L’astice è un grosso crostaceo che vive nei fondali compresi tra i 30 e i 150 metri di profondità del Mar Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico ed è piuttosto longevo, può vivere in natura anche fino a 20 anni, anche se in allevamento se ne sono conosciuti di 50 anni e perfino oltre. L’astice mediterraneo (homarus gammarus) ha una taglia media compresa tra 25 e 50 cm, ma può raggiungere i 60 cm di lunghezza e almeno 8 kg, ha il colore del carbone tendente al blu e un ventre chiaro. Si pesca con le nasse e, se si trova surgelato, prima di cucinarlo va lasciato scongelare per circa 24 ore. Ma se lo volete fresco, l’astice va comprato vivo, preso dalla vasca di conservazione della pescheria con le chele già ammanettate da cinturini di gomma o di plastica. Può essere conservato vivo nel vostro frigorifero anche per 24 ore su un piatto abbastanza largo e che dev’essere avvolto da un panno ben inumidito.
Secondo la tradizione andrebbe immerso vivo in acqua bollente, meglio con un bicchiere di vino bianco secco, per un paio di minuti prima di procedere con la preparazione, ma per risparmiargli una simile crudeltà i veterinari hanno trovato e approvato un sistema molto semplice e affidabile, come descrive bene Domenico Augenti in questo video. Sulla testa dell’astice c’è un piccolo solco trasversale attraversato a croce da una lunga linea. Mettetevi un grembiule per non schizzarvi e nel punto dell’incrocio del solco con la linea basta infilare con un forte colpo secco una lama appuntita di coltello subito prima di cucinarlo. Così è sicuro che muore sul colpo e non soffre. A questo punto si possono togliere le cinturine di gomma o di plastica dalle chele, che non potranno ferirvi le dita perché non si muoveranno oppure avranno soltanto dei piccoli movimenti di rilasciamento.
Ingredienti per 4 persone:
Procedimento Per fare gli spaghetti neri all’astice occorre tagliarne la testa e le chele e romperne l’addome per estrarre tutta la polpa. C’è dunque chi preferisce tagliarlo a pezzi per cucinarlo, ma la pratica ci insegna che in questo modo assorbirebbe tutta l’acqua come una spugna, la polpa del corpo diventerebbe troppo molle e quella delle chele, che è tanta e molto saporita, sarebbe pure difficile da sfilare. A mio parere sarebbe meglio perciò cucinarlo intero così com’è. Una volta cotto, è molto più facile sfilare tutta la polpa, delle chele e della coda. Risciacquate bene il corpo dell’astice sotto l’acqua corrente e ponete sul fuoco una capiente pentola d’acqua. Non appena bolle, immergeteci l’astice intero e fatelo cuocere per un tempo che dipende dalle sue dimensioni dell’animale: occorreranno venti minuti per ogni chilo.
Considerate venti minuti di cottura per ogni chilo di crostaceo, quindi scolatelo e immergetelo in una catinella di acqua fredda per fermarne la cottura e agevolarne la pulitura. Va tolta dapprima la testa con un trinciapollo per fare un brodetto che andrà ad aumentare il gusto del sugo. Si mette la testa in una casseruola con verdure varie come cipolla, zucchina, sedano, carota, 2 spicchi sbucciati di aglio, 2 foglie di alloro e si fa sobbollire per circa 3 quarti d’ora, poi si aggiusta di sale e si filtra il brodetto che si è formato. Nel frattempo il corpo va diviso in due parti simmetriche per il lungo, quindi si eliminano le interiora che si riconoscono perché hanno un colore molto più scuro rispetto alla polpa che è bianca. La polpa si estrae facilmente per intero usando un cucchiaio e poi la si taglia a pezzetti. Per estrarre la polpa dalle chele, però, queste si devono aprire con delle apposite pinze oppure con il manico di un coltello pesante o un martelletto da cucina, facendo attenzione a non rovinarle troppo e a non sbriciolare la polpa. Sbollentate i pomodorini e privateli della buccia. A questo punto si fa il sugo, scaldando 6 spicchi sbucciati di aglio e 1 peperoncino sbriciolato in olio extravergine d’oliva a fiamma molto bassa. Quindi si elimina l’aglio prima che prenda colore e si aggiungono i pezzetti di polpa d’astice. Si alza la fiamma, dopo qualche minuto si innaffia con l’altro bicchiere di vino bianco secco che va lasciato sfumare e infine si aggiungono i pomodorini pelati e il prezzemolo tritato. Si versa anche il brodetto di testa, si aggiusta anche di sale e di pepe macinato fresco al momento e si lascia legare e condensare il sugo per qualche minuto ancora mentre lessate gli spaghetti al nero di seppia in acqua insaporita con sale grosso. Scolateli cotti al dente e fateli saltare due o tre minuti nel sugo appena preparato, poi serviteli nel piatto da portata con la testa dell’astice e le chele in bella vista, eventualmente decorando il piatto con altro prezzemolo tritato fine.
Il vino consigliato: Roero Arneis ”Elisa” 2019 dell’azienda agricola Paitin Con i crostacei non dovrebbe essere arduo scegliere un vino da abbinare: bianco, secco, tenore alcolico sostenuto, “mogli e buoi dei paesi tuoi” e quindi da vigne che guardano il mare o ne avvertono da vicino le brezze. Ma, come ben sanno i sommelier, certe volte i cosiddetti ”matrimoni combinati” perché locali non sono proprio il massimo dal punto di vista dell’amore, che sboccia perciò nella sensualità, nella voluttà, nel piacere con amanti di passaggio che arrivano da chissà dove e chissà dove se ne andranno. Con l’astice è sempre così. È un grosso crostaceo solitario che si nasconde come un eremita tra gli anfratti e le buche delle rocce, sopporta malamente la presenza dei suoi congeneri, anche un partner ma soltanto durante la stagione riproduttiva ed è abbastanza aggressivo, perché attacca tutto ciò che è più piccolo di lui, anche altri astici pur di difendere il suo territorio o per conquistare una femmina e si serve delle due grosse chele per schiacciare e stringere le prede, come piccoli granchi, molluschi e anellidi. Io lo abbinerei a un vino altrettanto delizioso nel contenuto quanto ugualmente scorbutico. Della serie ”Dio li fa e poi li accoppia”. Ecco perché un Arneis del Roero, ma scelto fra quelli muscolari, dato che in zona ci sono parecchie differenze di stile. Sono vini cresciuti molto negli ultimi anni, tanto che adesso l’Arneis è diventato il vino bianco piemontese più famoso e venduto dopo il Moscato e di quello del Roero ce n’è davvero troppo, siamo quasi a un migliaio di ettari e non è un vino da bere in gioventù. Non va giù come l’acqua, ma è un vino qualitativamente importante e sarebbe più giusto coltivarne le uve soltanto nelle aree realmente vocate con particolare attenzione alla viticoltura biologica. Per un astice su pasta lunga al nero di seppia ci vedo perciò un vino maturo come il Roero Arneis ”Elisa” 2019 dalle radici profondamente radicate nel suo territorio, prodotto dall’azienda agricola Paitin di Pasquero Elia, un’azienda storica sul confine orientale del Roero, tra Neive in provincia di Cuneo e Castagnole in provincia di Asti.
Gli Elia l’avevano acquistata nel lontano 1796 su un bricco di Neive (adesso cru con menzione geografica aggiuntiva Serraboella) che aveva preso il nome di sorì ‘d Paitin, che è il soprannome con cui sono stati chiamati gli Elia che se la sono passata di generazione in generazione. Quando muore Giuseppe Elia nell’aprile 1938, il figlio Alessandro non è interessato e a continuare l’attività il genero Giovanni Pasquero, il marito di Elisa Elia che però muore precocemente in pochi mesi lasciandola vedova con un figlio di soli 10 anni, Secondo. Elisa ha dovuto condurre l’azienda durante tutti gli ardui anni della seconda guerra mondiale e fino al 1973, quando è morta lasciando al figlio il compito di continuare il suo lavoro. È stato proprio in quell’anno che Secondo, che aveva cominciato nel 1948, ormai ventenne, a gestire l’azienda, ha deciso di vinificare per la prima volta le uve di arneis per produrre questo vino, quando ancora nel Roero di ettari con questo vitigno ce n’erano soltanto una decina e tanti preferivano piantare piuttosto uve di altisonanti nomi francesi diventati di moda sia per i vini rossi che per quelli bianchi. L’arneis era quasi andato in estinzione fino a quando non è stato salvato dal leggendario enologo Bruno Giacosa e dai suoi più convinti sostenitori, come Secondo, che ha dato a questo vino il nome di quella donna coraggiosa e attualmente sono i suoi figli Giovanni e Silvano e suo nipote Luca a continuare una vitivinicoltura che dura ormai da oltre due secoli, oggi affiancata anche da un bell’agriturismo in posizione panoramica sulle vigne intorno alla cantina.
Il Roero Arneis ”Elisa” 2019 proviene da uve arneis in purezza di viti piantate nel vigneto Varinere di Priocca nel 1980 e e allevate a Guyot su due ettari di suoli generalmente più sabbiosi di quelli delle Langhe, con arenarie che si alternano a strati argillosi di marne calcaree friabili. Fondamentale è la cura dei terrazzamenti e del manto erboso con sfalciatura manuale o meccanica e niente diserbo per garantire la sopravvivenza della biosfera sottostante con l’integrazione degli elementi consumati dalla vite attraverso il sovescio e la concimazione animale ogni paio d’anni. Il microclima, l’esposizione al sole a Sud-Ovest e la posizione privilegiata tra 200 e 240 metri di altitudine assicurano di poter effettuare l’intervento minimo soltanto con i composti rameici e sulfurei naturali per quanto concerne la difesa dei ceppi e la salute delle uve. Niente trattamenti chimici o di prodotti di sintesi fin dal 2000 e certificazione delle pratiche biologiche dal 2015 sui circa 18 ettari dell’azienda. La raccolta e la selezione delle uve si fa rigorosamente a mano in piccole cassette a metà settembre. Dopo la pigiatura soffice le uve vengono poste in giornata in vasche di acciaio inox per la macerazione a freddo alla temperatura di 12°C per un paio di giorni. La fermentazione viene svolta sempre in acciaio inox a basse temperature (14°C) utilizzando lieviti selezionati. Il vino viene mantenuto sui lieviti per 6 mesi in serbatoi di acciaio inox per esaltare gli aromi più floreali e gradevoli dell’Arneis che all’imbottigliamento risulta meno acidulo e meno citrino. Il tenore alcolico è del 13,5%. Di colore dorato chiaro e luminoso, attacca con profumi di zucchero vanigliato, fieno ed erbe officinali che aprono un bouquet di aromi di pesche gialle, nespole, cedro, tra sfumature di caprifoglio. In bocca si avverte anche l’arancia amara e lo zenzero candito mentre emerge una piacevole sapidità. Di corpo ricco e consistente come nessun altro di questa varietà, è carnoso, di buona struttura, dal finale persistente, leggermente peccante e con una bella nota mandorlata. Lo abbinerei anche a trote al burro, antipasti di salumi freschi e morbidi, caprini sott’olio ed erbe aromatiche, tomini in salsa verde, formaggio castelmagno, funghi trifolati, scaloppe di carni bianche, pollo in gelatina e vitello tonnato a una temperatura di 10°C.
Rolando Marcodini
Azienda Agricola Paitin della famiglia Pasquero Elia Via Serraboella 20 (Str. Prov. 51), 12052 Neive (CN) coord. GPS: lat. 44.714064 N, long. 8.130708 E Tel/fax 0173.67343 sito www.paitin.it, e-mail info@paitin.it
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Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
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