Il Biodistretto del Chianti: Castello di Meleto presenta “Progetto Cru”
Siamo nel cuore del Chianti Classico, dove Castello di Meleto ne è custode da quasi mille anni; quella di Meleto è una realtà proiettata al futuro, dalla storia antica ma caratterizzata da un forte spirito imprenditoriale. Il suo legame con il vino inizia nel XI secolo con i monaci benedettini ma risale al 1256 la prima citazione scritta del suo nome.
Nei suoi quasi mille anni di storia, la produzione del vino ha sempre accompagnato Castello di Meleto e oggi l’obiettivo è fare esprimere al meglio le peculiarità di questo luogo.
Da villa di vacanze diventa fattoria fortificata; fino alla fine del 1800 è stata abitata dalla famiglia Ricasoli, lasciata poi in stato di abbandono fino al 1968, quando con la “Operazione Vigneti” – una sorta di primo crowdfunding italiano nel mondo del vino – ha iniziato il suo percorso di rinascita. Una vera e propria rivoluzione di taglio industriale ed immobiliare, che ha inizio grazie all’intuizione di Gianni Mazzocchi, editore di riviste come Quattroruote e Quattrosoldi; nasce così la Viticola Toscana attuale proprietaria del Castello e degli oltre 1100 ettari di terreno.
Ad attraversare le sue terre è il torrente Massellone, un tempo chiamato Clante, dal cui nome pare derivi la parola Chianti. La proprietà si estende su 160 ettari di vigneto, di cui 142 in produzione, suddivisi in 5 aree diverse per composizione dei suoli, clima e altimetria.
Molto è cambiato nella sua storia recente, infatti dagli anni 2000 è iniziato un processo di riconversione rivolto a una produzione di maggiore qualità.
Con il compleanno dei 50 anni della Viticola Toscana nel 2018 – come affermato da Michele Contartese, direttore generale di Castello di Meleto – “siamo diventati Bioviticola toscana. L’idea è quella di un’agricoltura territoriale che sia in grado di offrire un vino unico legato solo a questi territori; l’unico modo per legarsi e avere un nesso con la produzione agricola è utilizzare solo quello che le vigne richiedono. Il compost che usiamo è solo quello che deriva dalle nostre potature e l’inerbimento ci consente di andare a rispondere alle esigenze del territorio, arginando il problema dell’erosione, garantendo una biodiversità all’interno del vigneto tale da dare forza alle nostre piante. Nel 2020 abbiamo anche lanciato l’iniziativa “Nel nome dell’Ape”, che permette a chi condivide la filosofia dell’azienda di “adottare” un’arnia, con l’obiettivo di promuovere la ripopolazione delle api nel territorio”.
Inoltre da gennaio 2020 Castello di Meleto è entrato a far parte del Biodistretto del Chianti, per la gestione sostenibile delle risorse locali a tutti i livelli, partendo dal modello biologico di produzione e consumo.
Ma entriamo nel vivo del “Progetto Cru“, che ha messo in luce cinque aree per cinque espressioni di territorio. Come racconta Valentino Ciarla, consulente enologico: ”Ci troviamo in un territorio molto interessante ricco di boschi che donano una biodiversità unica; grazie all’estensione della proprietà e alla lunga storia della viticoltura a Meleto, nei secoli sono stati selezionati i terreni più vocati, divisi in cinque zone diverse per clima, pendenze, esposizione, composizione dei suoli e altimetria. La zonazione dei vigneti ha consentito di suddividere le proprietà della tenuta di Gaiole in Chianti in cinque 5 macrozone e dal 2015 abbiamo iniziato un progetto di studio che con l’annata 2017 ha preso forma. Siamo partiti dalla zona di Meleto, per poi approfondire la zona di Casi collina più vicina a Radda, quella di Poggiarso, San Piero in Avenano e Moci. Il lavoro ha richiesto anzitutto lo studio delle macrozone, cui è seguita la selezione di 150 viti”.
Meleto è la zona più calda e più riparata dal vento, qui il terreno è principalmente di tipo argilloso e ricco di scheletro. Casi, vigneto simbolo della produzione di Castello di Meleto, è situato nella valle sotto al borgo medievale di Vertine, qui il Sangiovese trova condizioni ideali di terreno caldo e clima fresco, che permane anche nei periodi più siccitosi. Frutto della vinificazione di alcuni piccoli vigneti all’interno di questa macroarea sui 400 metri parte dei vigneti ad alberello e a spalliera, inoltre Vigna Casi ospita un vigneto ad alberello.
Poggiarso è la più arida e la più fredda tra le tenute, il terreno è argilloso con grandi quantità di scheletro composto da alberese e galestro; le pendenze sono importanti e l’altitudine sfiora i 530 m slm. Qui il Sangiovese trova condizioni climatiche estreme che determinano una scarsa produzione, ma una qualità dei vini e dei profumi espressiva e di livello alto, soprattutto grazie alle forti escursioni termiche tra giorno e notte. Qui nasce Chianti Classico Gran Selezione Vigna Poggiarso.
Moci è situata nell’area che guarda verso la città di Siena, con altitudine variabile dai 360 ai 490mt. I vigneti presentano un’ottima esposizione ed il suolo è composto da arenarie, argilla e galestro e nella zona alta è coltivato il Sangiovese. Infine San Piero in Avenano è la zona confinante con la Pieve di Spaltenna, edificio romanico di proprietà della Viticola Toscana. Il terreno è ricco di scheletro ed è concentrata la produzione del Vermentino, accanto al Sangiovese e a piccole percentuali di Malvasia Nera e Merlot. È l’area più aperta e ventilata, aspetto positivo in particolare durante l’estate poiché permette di preservare la freschezza e mantenere le uve in perfetto stato di sanità.
Qui si trova Camboi – nome della vigna, legato all’uso storico come campo dei buoi – un vigneto dedicato di un ettaro e mezzo scarso, esclusivamente alla Malvasia Nera del Chianti, dalla quale nasce l’omonimo vino, prodotto da viti di 30 – 40 anni. Anche questa etichetta rientra nel “Progetto Cru“, infatti nel 2018 è stata oggetto di una selezione impegnativa in vigna, tanto che sono stati ottenuti solo 25 ettolitri.
Un lavoro importante che rende evidente la voglia di guardare al futuro con coscienza e che, come sottolineato dal direttore Michele Contartese: “Il nostro legame è indissolubile con il territorio, noi cerchiamo di fare il vino che più rappresenta quella vigna e la biodiversità che la caratterizza. Non abbiamo 142 ettari, ma 142 volte un ettaro, ci sono differenze talmente eclatanti e importanti che non possono essere trattati nello stesso modo. Ovviamente il consumatore va educato nella scelta, noi cerchiamo di trasmettere l’espressione e l’identità e il carattere di ciascun vino”.
Un progetto importante che mette la centralità del territorio al primo posto, che punta sulla qualità dei vini e sull’immagine, con l’obiettivo di esprimere al meglio la vocazione del territorio e la sua unicità.
Fosca Tortorelli