota che hanno meno grassi delle carni, ma che a parità di peso hanno quantità simili o superiori degli altri nutrienti, cioè proteine, carboidrati e calorie. Anche le verdure, che a suo avviso sono più salutari delle carni, fornendo sostanze per “arricchire il corpo di quanto gli necessita onde sopperire alle dispersioni d’energie e mantenersi in perfetta forza,” a differenze delle proteine animali che “intossicano più o meno gravemente a seconda degli organismi e delle costituzioni.” Di nuovo idee largamente accettate oggi, ma rivoluzionarie all’epoca. È un libro affascinante che avrà sicuramente aiutato le sue lettrici. E sebbene non mi sentirei in dovere di utilizzare l’estratto di carne (o la carne in scatola), molte delle 346 ricette presentate sono tutt’ora validissime e forniscono ottimi spunti per la nuova era di frugalità che pare avvicinarsi. Finire senza una ricetta sarebbe a questo punto impensabile. E dato il tempo freddo e umido di oggi, questa “zuppa aristocratica” non è male se piacciono gli spinaci:
Zuppa Aristocratica – 84 Preparazione fine e particolarmente nutritiva. Si lessano spinaci nel consueto modo, dopo una lavatura accuratissima. Si spremono energicamente, si tritano e si passano al setaccio per ricavarne una soffice crema. Frattanto, si sarà preparata in cazzaruola una specie di besciamella con 15 grammi di burro, un cucchiaio di farina di segale e un giusto quantitativo di latte, salando opportunamente e facendo bollire. Si mettono in cazzaruola gli spinaci, e ben mescolati e insaporiti che siano, si aggiunge un altro bicchiere di latte per diluire maggiormente. Nella zuppiera si uniscono dadini di pane tostato. Qualora non si disponesse di latte o si volesse fare più economicamente, invece di aggiungere latte al burro e farina della cazzaruola, si può mettere dell’acqua, riservandosi di finire, a cottura ultimata, col bicchiere di latte fresco, ovvero con una cucchiaiata di latte condensato. Per ulteriori informazioni leggete la scheda del libro.
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