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Edi Kante: intelletto e genialità fra le rocce del Carso

Un vigneto di Edi Kante - Friuli

Quello che differenzia un grande uomo da uno mediocre sono l’intelletto e la sensibilità che caratterizzano il suo modo di pensare e di agire.
In una realtà contemporanea in cui sono il conformismo e il conveniente servilismo a farla da padrona, quei personaggi che ancora lavorano in prima linea, senza scendere a compromessi, prendendosi l’onere delle proprie azioni e la responsabilità degli eventuali errori, attirano la mia simpatia perché sono il sale di una società che ambisce a crescere e progredire. Se un territorio affascinante ma scontroso, per chi vuole fare il viticoltore, è stato in grado di crescere e oggi conta un buon numero di produttori capaci di regalarci emozioni sensoriali con i loro vini, buona parte del merito si deve alla vulcanica ed esuberante figura di Edi Kante.
Giovanissimo, dopo aver studiato agraria, entra nell’azienda di famiglia. I genitori, grandi lavoratori, portano avanti le tipiche produzioni del tempo. Fare viticoltura nel Carso significava vinificare un vino bianco e un vino rosso, prodotti semplici e rustici, composti da varie uve, da consumare nel corso dell’annata perché l’obiettivo era quello di garantire la sussistenza economica della famiglia e non certo deliziare l’ego di esigenti degustatori.
Edi, a partire dagli anni ’80, rivoluziona il modo di fare viticoltura nel Carso. In vigna decide di separare le varie tipologie e inizia a testare le potenzialità del territorio. Accanto a tipologie internazionali come chardonnay e sauvignon, che garantivano l’accesso ai mercati, coltiva anche varietà autoctone come malvasia, vitovska e terrano. In quegli anni nessuno era interessato agli autoctoni, in primis i consumatori. Ma a essere onesti nemmeno gli stessi protagonisti del territorio, tranne uno, pensavano che queste uve potessero avere un futuro.
La carica energetica, mista a un intelletto sempre alla ricerca di nuovi confini da superare, lo porteranno a raccogliere grandi successi e diventare una sorta di condottiero per tutti i giovani viticoltori del Carso che decisero di raccogliere la sfida che egli per primo aveva lanciato.
Lui ci ha messo molto del suo in tutto quello che ha fatto, ma non nega dei meriti a una figura che è stata molto importante per la sua crescita, sia come uomo sia come viticoltore. Edi Kante e Josko Gravner sono personaggi caratterialmente diversi, ma da quando negli anni ’90 iniziarono a frequentarsi, nacque fra loro un profondo rispetto reciproco dettato da sensibilità profonde che trovarono punti in comune su molti argomenti a loro cari.

La cantina

La storia e l’evoluzione produttiva di Edi camminano a braccetto con la sua continua ricerca di nuove sfide e obiettivi da raggiungere. Oggi la sua azienda può contare su circa 15 ettari vitati (una decina in territorio italiano e il resto nella vicina Slovenia).
Elementi imprescindibili del suo modo di lavorare sono l’elevata densità delle viti, fittissime fra le rocce bianche e la terra rossa del Carso, e le rese basse che si aggirano su circa mezzo chilo per pianta.
Il clima è continentale ma la vicinanza del mare fa sentire la sua influenza garantendo notevoli escursioni termiche ideali per la maturazione delle uve. I forti venti di bora spazzolano le viti e sono un deterrente naturale contro le malattie fungine.
Accanto a questi elementi naturali c’è lo scrupoloso lavoro di Edi in vigna che mira a ottenere uve di primissima qualità nel massimo rispetto per la natura e le sue leggi. Le uve devono solo essere coccolate e seguite nel loro percorso una volta giunte in cantina, struttura scavata completamente nella roccia, capace di emozionare per la sua bellezza ma al tempo stesso estremamente funzionale ed efficiente.
La cantina è costruita su tre piani a scendere a sezione ellissoidale che garantiscono temperatura e umidità ideali. Le uve partono dal piano superiore e scendendo si trasformano prima in mosto e poi in vino che affina nelle botti di rovere e nei contenitori d’acciaio. Tutto avviene in modo naturale senza nessun pompaggio o qualsivoglia stress meccanico.

I vini

La produzione annua è di circa 60mila bottiglie. Le tipologie monovitigno a bacca bianca sono Malvasia, Vitovska, Chardonnay e Sauvignon. Tipica vinificazione in bianco senza macerazione, un anno in barrique usate e stabilizzazione di 6 mesi in acciaio prima di essere imbottigliate senza filtrazione.
Fra i rossi sono prodotti il Terrano che fermenta e si affina per 36 mesi in botti di rovere da 25 hl e il Rosso, blend di terrano, merlot e cabernet sauvignon che fermenta e si affina per 24 mesi in botti di rovere da 25 hl.
Nelle annate che si reputano veramente eccezionali, vengono prodotte due riserve. La Bora di Kante è una selezione di chardonnay in purezza che, dopo due anni passati in barrique non nuove, si affina per 5 anni in acciaio.
Il Pinot Nero Selezione invece, dopo una fermentazione di un mese sulle bucce, si affina per 24 mesi in barrique non nuove. Nella terra, che grazie alle origini autoctone della glera, ha permesso di tutelare le bollicine di Prosecco che spopolano in tutto il mondo, Edi produce anche due spumanti metodo classico di notevole spessore per un territorio e una regione che non ha mai avuto una grande tradizione spumantistica.
Il Brut KK è uno spumante a base malvasia e chardonnay che, una volta in bottiglia, si evolve sui propri lieviti per i tempi dettati dall’estro del suo ideatore, prima di essere sboccato senza aggiunta di liqueur d’expedition ed essere pronto a deliziare gli amanti delle bollicine.
Il secondo spumante è il Brut KK Rosè a base di pinot nero che dopo una permanenza minima di un anno in bottiglia sui propri lieviti, viene sboccato senza aggiunta di liqueur d’expedition e mette in mostra tutte le potenzialità di un vitigno difficile da coltivare che ha saputo esprimersi ad alti livelli anche in un territorio non propriamente famigliare.

Extrò

L’ultima creazione è l’Extrò, un mix di fantasia e originalità. Di questo vino non si sa nulla, non ci sono schede e informazioni. Viene lasciata piena libertà allo sfogo dei sensi del degustatore che decide di affrontare la sfida e si trova versato nel bicchiere, dopo aver preventivamente agitato la bottiglia, un vino bianco ma torbido, pieno di vita, ricco com’è di lieviti attivi simili a quelli di uno yogurt.
Edi Kante ha fatto molto per il suo territorio, e sebbene lui non voglia prendersi meriti specifici, è innegabile che se il Carso sia oggi molto più di un piccolo lembo di territorio all’estremo nord-est dell’Italia, lo deve per buona parte anche alla tenacia e lungimiranza di un uomo che ha avuto una visione futura a lungo raggio d’azione.
Solo chi guarda al futuro può garantirsi un presente prospero e ricco di speranza ed è quindi meritevole della nostra riconoscenza.

DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO

Edi Kante durante l'intervista

Un paese piccolo come Prepotto, oltre che per le alte densità dei vigneti, può sicuramente essere menzionato per l’altissimo rapporto di bravi produttori per numero di abitanti. Su circa 150 residenti, quattro bravi viticoltori come te, Skerk, Zidarich e Lupinc sono forse un record assoluto. Hai mai sentito la responsabilità di essere stato, e di esserlo ancora, un punto di riferimento per questi uomini che sono cresciuti seguendo il solco che hai tracciato?
Devo essere sincero. Non ho mai sentito nessun tipo di responsabilità, perché penso che la crescita di un territorio segua un processo di evoluzione naturale. Sono felicissimo che nel Carso ci siano tanti bravi produttori che sono cresciuti grazie al proprio lavoro e all’amore che provano per la propria terra. Io mi sento esattamente uno di loro e mi metto al medesimo livello, anche se avendo qualche anno di più, ho un po’ più di esperienza alle spalle.
Quando ero giovane, ho avuto anch’io i miei punti di riferimento, e ho avuto modo di apprendere conoscenze e ricevere consigli da chi aveva più esperienza di me. Poi la ruota gira e sono stato io a trasmettere ai più giovani quello che avevo imparato nel tempo. Si tratta di una normale evoluzione intellettuale che si trasmette fra le generazioni. Io non ci tengo ad avere nessun ruolo guida nel territorio, anche se ovviamente mi fa piacere se qualche produttore, che è anche amico, è potuto crescere grazie a qualche mio consiglio o all’esempio che ho dato con il mio modo di lavorare nel Carso.

Erano gli anni che andavano dal ’90 al ’97 quando un gruppo di “sognatori” si frequentava, scambiandosi le proprie idee e i propri propositi. Eravate tu, Stanko Radikon, Angiolino Maule, Josko Gravner, Giorgio e Nicolò Bensa. Che cosa ha rappresentato per te quel periodo e che ricordi porti con te?
Porto il ricordo di Josko Gravner che è stato un grande maestro per tutti noi. Ci ha aiutato, consigliato ed è stata la chiave affinché questo gruppo potesse incontrarsi e confrontarsi. Senza di lui probabilmente non ci sarebbe stato tutto questo.
Josko adesso è un po’ isolato, la morte del figlio è stata un duro colpo per lui, ma dobbiamo essergli grati e riconoscenti perché ci ha indicato la strada e ci ha dato una visione nuova dell’essere viticoltori che solo lui poteva esprimere con simile intensità. Non da ultimo è stato fondamentale anche per aprire le porte verso i mercati di vendita.

Particolare di un vigneto

Il Carso è una terra difficile ma estremamente affascinante. Tanta pietra, poca terra e una bora che soffia sempre impetuosa. Le viti sono entrate in piena sintonia con quest’ambiente e grazie anche alla bravura dei viticoltori, riescono a dare uve di primissima qualità. I risultati raggiunti sono già importanti, ma secondo te ci sono ancora margini di miglioramento e quali sarebbero le priorità sulle quali intervenire?
La crescita di un territorio è direttamente proporzionale alla crescita intellettuale dell’uomo. Su dove si dovrebbe intervenire, sinceramente, non lo so. La natura è meravigliosa ma, al tempo stesso, complessa e non l’abbiamo ancora capita fino in fondo. Il nostro compito è solo quello di avvicinarvisi con umiltà e passione. Se tu cresci, lo fai insieme al processo di evoluzione della natura che non ha limiti. Ma ci vuole tempo e pazienza. Il solo pensiero di quanto il mondo del vino si sia evoluto e in molti aspetti migliorato negli ultimi trenta anni, ci fa capire come l’evoluzione sia un fenomeno naturale sempre presente nella storia dell’uomo.

Dietro un grande uomo c’è molto spesso il contributo, alle volte silenzioso ma comunque assordante, di una grande donna e ci sono importanti valori trasmessi dai genitori. Tu nel tuo lavoro hai messo tanta passione, amore e genialità. Ma quanto sono state importanti le figure di tua madre e tuo padre e la vicinanza di una donna come Elena, per permetterti di raggiungere tanti grandi risultati?
Se nella vita ho fatto qualche volta il presuntuoso è perché avevo alle spalle una famiglia e una moglie che hanno rappresentato le mie fondamenta e hanno assecondato il mio modo di essere e agire. Mia madre ha sempre lavorato tanto, fedele alla sua terra e all’azienda. Cosi come ha fatto mia moglie Elena che lavora più ore di me nonostante ci siano stati figli da allevare e una casa da portare avanti. La donna da sempre è importantissima nella vita di un uomo ed è anche più forte. I successi di un uomo sono quasi sempre accompagnati dalla presenza di una donna forte al suo fianco.
Io nella mia vita ho forzato tante cose, il solo fatto di restare a vivere in questa terra è stata una grande sfida, che mi è stata possibile anche grazie alle solide fondamenta che mi aveva creato la mia famiglia.

Edi Kante all'ingresso della cantina

Coltivare vitovska, malvasia e terrano sul Carso rappresenta oggi la normalità, ma è bene ricordare che sono tipologie che hanno rischiato di scomparire se non fosse stato per personaggi come te, che hanno capito in anticipo quali fossero le potenzialità di queste varietà autoctone.
Tu però hai puntato anche su tipologie internazionali come sauvignon, chardonnay, per non parlare di un vitigno difficile come il pinot nero. Com’è maturata questa decisione e qual è il segreto per i grandi risultati che hai ottenuto anche con vini non propriamente del territorio?

Quando sono nato non c’era la moda degli autoctoni. Negli anni ’80 se parlavi di vitovska e terrano non emozionavi nessuno e nessuno ti filava. Io non sono nato genio e ho dovuto sempre lottare nella mia vita per raggiungere i miei obiettivi. Quando l’azienda era gestita dai miei genitori, veniva prodotto un vino bianco e uno rosso che contenevano una molteplicità di tipologie.
Quando ho preso in mano le redini dell’azienda, ho deciso di voler comprendere quali erano le potenzialità del Carso e ho separato le tipologie e iniziato a vinificarle da sole. Mi sono trovato così a produrre sauvignon e chardonnay che al tempo mi permettevano di lavorare ed entrare nei mercati. Mentre la vitovska, la malvasia e il terrano erano quelle tipologie autoctone del territorio che avevano grandi potenzialità ma che dovevano ancora essere capite dal consumatore. Quando il vento ha iniziato a cambiare e i consumatori hanno iniziato a capire quali fossero le qualità di certe tipologie, ho potuto raccogliere i frutti del mio lavoro.

Un'altra veduta della cantina

In sinergia con Stanko Radikon, nel 2003 hai adottato un nuovo sistema di formati per le bottiglie, quelle da mezzo e un litro con un collo molto ridotto. Queste possono così avere tappi ricavati da plance di sughero sottili che in natura sono molto più abbondanti e di migliore qualità. Tutto questo garantisce un miglior rapporto tappo/vino che permette conservazioni ed evoluzioni migliori.
A distanza di più di dieci anni, può considerarsi una scelta indovinata anche a fronte del fatto che sei tornato a imbottigliare nel tipico formato da 75 cl?

Ritengo che sia stata un’esperienza utile e profondamente intelligente, che a distanza di anni ha valorizzato e dato credito alle nostre scelte. Dopo dieci anni sono stato costretto a fare un passo indietro. Pensavo che il nostro lavoro e la nostra idea avrebbero avvicinato un numero elevato di produttori e che questo avrebbe consentito di abbattere i costi necessari a produrre bottiglie di vetro di formato non standard. Ma invece mi sono trovato solo e, sebbene tecnicamente si sia trattato di un progetto riuscito, la logica commerciale non mi ha permesso di continuare a causa degli elevati costi delle bottiglie che non erano ammortizzabili.
Quando ho deciso di intraprendere questo progetto, per prima cosa, da produttore, ho pensato al vino, a come i nuovi tappi e i nuovi formati di bottiglia avrebbero aumentato la qualità e l’evoluzione del prodotto. Ancora oggi stappo delle bottiglie la cui sontuosa evoluzione gratifica le mie scelte e il mio operato. C’era anche un discorso legato alla maggior versatilità dei formati nei ristoranti ma certi ristoratori sono rimasti entusiasti mentre altri sono stati più restii nell’accettare queste novità.

Bottiglie in cantina

Il tuo modo di lavorare e pensare. La tua continua ricerca del perfetto equilibrio, senza mai lasciarti andare a facili compromessi, ricordano un po’ la storia di un altro grande vignaiolo del Collio come Josko Gravner. Pensi che il tuo modo di pensare il vino, ti porterà un giorno a fermarti, conscio di aver raggiunto l’obiettivo desiderato, o il tuo, sarà comunque sempre un percorso soggetto a cambiamenti e nuove intuizioni?
Secondo me un uomo, quando è bravo e intelligente, evolve fino alla sua morte. Io penso e spero di crescere sempre, perché fa parte del mio modo di essere e di pensare la vita con uno sguardo sempre rivolto al futuro. Josko è più conservatore di me, lui è vicino alle tradizioni antiche, ma anche lui in modo diverso cresce e si evolve nel profondo della propria anima e del proprio intelletto.

Botte in pietra carsica

Quando finirai di produrre lo spumante metodo classico KK e ti dedicherai finalmente alle bollicine di Prosecco? A parte gli scherzi, qual è la situazione e qual è la tua opinione sulla spinosa questione che ha visto, il Carso fare la sua parte importante, permettendo la tutela di un marchio di successo, ma che non ha visto la politica rispettare gli impegni che dovevano garantire a tutto il territorio carsico, i mezzi necessari alla sua crescita, sia in termini economici sia burocratici?
Io non faccio Prosecco perché la mia famiglia non l’ha mai prodotto in tanti anni della sua storia. Sull’altopiano non si produceva, a differenza delle zone costiere del litorale dove c’era un altro tipo di terra e si coltivava la glera per produrre il Prosecco o Prosekar. Ma mai dire mai, non è detto che un giorno non possa anch’io cimentarmi con questa tipologia. Per quanto riguarda la tutela del marchio, noi viticoltori del Carso abbiamo fatto un grande servizio al Prosecco italiano nel mondo. Ritirando il ricorso abbiamo garantito la tutela, anche se noi piccoli viticoltori non viviamo di bollicine di Prosecco, ma abbiamo avuto una storia diversa che ci ha portato a fare scelte diverse.
A ricompensa di questo nostro atto non abbiamo chiesto soldi ma solo qualche autorizzazione e qualche vincolo in meno per poter lavorare meglio nel nostro territorio. Ma poco o nulla si è mosso. Ad oggi il Carso ha avuto solo le briciole. Siamo bloccati da una burocrazia europea e regionale macchinosa e da vincoli che non ci permettono di lavorare. Nessuno ha colpa, le responsabilità passano di mano in mano e il risultato finale è che io non riesco a fare un ettaro di vigna in più e lavorare per dare un futuro al nostro territorio
.

Ami l’arte e la cultura in generale e lo si può vedere anche nelle etichette delle selezioni, tratte da tuoi dipinti. Ma se dovessi scegliere un artista o personaggio della cultura così meritevole della tua stima da rappresentare un tuo vino importante, su chi ti orienteresti?
Parto con il dire che non sono né un artista né un uomo di cultura, anche se mi piacerebbe esserlo. Faccio due nomi di persone locali che stimo come uomini e come amici. Nel campo dell’arte menziono il grafico Franco Vecchiet mentre in quello della cultura lo scrittore Paolo Rumiz.

La tua fantasia ti ha portato a creare l’Extrò, vino non filtrato, torbido, da agitare bene prima di versare. Di questo vino non si conoscono né l’annata né i vitigni che compongono il blend. Non sarà mica stato creato ad arte, oltre per alimentare la curiosità dei consumatori anche per smascherare le reali doti di qualche sommelier o presunto “signor so tutto io”, proponendo una vera e misteriosa degustazione da assaporare alla cieca?
Ho ideato questo vino per permettere a chi lo assaggia di essere libero da ogni condizionamento davanti al bicchiere di Extrò. Siamo martellati da mille informazioni, da decine di guide che vogliono tutte indirizzare il degustatore. Io volevo lasciare l’appassionato libero da ogni influenza, non spiegare nulla per lasciare a tutti quel senso di sfida e libertà che è possibile solo quando mancano le informazioni che possono condizionare il giudizio finale. Tu, un bicchiere di vino e le tue emozioni che si possono liberare nella loro massima genuinità.

C’è ancora qualche sogno o desiderio irrealizzato nel futuro di Edi Kante?
Pagare tutti i debiti, e non voglio aggiungere altro.

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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