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Giovanni Dri: il vino è come un figlio

Giovanni DriIl nostro primo viaggio fra gli stupendi territori del Friuli Venezia Giulia ci porta ai confini con l’Austria e la Slovenia, nel paese di Ramandolo presso Nimis, provincia di Udine, in un minuscolo agglomerato con un paio di centinaia di abitanti che hanno la fortuna di avere le radici in una terra dove convivono, nello spazio di qualche decina di chilometri, il fiume, i monti, la pianura, la collina.
Proprio qui, nel 1968 Giovanni Dri costituisce l’azienda Il Roncat, impiantando un vigneto di circa nove ettari per produrre un vino ambitissimo in loco, appunto il Ramandolo.
Siamo alla vigilia di Pasqua in una giornata di splendido sole e Giovanni mi accoglie all’interno della sua capanna, come chiama la cantina che ha lui stesso progettato con il duplice scopo di lavorarci comodamente e ospitare con calore le persone che vengono a farvi visita. All’interno della sala di ricevimento, Giovanni mi mostra subito sul pavimento, al centro della stanza, la rappresentazione di un sismografo, voluto proprio lì per ricordare il terremoto che il 6 maggio del 1976 si manifestò con una violenza inaudita in tutto il Friuli, causò mille morti, lesionò 40 mila abitazioni e interessò un’area pari a un terzo della regione.
Ramandolo non fu risparmiata, quasi tutte le case furono distrutte e il terreno dove adesso sorge la cantina fu adibito ad accogliere le baracche destinate a tutte quelle persone che erano restate senza un tetto sopra la testa.
Con orgoglio Giovanni ci ricorda come in quell’anno la produzione non fu fermata, pur fra mille difficoltà, mentre quasi tutti gli agricoltori vendevano le uve alle cantine sociali, lui decise che la vita doveva andare avanti, sistemò le cisterne d’acciaio all’aperto per paura di nuove scosse e grazie all’aiuto di molte persone che furono encomiabili per lo spirito e il coraggio dimostrato in un momento di così grande emergenza, riuscì a ottenere degli ottimi vini, un’annata quella del 1976 che per tutto quello che è successo resterà speciale, impossibile da dimenticare.
Ma la storia di Giovanni Dri inizia prima del terremoto. Il padre, morto prematuramente nel 1968, non voleva che il figlio facesse l’agricoltore e lo obbligò a studiare; grazie a un concorso vinto a Roma, Giovanni entra nel Ministero dell’Agricoltura e viene mandato a lavorare a Venezia.
Inizia a far la spola fra Ramandolo e Venezia, fra il lavoro in vigna e gli impegni statali, ma è a Venezia e provincia che inizia a far conoscere i suoi prodotti, il Ramandolo e il Refosco in primis, molto apprezzati in zona, e soprattutto conosce Renata, colei che diventerà sua futura moglie, nonché braccio destro in azienda, oggi rafforzato dalla presenza delle due figlie.
Fra i tanti meriti di Giovanni, uno è sicuramente quello di aver fatto conoscere il Verduzzo prodotto a Ramandolo, è stato il primo a chiamarlo con il nome che identifica il territorio. Siamo agli inizi degli anni ottanta e Veronelli, durante un incontro, gli consiglia di cercare di valorizzare il cru, di differenziarsi dalle produzioni di verduzzo friulano delle altre zone limitrofe e di imbottigliare un prodotto chiamandolo solo Ramandolo. Giovanni fa suo questo proposito e, dopo mille battaglie, nel 2001 il Ramandolo ottiene anche la Docg.
La realizzazione della “capanna”, invece, ha inizio nel 1990 e terminerà nel 1997 diventando l’orgoglio di Giovanni, una cantina dove modernità e comodità la fanno da padrone, un progetto realizzato con una linea architettonica d’avanguardia, localizzata a pian terreno dove le barrique, costruite con legni provenienti dalle migliori foreste di Francia, Stati Uniti d’America e di alcuni Paesi dell’Est europeo, si trovano vicine alle cisterne d’acciaio per facilitare le operazioni di cantina.
Vigneti de Il RoncatContinuiamo nel nostro percorso all’interno della cantina e ci imbattiamo in una mostra fotografica che racconta la storia della famiglia, partendo dal 1930 e mostrando i vari momenti della vita dell’azienda, gli incontri con importanti personaggi del settore, immagini che fra le altre cose ci presentano un Giovanni senza barba e con qualche primavera in meno.
Qui, commentando una foto in cui viene ripreso con la sorella della regina di Svezia, tocchiamo il discorso dei rapporti dell’azienda con il mercato estero, e scopriamo come negli anni novanta il picolit di Giovanni fosse molto apprezzato a corte, un mercato quello svedese che attira ancora oggi. Ma i vini de Il Roncat li troviamo in molti altri paesi esteri: Australia, Stati Uniti, Russia, fino ad arrivare alle vicine Germania e Austria.
L’azienda non si limita certo a produrre vino, infatti, oltre a grappe e distillati, fra cui uno ottimo alle mele, Giovanni dedica ampio spazio nientemeno che all’olio d’oliva.
Gli uliveti si estendono su poco più di 4 ettari di terreno, circa 1800 piante su una collina, non lontana da Ramandolo, olive raccolte manualmente e molate il giorno stesso, che dànno due ottimi oli, un extravergine di oliva monocultivar da “Bianchera”( Uèli Biancheria) e un olivaggio extra vergine da olive dai nomi affascinanti: moraiolo, leccino, leccio del corno, pendolino (Uèli Olivaggio), dove la dicitura Ueli non è altro che olio in lingua friulana, termine mantenuto per ricordare che, nonostante ci troviamo molto a Nord, furono i Romani che condussero questa pianta in Friuli e da sempre c’è stata una lotta contro il gelo per permettere alle piante di regalarci questi frutti preziosi.

DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO

Giovanni, cos’è il vino per te?
Mah, non avendo avuto un figlio maschio, potrei dire che per me è come un figlio.

Vignaiolo per vocazione o da bambino avresti sognato di fare qualcos’altro?
Diciamo che si tratta di un sogno che prende origine fin dalla giovane età, quando frequentando la scuola di agraria di Cividale, l’allora preside dell’istituto, uomo di grande cultura e competenza arrivò a trasmettermi il desiderio di riuscire un giorno ad avere un’azienda tutta mia.

Tu dici che proponi vini semplici, vini che definisci imperfetti, che vanno sempre alla ricerca della massima qualità. Che percentuale di importanza dai al lavoro in vigna e a quello in cantina?
Penso che un buon 80% nasca da come si lavora in vigna e dalla qualità della materia prima che si riesce ad ottenere, poi è ovvio che in cantina non bisogna commettere errori, il vino come un figlio va’seguito, va educato ma senza comunque esagerare con i trattamenti che devono limitarsi al minimo indispensabile per non avere alterazioni nel prodotto finale.

Qual è il tuo vino più richiesto?
Sicuramente il Ramandolo.

Qual è il vino che ti dà più soddisfazione?
Beh, avendo definito il vino come un figlio, non posso fare una classifica, perché i figli vanno amati tutti in ugual misura al di là delle gioie e dei dolori che ci possono riservare.

Com’è il tuo rapporto con chi beve i tuoi vini? Ti capita spesso di confrontarti?
La cultura del vino si sta notevolmente evolvendo, ci sono riviste, siti, manifestazioni che informano l’utente finale, cioè colui che poi compra e beve il vino, quindi mi trovo a relazionarmi molto spesso con clienti esperti e preparati che giustamente sanno cosa cercano e cosa vogliono dal prodotto che acquistano. Ad esempio i clienti Austriaci, nonostante non siano fra i primi posti come produttori di vino, sono molto preparati in materia.

Giovanni Dri all'ingresso dell'aziendaOggi si sente parlare sempre più spesso ma anche confusamente di vini biologici, vini biodinamici e vini naturali. Potresti dirci quali sono le tue idee in proposito?
Credo che siano idee e concetti giusti e da rispettare. Ci sono alcuni casi come, per fare un esempio, il 2008 ricco di piogge e quindi di umidità, in cui ci sono delle indubbie difficoltà ad ottenere in vigna un prodotto sano senza far uso di sostanze chimiche. Penso che sia auspicabile un utilizzo minimo di solforosa in bottiglia, personalmente in cantina cerco di ridurre al minimo anche lavorazioni di filtrazione e travasi che comportano comunque processi di stress ossidativo al vino; insomma come accade con un figlio se si comporta bene va solo seguito con amore, se a volte fa il discolo allora bisogna intervenire con piccole azioni correttive.

Viviamo in un mondo in cui il consumismo sfrenato ci ha portato a uno sfruttamento cannibalesco e privo di remore delle risorse della terra e una mancanza di rispetto nei confronti della natura. Hai notato, climaticamente parlando, delle differenze nel tuo territorio che si sono avvertite anche in vigna?
Sono più di quarant’anni che lavoro in vigna e penso che le variazioni climatiche siano cicliche, almeno per quanto riguarda il mio territorio; ho invece notato come a volte sia la natura ad adattarsi al clima, vedi l’esempio della coltivazione dell’ulivo che è riuscito ad adattarsi anche a zone più a nord e a climi non propriamente mediterranei
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La catena distributiva del vino è lunga, e il canale dominante è (e sarà sempre più) in mano alla Grande Distribuzione Organizzata, le cui regole commerciali tutto vogliono, tranne che spendere tempo e quattrini per andarsi a cercare fornitori piccoli. Hai trovato o trovi difficoltà a far conoscere le tue etichette e commercializzare i tuoi prodotti? Se sì quali?
Concordo con la prospettiva che la catena distributiva sarà sempre più in mano alla grande distribuzione e questo non è sempre positivo, ma nel mio caso specifico, mi permetto di fare un nome, sono più di venti anni che fornisco Esselunga e devo dire che mi sono trovato sempre bene, ritengo che abbiano in certi momenti avuto idee lungimiranti e devo anche ringraziarli perché mi hanno permesso di salvare l’Azienda dopo lo scandalo del metanolo che aveva messo in ginocchio l’intero settore del vino. Naturalmente si può e si deve migliorare al fine di realizzare la piena soddisfazioni di tutti, produttori, distributori e clienti finali.

Dunque, anche l’essere piccoli produttori implica il doversi affidare a un canale che moltiplica anche di tre, cinque volte il costo del prodotto al consumatore. Spesso il margine di guadagno per il piccolo produttore è basso e il costo per il consumatore alto. L’attuale crisi economica porta una drammatica riduzione delle chances di vendita, all’aumento delle quantità di oggetti che rimangono in magazzino. Pensi che fra i vari passaggi dal produttore al consumatore ci siano troppi ricarichi?
In linea generale posso dire che il consumatore non riesce sempre a bere un vino di qualità ad un prezzo decente, perché in effetti ci sono certi ristoratori che vogliono guadagnare troppo con il vino e applicano ricarichi esagerati. Questo fenomeno diventa abnorme se parliamo di paesi esteri, dove ci sono ricarichi ancor più sproporzionati, in parte dovuti anche alle tasse ma in grossa parte dovuti ai ricarichi applicati, con il risultato che si potrebbe bere meglio ma non ci si riesce a causa dei prezzi esorbitanti.

In un periodo in cui oltre alla crisi economica, anche le regole del codice stradale portano a un consumo giudizioso di vino, la commercializzazione della mezza bottiglia è proprio una scelta improponibile?
Sono d’accordo con l’utilizzo delle mezze bottiglie, già negli anni ’90 abbiamo proposto il “Roncat Rosso” in questo formato. Anche il grado alcolico è importante, difatti ritengo che i gradi minimi imposti dal disciplinare siano troppo restrittivi, andrebbe secondo la mia opinione lasciato più flessibile questo parametro. Ad esempio in Austria, visto che non volevano vini con grado alcolico troppo elevato, mi sono trovato costretto a produrre un sauvignon molto meno alcolico, anticipando la raccolta e ottenendo così vini più profumati e ricchi di acidità che alla fine sono risultati di più facile bevibilità.

Ti definisci un razionale, ma sognatore… Hai qualche progetto e qualche sogno per l’immediato futuro?
Preferisco definirmi un razionale sognatore. Cerco di restare sempre a contatto con la realtà che la vita quotidiana ci mette di fronte, ma voglio sperare e sognare che il futuro mi regalerà sempre nuove emozioni; ecco il mio sogno è quello di continuare a fare vini sempre migliori e più buoni.

Oltre al vino, quali sono le tue passioni?
Diciamo che dopo il vino, amo la natura nel suo complesso. Soffro nel vedere certi territori abbandonati, degradati dalla noncuranza, la natura va coccolata, trattata bene e dobbiamo tutti mettere un po’ del nostro per preservare il meraviglioso territorio che ci circonda. Amo la musica in generale, la lirica in particolare ma non disdegno la leggera, se penso a un film mi viene in mente “l’albero degli zoccoli” che manco a dirlo parla di campagna e famiglie contadine, se invece penso a un attore allora, vista la leggera somiglianza, non posso che dire Dustin Hoffman, ma non preoccupatevi, non ho intenzione di fare domanda di lavoro ad Hollywood, preferisco rimanere il regista della mia produzione vinicola.

Stefano Cergolj

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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