Ottobre sa regalare giornate di colore e calore che fanno viaggiare lontano con la mente. E se poi c’è l’occasione e la possibilità di capitare in quella zona magica della Valle dei Laghi in Trentino, il viaggio si fa ancor più avvincente e ammaliante. Ma partiamo con calma, un passo alla volta: e partiamo da Trento, allora, dal Castello del Buonconsiglio, uno dei simboli della città e del Medioevo trentino. Già perché il motivo di questo viaggio, in un solare sabato di metà ottobre fino alla Valle dell’Adige, è proprio il Medioevo (e l’VIII edizione del Festival del Turismo Medievale). Un’epoca ricca di fascino, a tratti luminosa, a tratti buia, in un contrasto che la caratterizza in tanti aspetti dove si vedono contrapposizioni diventate didascaliche.
Ma il vero viaggio inizia grazie a Philippe Daverio, che l’associazione Medieval Italy (in collaborazione con APT Trento, Monte Bondone e Valle dei Laghi) ha invitato per tenere una vera lectio magistralis, come lui ironicamente definisce ma che si merita davvero questo appellativo. Il prof. Daverio ci porta per mano, ci fa tuffare e correre, ci fa sostare dentro al Medioevo scorrendone i momenti più importanti e soprattutto mettendo in luce la trama di relazioni e connessioni che servono a capire la Storia e a trarne una sintesi che sia utile nel presente. Ma Daverio ha un passato enologico forse ignoto e forse sovrasfruttato (al contempo, paradossalmente), che lo rende la guida ideale in questa giornata. Perché se sto scrivendo su Lavinium il vino deve entrarci qualcosa.
Il Medioevo è un’epoca ricca sì di fascino ma anche di eredità concrete che, in particolare in Italia, possiamo vantare nel raccontare un territorio, nel fornire un racconto culturale identitario che altri Paesi d’Europa non possono fare allo stesso modo. Il Medioevo è l’età dei Comuni, della nascita della borghesia, delle Città e delle Università, oltre che della lingua italiana. C’è un Medioevo delle armi finito molto presto per lasciare spazio a quello degli affari: una prima fase dopo la caduta dell’Impero Romano e una seconda che, secondo alcuni, corre senza soluzione di continuità fino alla Rivoluzione Industriale. Un’epoca di cristianizzazione che vede, nell’approccio dicotomico di cui si accennava sopra, un continuo dibattito tra divino (filosofico) e terreno (bellicoso). Un’epoca relativamente pacifica in Italia, prolifica e culturalmente fertile a differenza di altri Stati più centro-europei continuamente scossi e agitati da guerre.
Trento è la città del “miracolo del Concilio”, a dirla con le parole di Daverio che si riferisce proprio al patto sociale contenuto nel Concilio e che porterà per oltre tre secoli discreta unità e compattezza sociale che ha permesso anche la conservazione di un passato di cui oggi possiamo godere. E il paesaggio agrario più conservato in Italia, in un Paese divorato dal consumo di suolo e dalla cementificazione, è proprio quello viticolo. E quindi la vigna è storia, il paesaggio è storia, oltre che bellezza. E sempre nel Medioevo il vino cambia drasticamente la propria identità, passando infatti da quello pesante e alcolico dell’antica Roma e Grecia, dove era necessaria l’acqua che, forse, ha permesso la nascita della filosofia trattenendo dall’ubriachezza i partecipanti ai simposi – passiamo, dicevo, a vini più leggeri, più nordici, bevibili anche senz’acqua e probabilmente più fini. E in questa storia il monachesimo ha un ruolo fondamentale, come ormai tutti sappiamo.
L’ora di lezione corre veloce e ci riaffacciamo al presente solo per passare a tuffarci nel passato del Castello e della sua visita, culminata con il Ciclo dei Mesi di Torre dell’Aquila. Il castello è stato per secoli residenza del Vescovo e Principe di Trento; visse nel corso dei secoli rimaneggiamenti e ampliamenti fino a raggiungere la struttura definitiva in età barocca e purtroppo fare poi una misera fine, ospitando eserciti e soldati nel corso delle guerre dell’ultimo secolo e dopo la fuga dell’ultimo Principe Vescovo all’avanzare delle truppe napoleoniche. Purtroppo alcuni affreschi e alcune opere d’arte in questa ultima fase della sua storia sono andati rovinati e perduti. Risalendo il corso dei secoli risaliamo anche il Castello e arriviamo nella Torre dell’Aquila, per rimanere qualche minuto persi nel Ciclo dei Mesi. Un viaggio lungo le stagioni, l’annata agraria e della vita dei nobili, una descrizione minuziosa e simbolica dello scorrere del tempo scandito dai mesi, a cui ciascun riquadro del Ciclo è dedicato: ecco cosa si trova in questa scura ma centrale Torre.
Ci soffermiamo su quello di ottobre: il racconto della vendemmia, della pigiatura, della torchiatura, dei travasi. Guardiamo con attenzione quelle scene e chiudendo gli occhi si può sentire il profumo dell’uva matura, della terra umida coperta dalle prime foglie cadute, dei primi mosti in fermentazione. Ci si trova catapultati in un’altra dimensione, in una cantina poco lontano, nella Valle dei Laghi dove due fratelli coltivano un vigneto che rappresenta un ritorno al futuro: viti resistenti franche di piede, piantate legate ciascuna a un palo di legno di castagno locale, senza quei filari che sono un’invenzione sostanzialmente post-fillosserica ma soprattutto necessari per i trattamenti fitosanitari che qui non servono. Ci troviamo da Marco e Stefano Pisoni, nella loro azienda a conduzione famigliare e biologica a Pergolese. Siamo qui per assaggiare il Mesum, il vino tratto da questo vigneto, ma prima di parlarne ulteriormente abbiamo bisogno di fare una pausa, una merenda (medievale, ovvio). Tra un uovo sodo e una patata lessa, una zuppa di legumi e l’immancabile speck, assaggiamo quindi i primi due vini dell’azienda. Il San Siro Bianco, un “vino da messa”, uvaggio di Chardonnay e Pinot bianco maturato in acciaio, brillante e profumato, vivace nella sua linearità e trasparente nel rivelare profumi di frutta matura e fiori estivi che accompagnano con discrezione la merenda. Passiamo al San Siro Rosso, una sorta di versione rossa del fratello bianco: schietto, lineare, semplice nel suo essere privo di fronzoli e inutili volteggi. Cabernet franc, Cabernet Sauvignon e Merlot in parti uguali, 12 mesi in barrique per un classico bordolese fine e maturo che quasi non sembra trentino.
Arriva, verso la fine, una delle due perle della giornata. Il Reboro è una particolare versione di Rebo, di cui è vino in purezza, lasciato appassire sulle “arele” sfruttando il dolce e deciso vento che soffia dal Garda: l’Ora. Non so quanto uniformante sia in questo caso l’appassimento ma di sicuro lo stile richiama molto, per simile tecnica enologica, le colline dei fratelli veronesi qualche chilometro più a sud, dove l’Adige lascia la sua stretta valle. La frutta qui non è più solo matura, comincia a sovramaturare, a diventare confettura dolce, che accompagna il cioccolato e i sentori profondi del rovere, di tanto in tanto rintoccati da note balsamiche che mantengono una certa tensione gustativa nell’abbandonarsi a tanta dolcezza, che in realtà in bocca si rivela setosa tannicità: una trama fine, setosa appunto, che avvolge un corpo denso e deciso, vigoroso ed elegante. L’aria dal Garda porta forse più di qualche influenza verso nord, si sente un accento quasi diverso dal solito trentino, ma il calore trasmesso in questa bottiglia rimane lo stesso. L’otium è finito: bisogna vendemmiare! Raccolte giusto alcune casse, sempre assieme al gruppo con il quale la mattina avevamo ascoltato Daverio – che pure vendemmia – e col quale avevamo visitato il castello, viene finalmente l’ora del torchio medievale: una precisa e bellissima ricostruzione del torchio raffigurato nel Ciclo dei Mesi, a cui è ispirato anche il vigneto. Eccolo, dopo 700 anni, di nuovo in funzione grazie ad Arrigo Pisoni che l’ha costruito fedelmente e che per l’occasione ha indossato un vestito di foggia medievale, anch’esso riprodotto prendendo spunto dall’affresco. Si pigia, si torchia, ed ecco il mosto profumato scorrere lungo il legno levigato e chiaro. Un insieme di profumi inebrianti, che come il Ciclo dei Mesi porta i profumi di tutte le stagioni, dei fiori della primavera, dei frutti dell’estate, del bosco d’autunno e del focolare invernale. Una visita alla cantina ottocentesca della famiglia è l’occasione per assaggiare un (pen)ultimo vino, molto particolare. È il Codecce, un vino bianco senza solfiti e lavorato in riduzione, che profuma di ananas e agrumi, un mix esotico che messo in bocca riporta bruscamente sulle terre profonde e ghiaiose del Trentino. 70% Sauvignon, 20% Nosiola e un tocco di Goldtraminer che sostano 7-8 mesi acciaio giusto per diventare un’unica entità.
Ritorniamo all’autunno 2017, quando le uve del vigneto Mesum sono state raccolte a mano e pigiate con i piedi. Il vino ha poi fermentato in un’anfora di terracotta rimanendo per mesi sulle sue bucce. Quando la terra è tornata a svegliarsi, vicino a Pasqua, anche il vino ha ripreso nuova vita passando nel torchio per separarsi dalle bucce e andare in contro alla successiva maturazione. Mettere il naso in questo bicchiere dorato è un viaggio in una bottega medievale, ricca di spezie, frutta disidratata, miele, mensole legnose e strane mescolanze di fiori, terra scaldata dal sole. Assaggiarne un sorso spiazza e risveglia come è successo col Rebo: una bocca tesa e sapida, ricca di tannino e lievemente ossidativa che aumentano intensità e lunghezza del vino prendendo lo spazio lasciato dalla sorpresa iniziale di non trovarsi un vino dolce. A volte serve solo una scusa per mettersi in viaggio, a volte ci vuole una spinta per iniziare un viaggio, superare una piccola salita per poi lasciarsi andare liberamente, senza pensieri. Che sia nella Valle dei Laghi dipinta d’oro e d’azzurro, in un bicchiere ambrato e inebriante, o nella Storia affascinante delle nostre terre. Il Mesum andrà in vendita a 13,97 euro (+IVA) a ricordare che è il 1397 l’anno in cui presumibilmente è stato eseguito il ciclo di affreschi di Torre dell’Aquila. Il Mesum sarà anche venduto in una speciale confezione contenente Cantine&Castelli, un cofanetto di turismo medievale che promuove l’enoturismo storico in Trentino. Un percorso enoturistico che fa scoprire non solo il territorio della Valle dei Laghi, ma anche la Vallagarina, le colline di Pressano e Sorni, la Piana Rotaliana.
Andrea Fasolo
Aspirante agronomo, laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e poi in Scienze agrarie, innamorato tanto della vite che del frumento, e tanto delle colture quanto della cultura che vi affonda le radici. Lo appassionano tutte le forme di agricoltura a basso impatto e ad alta fertilità, che mettono la terra al centro dell'agricoltura e del mondo che ruota attorno al più antico e nobile dei mestieri.
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Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Appassionata di birra artigianale, con un debole da anni per Franconia e West Coast USA coltiva quotidianamente la sua passione tra pub, amici p (...)
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Originaria dell'Oltrepò Pavese ma per metà spagnola. L'interesse per il mondo del cibo e del vino nasce in famiglia, grazie a papà salumiere e f (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha conseguito il diploma di Sommelier AIS nel 2001. È Degustatore per la regione Lombardia e giudice per le guide Vitae e Viniplus. Ha partecipa (...)
Laureata in giurisprudenza, giurista di formazione, è giornalista dal 1996, settore turismo enogastronomico, responsabile agroalimentare PMI - p (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Giornalista pubblicista, collabora dal 1979 con numerose testate. È direttore responsabile di InternetGourmet.it. Ha pubblicato vari libri dedic (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Aspirante agronomo, laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e poi in Scienze agrarie, innamorato tanto della vite che del frumento (...)
La passione per il mondo del vino inizia nel 1999, per curiosità intellettuale, seguendo vari percorsi di studio (Diploma di Assaggiatore ONAV, (...)
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Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Di formazione classica, è assistente amministrativo nel settore dei progetti europei e giornalista. La passione e gli studi lo hanno portato ad (...)
Conseguita la maturità artistica, il primo lavoro nel 1997 è stato nel mondo illuminotecnico, ma la vera passione è sempre stata l'enogastronomi (...)
Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, ortofrutta e grande distribuzione, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Assoc (...)
Di formazione psicologa dello sviluppo e istruttore federale di nuoto, si appassiona fin da giovane al vino, a livello puramente edonistico. Nel (...)
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