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REWine 2021 Seconda Parte: Carema, il Convegno e i Balmetti

Fotografie di Danila Atzeni e Maura Ottino

Convegno Giovani Vignaioli Canavesani a Ivrea
Convegno Giovani Vignaioli Canavesani a Ivrea

La seconda parte del mio articolo dedicato al REWine 2021 – evento promosso dai Giovani Vignaioli Canavesani lo scorso 26-27 giugno – affronta tre punti salienti del press tour: Carema, il convegno – dal titolo “Il ruolo della viticoltura canavesana in un clima che cambia” tenutosi presso il Teatro Giacosa d’Ivrea – e la degustazione dedicata al grande pubblico che ha avuto luogo presso gli storici Balmetti di Borgofranco d’Ivrea (To). Per tutti coloro che si fossero persi la prima parte, la trovate qui.
Per me è stato un vero piacere visitare – per l’ennesima volta – questo piccolo borgo fiabesco, soprattutto poter constatare quanta strada è stata fatta. La “Nouvelle Vague dei viticoltori eroici di Carema” – così l’ho ribattezzata tre anni fa – con spirito di abnegazione, coraggio e un pizzico di sana follia è riuscita ad attirare – verso queste colline di roccia protette dalle possenti braccia del Monte Maletto – il grande pubblico e la stampa di settore. Di seguito l’estratto di un mio articolo a cui sono molto legato e che racconta la storia e le peculiarità del territorio: Il comune di Carema è un piccolo borgo di circa 800 abitanti situato in provincia di Torino al confine con la Valle d’Aosta, vanta una tradizione legata alla viticultura che risale al 23 a.C., si narra che il vino prodotto in questa zona fu saccheggiato dai legionari Romani per festeggiare la vittoria sui Salassi. In epoche più recenti, attorno al 1597, lo ritroviamo protagonista in un famoso libro del medico Andrea Bacci che lo annovera come uno tra i migliori vini dell’epoca. Mario Soldati, famoso scrittore e regista dello scorso secolo, dedica parole entusiasmanti a questo lembo affascinante e antico del nord Piemonte, celebre la sua massima nel trattato enoico “Vino al Vino”, un libro cult per gli appassionati: “Carema ha una struttura strana e meravigliosa, che le deriva appunto dalla sua ubicazione e dalla sua funzione, appunto come Venezia e New York. Non diversamente da queste città, la sua bellezza è unica.” Stupendo il modo in cui la descrive: “Colonne di pietra inghirlandate di vigna”.

Alcuni produttori di Carema
Alcuni produttori di Carema

Agli inizi dello scorso secolo la vite costituiva per gli abitanti di Carema una delle risorse più importanti, era fonte di grande lavoro e ricchezza, una vera e propria icona della comunità, ha sempre rappresentato anche visivamente il comune. I vigneti, tra i più caratteristici d’Italia, sono una vera e propria peculiarità del posto, lo sguardo si perde sulle stupende terrazze che formano un anfiteatro naturale che parte dai 300 metri s.l.m. sino ad arrivare ai 600. La caratteristica principale che nel corso dei secoli ha fatto guadagnare a questo territorio la menzione “Viticultura Eroica” è rappresentata sicuramente dalla conformazione del suolo. Vi è una forte pendenza e per impedirne l’erosione l’uomo, grazie al suo ingegno e ai pochi mezzi a disposizione dell’epoca, ha adottato il famoso sistema del terrazzamento costituito da muretti in pietra a secco. Così facendo ha realizzato inoltre il sistema a pergola, una forma di allevamento particolarmente rispettosa della natura, adatta alle caratteristiche ambientali, anche detta “topia” in dialetto piemontese, la cui intelaiatura di travi è spesso sorretta dai caratteristici tutori in pietra tronco-conici, chiamati “pilun”.

I caratteristici "pilun"
I caratteristici “pilun”

I caratteristici colonnati in pietra oltre a sostenere tutto il sistema di pergole hanno un importante funzione termoregolatrice, la pietra durante il giorno si scalda parecchio e questo calore lo rilascia anche nelle ore notturne riuscendo a mantenere un clima meno rigido tra i vari vigneti. Lo spazio a Carema è sempre stato limitato e soprattutto un tempo questo sistema di allevamento consentiva anche la coltivazione degli ortaggi sotto la pergola, “di necessità virtù” è proprio il caso di dirlo. Carema è una vera e propria conca morenica, un esempio stupendo della caparbietà dell’uomo che in questo lembo di Piemonte si è ostinato a voler coltivare la vite. Solo percorrendo a piedi questi terrazzamenti ci si può davvero rendere conto di quanto sforzo fisico e spirito di sacrificio servano per seguire la vite in tutte le sue fasi, è impensabile ogni tipo di meccanizzazione da queste parti, raggiungere con la macchina il punto di partenza degli stessi vigneti è stata un’impresa. I vicoli del borgo sono strettissimi, se avessi guidato io, abituato alla pianura novarese, a quest’ora la fiancata della macchina assomiglierebbe a una tela di lamiera violentata da Freddy Krueger.

Carema
Carema

Il terreno, come in tutto il Canavese terra di confine, è di origine morenica e ricco di svariati elementi per via di una grande varietà di rocce che provengono dal famoso disfacimento. Il PH, come diverse zone del Nord Piemonte è piuttosto basso, compreso tra valori pari a 5-6, in virtù della natura acida o sub-acida della reazione. Questa tipologia di rocce appartiene al gruppo denominato silico-alluminoso-alcalino, ed è corrispondente ai massicci cristallini delle montagne più importanti d’Italia, abbastanza vicine a Carema: il Monte Bianco, il Monte Rosa e il Gran Paradiso. La DOC Carema è nata nel 1967, deve il nome al suo comune di provenienza, l’unico a rientrare nel disciplinare di produzione. Il protocollo prevede l’utilizzo minimo dell’85% di uve nebbiolo, la particolarità di questo vino è data dall’impiego di due specifici cloni, uno è il picotendro o picoutener, che nella forma dialettale significa “dalla buccia tenera”, l’altro è il pugnet. Nel restante 15% sono ammesse uve a bacca rossa non aromatiche, provenienti dall’ambito aziendale, idonee alla coltivazione nella provincia di Torino, le più utilizzate sono il neretto e il ner d’ala, anche chiamato vernassa o neirèt dal picul rus, varietà autoctone che stanno pian piano recuperando fama e interesse da parte degli appassionati viticultori come Gian Marco Viano.

Gian Marco Viano
Gian Marco Viano

Queste uve, anche se applicate in percentuali minime, sono in grado di dare al Carema DOC una tipicità che lo caratterizza notevolmente. Questo concetto è molto importante e avviene in molte regioni d’Italia, ad esempio in Alto Piemonte in provincia di Novara, un territorio molto vicino a Carema, con DOC quali Boca, Fara e Sizzano ma anche DOCG come il Ghemme, dove al nebbiolo, localmente chiamato spanna, vengono sempre affiancati vitigni autoctoni quali vespolina e uva rara. Per quanto sia un amante sfegatato dei vini prodotti con l’impiego di un solo vitigno, devo riconoscere che il rispetto della tradizione storica di una DOC è molto importante, sia per tutelare importanti uve che fanno parte del patrimonio enologico italiano, sia per dare al vino caratteristiche di unicità e forte aderenza al territorio di elezione. Il consumatore o appassionato potrà così “facilmente” riconoscerlo, identificarlo e allo stesso tempo crescere come degustatore. Come tutti i vini piemontesi importanti a base nebbiolo, il Carema DOC dev’essere sottoposto a un periodo di invecchiamento piuttosto importante, in questo caso il disciplinare impone 24 mesi per il “base”, 36 per la “Riserva”, di cui 12 in legno di rovere o di castagno con decorrenza dal 1° novembre dell’anno di vendemmia.
Diamo spazio alla degustazione offerta dagli 8 produttori che attualmente imbottigliano Carema Doc – pensate che fino a pochi anni fa erano solo due le Aziende attive.

Carema in degustazione

Cantine Produttori Nebbiolo di Carema: una delle cooperative più attive dell’intero stivale, rappresenta la storia stessa di Carema, piccola Doc rimasta in piedi – negli anni bui – solo grazie all’impegno di questi 110 soci, di cui 75 conferitori, e un’altra azienda privata che illustrerò subito dopo questo paragrafo. La Riserva 2017 convince per eleganza, finezza, toni sussurrati di frutti rossi e spezie dolci che non ostentano in nessun modo il carattere dell’annata. In bocca segue la stessa linea d’onda: tannino cesellato e freschezza vanno a braccetto verso un finale lungo e sapido. Un vino che mostra grandi potenzialità e che è solo all’inizio della sua lunga carriera.
Ferrando: realtà vitivinicola giunta alla quinta generazione – di cui ho accennato pocanzi – è soprattutto una famiglia di grandi lavoratori che ha continuato a credere nelle potenzialità di Carema anche in periodi davvero difficili per la denominazione. È riuscita a portate il nome di questo piccolo borgo torinese nelle tavole di tutto il mondo. La 2015 etichetta nera mostra un frutto rosso croccante, integro, ravvivato ulteriormente da folate balsamiche di mentolo e guizzi speziati frammisti a roccia calda al sole. Succoso, acidità sferzante, misurato nell’incedere grazie ad una trama tannica coesa, tuttavia percettibile e dolce; sul finale ritorna l’agrume e un allungo salino da vero fuoriclasse.
Monte Maletto: Gian Marco Viano è stato il fautore della “Nouvelle Vague dei viticoltori eroici di Carema”, il primo che ho intervistato: sognatore, istrionico, grande amante della natura e di tutto ciò che gravita attorno ad essa. Egli studia soprattutto – ogni giorno della sua vita – il modo di fare viticoltura rispettando il più possibile la terra, vero patrimonio da difendere ad ogni costo. Il suo Carema La Costa 2018 – nome che deriva da uno tra i suoi appezzamenti più vocati – è un tripudio di piccoli frutti di bosco – e spezie fini – rese ancor più complesse da refoli balsamici ed erbe officinali, il tutto inserito in un contesto prettamente territoriale che sa di roccia bagnata e grafite. In bocca è letteralmente esplosivo, non certo in materia di muscoli, timbro e struttura – difficilmente a Carema si trovano vini del genere – parlo di una graduale esplosione fatta di freschezza, densità gustativa – commisurata all’estratto del vino – lunga scia sapida ed un finale incantevole che lascia la bocca pulita – lievemente ammandorlata – e soprattutto desiderosa di ricevere il secondo, terzo, quarto sorso, e così via.

Degustazione ai Balmetti
Degustazione ai Balmetti

Sorpasso: Martina e Vittorio Garda – quest’ultimo Presidente dei Giovani Vignaioli Canavesani – stanno vivendo il sogno di un’intera vita. Poter lavorare nel territorio in cui sono nati e produrre il vino che hanno sempre avuto in mente senza compromessi di sorta: un inno al vero Carema citato da Mario Soldati e da altri illustri scrittori del Novecento. Il loro Carema 2016 sta vivendo una fase esaltante, è la seconda volta che lo assaggio e ritrovo un frutto molto più definito, integro, lineare: susina rossa, ribes, eucalipto su uno sfondo di liquirizia e rossetto, tanto sottobosco che rimanda a toni prettamente autunnali – legno perfettamente digerito – chiude su ricordi di grafite e noce moscata. In bocca le parti sapide sono perfettamente bilanciate alla freschezza del sorso, quest’ultimo appare interminabile, godurioso, accattivante. L’annata d’altronde è stata meravigliosa, Vittorio e Martina non hanno fanno altro che intervenire il meno possibile ed accompagnarla verso un tipo di successo preannunciato.
Muraje: Federico e Deborah Santini sono i titolari di questa giovane realtà caremese nata attorno al 2014 grazie all’acquisto di un piccolo appezzamento in zona Laurey. Dopo aver prodotto etichette che non rientrano nel disciplinare – tutte di grande qualità a mio avviso – presentano la loro seconda annata ufficiale di Carema, il Sumìe 2018. Un vino indubbiamente diverso da quelli finora descritti, giocato su toni di frutti maturi che ingolosiscono, catturano l’attenzione: marasca, mirtilli neri alleggeriti qua e là da un mosaico pregiato di fiori freschi – soprattutto rosa canina e geranio selvatico – immancabile la traccia ematica su uno sfondo prettamente terroso. Un vino eterno a mio avviso, lo si riscontra soprattutto al palato: teso, virtuoso, caratterizzato da sferzante acidità, la stessa va a braccetto con un tannino percettibile, ben domato, dolce e testimone di tanta artigianalità nell’accezione più nobile del termine.

Matteo Ravera Chion e Achille Milanesio
Matteo Ravera Chion e Achille Milanesio

Milanesio Achille: un vignaiolo che ha passato la propria esistenza tra i pilun. Tra i nuovi è indubbiamente il più grande in termini di età e l’unico autoctono, ovvero nato e cresciuto a Carema. Dopo anni passati a produrre vino per autoconsumo – e un’etichetta di Vino Rosso, l’Arsin – presenta il suo primo Carema ufficiale, la Riserva 2017. Un’annata che a Carema è stata meno difficoltosa rispetto ad altre zone d’Italia, per via di una siccità più contenuta e medie annue leggermente più favorevoli. L’integrità del frutto è ammaliante: more rosse, agrume e mirtilli adagiati su un mortaio dov’è appena stato pestato del pepe nero, fa eco un ritorno balsamico molto elegante, lo stesso che anticipa ricordi di tabacco e grafite. In bocca ha spalle larghe ma timbro misurato, tannino dolce e percettibile, sorso lungo e infinitamente sapido, alcol e legno ben digeriti. Un gran bell’esordio.
Chiussuma: Rudy Rovano, Alessandra Perona e Matteo Ravera Chion sono i protagonisti di quella che considero una Cantina davvero ambiziosa, la stessa sta investendo davvero tanto in termini di tempo, fatica e denaro. Sto parlando del lento recupero di alcuni vigneti storici strappati al bosco – in zona Airale – che ho avuto il piacere di ammirare: un’opera d’arte che mostra quanto la caparbietà – e soprattutto le competenze – possano realizzare nel tempo risultati incredibili. Presentano il Carema 2016, un vino che danza letteralmente dall’inizio alla fine. Esordisce al naso con toni agrumati dolcissimi intervallati qua e là da fragolina di bosco, violetta, menta peperita, grafite e terriccio bagnato. In bocca – la freschezza – mostra tutta la potenza del millesimo, un sorso che conquista per estrema finezza, tannino cesellato e lunga scia sapida. Forse il più equilibrato e scorrevole dell’intera batteria, indubbiamente quello che attualmente sta vivendo la sua fase migliore.

Matteo Ravera Chion e il panorama di Carema
Matteo Ravera Chion e il panorama di Carema

CellaGrande: La storia della famiglia Bagnod vede i natali nel 1946. Oggigiorno CellaGrande – la cui sede è un ex convento benedettino del XII secolo – rappresenta un luogo molto suggestivo ubicato tra le colline canavesane caratterizzate da filari di vite affacciate sul Lago di Viverone. Da qualche tempo la Cantina ha deciso di investire anche sul territorio di Carema. Il 2017 – prima annata in commercio – mostra un respiro caratterizzato da un profluvio di accenti floreali di violetta e rosa intervallati qua e là da mirtillo e lampone maturi, arancia rossa sanguinella, timo, pepe nero e china, con lenta ossigenazione mostra ancor più austerità facendo emergere ricordi di incenso, grafite e una pregevole nota salmastra. In bocca tanto equilibrio nonostante la giovane età, un frutto che mostra tutta la croccantezza su linee morbide, sinuose, caratterizzate da un tannino misurato, dolce, notevole sapidità e una freschezza mai in secondo piano rispetto a quanto fino ad ora descritto. Lunghissimo, lascia un ricordo pulito, fresco e lievemente ammandorlato.
Dulcis in fundo un outsider: “Piole” – giovane realtà di cui presto sentiremo parlare – che ha presenziato all’evento portando un’anteprima. Ciò dimostra lo spirito di squadra – di questi giovani viticultori eroici caremesi – elemento a mio avviso fondamentale per il successo di un territorio vitivinicolo.

IL RUOLO DELLA VITICULTURA CANAVESANA IN UN CLIMA CHE CAMBIA
Il convegno si è tenuto la sera del 26 giugno scorso presso il Teatro Giacosa d’Ivrea (To), ed è stato moderato da Daniele Lucca. Tante le personalità di spicco facenti parte della viticoltura italiana: Walter Massa (produttore di Timorasso), Fabio Zanzucchi (commerciante di vini, esperto di export) Camillo Favaro (produttore di Erbaluce), Maurizio Gily (agronomo), Mauro Carosso (delegato AIS Torino), Mauro Giacomo Bertolli (giornalista di vino); Vincenzo Gerbi (enologo), Caterina Andorno (imprenditrice). L’incontro – durato oltre tre ore – ha permesso di fare il punto sulle criticità e al contempo analizzare le peculiarità dei due cavalli di razza canavesani: Erbaluce e Carema. Tantissimi i temi trattati, gli stessi sono andati ben oltre il focus del convegno. Desidero porre l’accento su un tema che merita attenzione – e di conseguenza priorità per il Canavese – ovvero l’assurda presenza sui mercati di etichette ben al di sotto di prezzi giustificabili, congrui al potenziale del territorio o alle ore di lavoro impiegate. I relatori hanno insistito molto su questo tema, di contro, i vari produttori presenti al convengo, chiedono maggior sinergia tra le realtà vitivinicole del territorio – storiche, recenti, piccole o grandi – perseguire un obiettivo comune che possa imporre il nome del Canavese sui mercati nazionali e internazionali. L’obiettivo è dar lustro a un territorio altamente vocato nell’interesse della collettività.

I Balmetti
I Balmetti

I BALMETTI DI BORGOFRANCO D’IVREA
Mentre la prima giornata del REWine 2021 è stata dedicata interamente alla stampa di settore, quella successiva ha visto la partecipazione del grande pubblico, che per l’occasione è stato accolto in un luogo suggestivo e ricca di storia. Borgofranco d’Ivrea è un piccolo borgo in provincia di Torino situato lungo la strada che conduce in Val d’Aosta; per raccontare le sfaccettature dei vini canavesani – ospiti speciali anche alcuni produttori della vicina Valle d’Aosta – i GVC non potevano scegliere location migliore, ovvero i Balmit (Balmetti). Si tratta di cantine naturali – oltre duecento – letteralmente addossate alle rocce moreniche del massiccio del Mombarone. Le “òre” – correnti d’aria che soffiano dalle viscere della montagna – si incuneano tra le “ferite” delle rocce modellate dal ghiacciaio balteo. Questo curioso fenomeno geo-naturale consente di mantenere costanti all’interno delle cantine: temperatura – 7/8 °C in tutte le stagioni – e tasso d’umidità. Tradotto dal vocabolo “balma” – d’origine celto-ligure – Balmetti significa appunto “riparo sotto roccia”; sono tuttora in uso per la conservazione ottimale di tome, salumi e vini, ma risalgono a tempi davvero antichi (XII secolo). Lo sbalzo di temperatura che ho riscontrato – aggirandomi tra i banchi di degustazione e visitando le cantine – è stato incredibile. La giornata del 27 giugno è stata calda e con clima secco, attorno ai 30°, dunque – solo per fare un esempio – entrare d’estate nei Balmetti equivale ad introdurre una pizza calda in un frigorifero. Non posso che complimentarmi con i GVC (Giovani Vignaioli Canavesani) per aver scelto una location particolarmente adatta ad un evento di tale portata – lo stesso ha registrato il tutto esaurito con circa 800 partecipanti – inoltre la particolare struttura dei Balmetti, simile a un lungo serpentone, ha permesso una corretta fruizione dei vari banchetti di degustazione; soprattutto – in nessun modo – abbiamo assistito alla classica calca di gente che si ammassa per degustare, cosa importantissima in periodi di Covid. Mi auguro che questo luogo – in futuro – venga ulteriormente sfruttato per eventi così belli e ben organizzati; rinnovo dunque un grosso in bocca al lupo ai Giovani Vignaioli Canavesani e a tutto il Canavese.

Andrea Li Calzi

Andrea Li Calzi

È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a quando ha sentito che il vino non poteva essere escluso o marginale. Così ha prima frequentato i corsi AIS, diplomandosi, poi un master sullo Champagne e, finalmente, nel giugno del 2014 ha dato vita con la sua compagna Danila al blog "Fresco e Sapido". Da giugno 2017 è entrato a far parte del team di Lavinium.

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