Il vino di qualità nell’Estremo Oriente: Silver Heights Vineyard e altri casi cinesi
Sebbene la Cina sia destinata a diventare il secondo consumatore mondiale di vino nel 2021 (per volume, secondo Wine-searcher.com) e il mercato dell’import di bevande alcoliche sia florido in questo Paese, non si può dire che questo alcolico in particolare faccia parte del patrimonio culturale cinese. Il primato nel consumo spetta pur sempre al Baijiu, il distillato nazionale, e la stragrande maggioranza dell’uva prodotta in Cina (che è seconda solo alla Spagna come superficie vitata) non viene vinificata, e la restante va per la maggior parte a soddisfare il consumo interno come vino sfuso. La stessa cosa pensa Emma Gao, la proprietaria di una cantina situata proprio nell’estremo oriente, che spiega in un’intervista a Vogue: “Il vino non fa veramente parte della nostra cultura: noi facciamo il tè, non il vino”.
Nonostante ciò, la cantina della signora Gao, la Silver Heights Vineyard, ha ottenuto negli ultimi anni tante critiche positive e risultati anche a livello internazionale. Il loro vino di punta, Emma’s Reserve, è un blend per metà Cabernet Sauvignon e metà Merlot che ha ricevuto valutazioni anche oltre i 90 punti da alcuni tra i più autorevoli critici del mondo del vino. I vigneti della cantina si trovano nella regione dello Ningxia, facente parte insieme all’adiacente Shanxi, alla penisola dello Shandong, alla provincia di Hebei e all’altopiano dello Yunnan di alcune tra le “recenti” e più importanti regioni viticole cinesi. Anche questo insospettabile Paese potrebbe quindi entrare a far parte dei concorrenti sul piano internazionale per quel che riguarda i vini di alta qualità.
Il caso di Silver Heights Vineyard non è infatti unico nel suo genere: negli ultimi 10-15 anni sono numerose le cantine cinesi che hanno ottenuto successo e riconoscimenti per la qualità dei loro prodotti. Tra le prime ad essere riconosciute globalmente abbiamo la Grace Vineyards fondata nel 1997 nella regione dello Shanxi dall’imprenditore C. K. Chan.
Seguono le due celebri cantine del gruppo francese LVMH (Moët Hennessy Louis Vuitton): Ao Yun, localizzata nello Yunnan e vicino al confine con il Tibet, e Domaine Chandon China, che si trova nella regione autonoma di Ningxia, fondate entrambe nel 2013. Da tenere conto è anche Domaine de Long Dai, sorta dieci anni fa nello Shandong e finanziata da Domaines Barons de Rothschild (Lafite), proprietari dell’omonimo e rinomato Château situato in Francia.
È interessante notare come la nuova viticoltura ed enologia cinese di qualità prenda a piene mani dalla tradizione francese, e non solo in quelle cantine create da gruppi francesi che investono in un mercato promettente, ma vi sono anche casi come quello di Emma Gao, che prima di diventare la proprietaria di Silver Heights ha ottenuto un Master in Enologia in Francia e ha lavorato come tirocinante in celebri Château, o il sopracitato signor Chun Keung Chan che ha intrapreso il progetto vitivinicolo insieme all’esperto e amico francese Sylvain Janvier.
L’influenza della Francia si può notare soprattutto nella scelta delle varietà più utilizzate, come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Marselan e Syrah, e nell’utilizzo di tecniche di vinificazione, materiali e tecnologie provenienti dal Vecchio Mondo.
Ciò nonostante, le caratteristiche peculiari del terroir cinese portano a risultati nuovi e interessanti, che non dipendono solamente dalle differenti composizioni e strutture dei terreni: questi vigneti sono spesso localizzati ad altitudini elevate, dagli 800 metri sul livello del mare di Grace Vineyard fino agli oltre 2000 di Ao Yun, situato in prossimità dell’Himalaya con le vette circostanti che vanno dai 5000 ai 7000 metri. A causa di queste altitudini il clima che caratterizza i vigneti è secco, con bassa piovosità media, e soprattutto freddo, con periodi di maturazione dell’uva prolungati e inverni eccezionalmente rigidi (fino a -20°C) che spesso richiedono di sotterrare le viti per impedire che muoiano a causa delle basse temperature. Questa pratica non è rara nei vigneti con climi ostili e i viticoltori cinesi ritengono sia necessaria quando la temperatura scende sotto i -17°C (DecanterChina). In alcuni casi vengono utilizzate cultivar particolari ottenute dall’incrocio di varietà asiatiche, maggiormente resistenti a stress ambientali e malattie, e Vitis vinifera.
Sebbene l’influenza della vitivinicoltura tradizionale sia innegabile nei vini cinesi di un certo livello, si possono comunque notare delle differenze rispetto ai Paesi europei, differenze che si riflettono nel terroir e in alcune pratiche tipiche dei luoghi in cui l’uva viene coltivata, ma anche in nuovi modi di intendere la viticoltura biodinamica. Prendiamo sempre i Silver Heights Vineyard come esempio: dal 2015 i vigneti sono stati convertiti dalla proprietaria in vigneti biodinamici, che fondano la loro filosofia sul calendario agricolo tradizionale basato sui movimenti del Sole e della Luna oltre che sul Tai Chi, una forma di arte marziale.
Sarà quindi interessante osservare da questo punto di vista come potrebbe evolversi in futuro il vino cinese e se questo possa effettivamente emanciparsi da quello dei produttori storici di questa bevanda, Francia in primis, andando a costruirsi una propria identità sul piano internazionale.
Francesco Dotti Giberti