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Damian Princic, vignaiolo predestinato

Insegna azienda Colle DugaQuesto secondo viaggio fra gli splendidi territori del Friuli Venezia Giulia ci porta in una piccola area compresa tra il fiume Judrio e il confine con la Slovenia, il Collio Goriziano. La zona, che si trova a circa 50 km da Trieste e da Udine, gode dell’influsso benefico del mare (il non lontano golfo di Trieste), della positiva protezione di vicine barriere naturali e di una insolazione intensa, un susseguirsi di vallate ed alture a breve distanza le une dalle altre, con un’inclinazione ottimale del suolo con le viti che quindi trovano fedeli alleati nell’ottimo drenaggio e nel miglior impatto dei raggi di sole.
Ma uno dei fattori che maggiormente caratterizzano il Collio è la particolare caratteristica geologica del terreno: rocce marnose e arenarie che in superficie si sgretolano in frammenti scagliosi e via via in argilla finissima (la cosiddetta “ponka”, termine friulano che identifica la marna).
I vigneti dell'aziendaEd è in un angolo estremo del Collio cormonese che troviamo la località di Zegla che dà dimora all’Azienda di Damian Princic battezzata Colle Duga, denominazione che deriva dall’antico nome della collina ereditata dai padri, vocata per la viticoltura di pregio che si estende per circa 9 ettari.
Incontro Damian la mattina del 25 Aprile, giorno di festa lavorativa per chi vi scrive, ma non per chi deve essere attento ai fabbisogni della natura e quando la vite germoglia è tempo di lavori in vigna che non possono essere rimandati.
La storia dell’Azienda è quasi centenaria, negli anni venti il nonno Giuseppe conduceva quella che si poteva chiamare a tutti gli effetti una fattoria, con coltivazioni di vario genere, animali e soprattutto numerosi ciliegi che rifornivano il mercato della vicina Austria. Pian piano si iniziò a virare verso altre direzioni, privilegiando progressivamente la coltivazione della vite, fino a quando Damian prendendo il testimone dal padre Luciano puntò tutto sulla vite e su produzioni di qualità all’insegna del “poco ma buono”.
Con naturale gentilezza e disponibilità, Damian mi fa da cicerone mostrandomi la cantina dove vengono prodotti i suoi vini Colle Duga, denominazione voluta anche per differenziarsi e non creare confusione con i numerosi produttori Princic della zona, una gamma che comprende 5 tipologie di bianco e una di rosso.
Una vinificazione quella per i bianchi che lui stesso definisce “scolastica”, con pressatura soffice delle uve tramite una pressa a polmone, decantazione a freddo del mosto e fermentazione e successivo affinamento in vasche termocondizionate. Mi racconta che non disdegna l’uso moderato delle botti di rovere francese, barrique e tonneau protagoniste di un piccolo passaggio per una parte di Pinot Grigio e Chardonnay e un po’ più marcato nell’uvaggio Collio Bianco e nel Merlot.
Vini Colle DugaMa la parte più entusiasmante e coinvolgente per chi vi scrive è quando Damian vuole lasciar perdere i discorsi per farmi conoscere il prodotto finale frutto di tanta passione e sacrificio. Come due vecchi amici che si ritrovano dopo un po’ di tempo (era la prima volta che incontravo Damian), iniziamo a chiacchierare e degustare uno ad uno i suoi vini.
Il Friulano (portabandiera dell’azienda) con i tipici sentori di mandorla amara persistenti a lungo al palato, il Sauvignon con sentori di fiori di sambuco, foglie di pomodoro, salvia e rosmarino chiaramente percepibili, per passare poi allo Chardonnay che presenta un’eccellente struttura e persistenza, arrivando al Pinot Grigio con profumi tipici e intensi che ricordano la banana e i fiori di tiglio.
A concludere la sfilata dei bianchi, il Collio Bianco, sapiente assemblaggio di friulano, chardonnay, sauvignon e malvasia coltivata in un paio di ettari presi in affitto, un vino di corpo e notevole persistenza dove spiccano chiaramente le note di frutta matura. Naturalmente, per finire in bellezza, non abbiamo voluto fare un torto all’unico vino rosso della casa, il Merlot, un vino rotondo, morbido, fortemente strutturato che si affina per circa 12 mesi in piccole botti di rovere e poi affina in bottiglia per vari mesi prima di essere immesso nel mercato, ottimo testimone di come nel Collio non si producano solo ottimi vini bianchi.
Colle DugaChe dire, è stato un viaggio coinvolgente dove ogni sorso era una sinfonia per le papille gustative, difficile fare una classifica di merito perché ogni vino mi ha trasmesso emozioni diverse, anche se per il sottoscritto il Collio Bianco qualche millimetro ai concorrenti lo ha preso, ma resta solo un mio personalissimo giudizio che potrebbe anche essere ribaltato con l’evoluzione dei vini in bottiglia, già pronti da bere ma che con qualche mese in più potrebbero regalarci ancor più sorprese ed emozioni.
Si è fatto tardi, le lancette dell’orologio ci dicono che è ora di pensare al pranzo, parlando del più e del meno il tempo è passato velocemente, ma è sempre così quando l’ospitalità e la cordialità la fanno da padrone, diciamo che in questo caso le caratteristiche dei vini vanno a braccetto con quelle del produttore, hanno un bagaglio enorme di cose da raccontare ma mantengono sempre la semplicità tipica di chi vuole sorprenderti e non deluderti mai.

DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO

Damian PrincicVignaiolo per vocazione o da bambino avresti sognato di fare qualcos’altro?
Diciamo che essendo nato in una realtà contadina, una volta non veniva lasciato molto spazio all’improvvisazione, mio nonno quando ero piccolo vedeva per me solo un’unica strada, ovvio che poi deve prevalere la passione e nel mio caso non mi ci è voluto molto per innamorarmi di questo lavoro.

Qual è il vino Colle Duga più richiesto?
Sicuramente il Friulano, il caro vecchio Tocai per i nostalgici.

Qual è il vino che ti dà più soddisfazione?
Il Collio Bianco è un vino, che essendo un assemblaggio di varie tipologie, mi permettere di dare qualcosa in più di mio, di poter intervenire direttamente e quindi questa cosa mi dà sicuramente un’enorme soddisfazione.

Com’è il tuo rapporto con chi beve i tuoi vini? Ti capita spesso di dialogare con loro? Il rapporto con il consumatore deve esserci sempre ed è molto importante, diciamo che mi permette di conoscere i gusti e i giudizi dell’utente finale, alla fine il risultato migliore è sempre quello di riuscire a fare un vino che piaccia a sé stessi e in egual misura ai consumatori, sarebbe la situazione ideale.

Nonno Giuseppe e penso anche tuo padre Luciano sono vissuti in un epoca dove si puntava molto sulla quantità del prodotto. Tu agli inizi degli anni ’90 hai puntato sul “poco ma buono”, ma hai trovato difficoltà a cambiare le abitudini in vigna, non dovevi mica andare di nascosto a potare le viti per ottenere pochi grappoli che garantissero maggior qualità?
Diciamo che qualche litigio l’ho dovuto fare, ma ho voluto fare una trasformazione graduale, iniziando con una piccola percentuale intorno al 20% di vigna, i primi anni vendevo uve di qualità sottocosto prendendomi anche qualche battutina ironica da parte dei miei “vecchi”, poi pian piano ho iniziato a imbottigliare i miei vini e devo dire che quando ho visto che anche mio padre Luciano ha iniziato ad operare i diradamenti in vigna, mi sono detto… “è fatta!”, anche se lo devo sempre tenere sotto controllo perché la tentazione di lasciare qualche grappolo in più nella pianta resta sempre alta (risata generale).

Se ti dico biologico, biodinamico cosa mi dici?
Il rispetto per la natura deve esserci sempre, ma molte volte l’uso esclusivo di zolfo e rame in annate particolari non basta, ovvio che quando le condizioni climatiche lo permettono, è più facile ottenere uve sane e quando le uve sono sane in cantina c’è poco da lavorare, basta lasciare al tempo e al ciclo naturale fare il suo corso e si può star certi di ottenere un prodotto finale qualitativamente elevato.

Dietro ogni etichetta di vino c’è vita, passione, sacrificio spesso la storia secolare di una famiglia o azienda, purtroppo viviamo in una società dove conta molto l’apparire, a discapito dei contenuti che dovrebbero essere i più importanti. Quanto è rilevante saper comunicare, oltre che con la bontà del vino, anche attraverso operazioni di marketing che possono partire dalla veste grafica dell’etichetta fino alla ricerca di una visibilità sui media di settore?
Per quanto concerne l’etichetta, beh bisogna farla quindi tanto vale farne una bella e che sia di buon gusto e accattivante. Per quanto riguarda la visibilità, beh è importante, ma và comunque sempre di pari passo al proprio bacino produttivo, la mia azienda produce circa 50mila bottiglie annue e quindi penso che il tutto debba essere proporzionato ai numeri che un produttore è in grado di offrire al mercato.

Fra i vari riconoscimenti che hai ricevuto, il tuo Tocai 2004 è stato premiato come miglior vino nel rapporto qualità prezzo. Fare un vino eccellente che costi 50 euro è più facile (ma non scontato) che non farne uno che costi molto di meno ma che mantenga livelli qualitativi eccelsi. Pensi però che fra i vari passaggi dal produttore al consumatore ci siano troppi ricarichi?
Diciamo che non si può generalizzare, ma molte volte ci sono dei ricarichi esagerati, secondo me la bottiglia non dovrebbe costare più del doppio del suo costo in cantina, ma poi ogni situazione è un caso a sé e andrebbe quindi presa in esame singolarmente.

Speri che i tuoi figli Karin e Patrik seguano la via intrapresa dal padre o li lascerai liberi di percorrere la loro strada magari verso altre passioni?

Mio nonno quando ero piccino mi disse: tu farai il contadino e quindi diciamo la strada era segnata, anche se poi venne la passione. Io sarei felicissimo che i miei figli potessero garantire una continuità all’azienda, ma li lascerò liberi di scegliere la strada che riterranno più opportuna.

Hai qualche progetto per l’immediato futuro per quanto riguarda la tua Azienda?
Sicuramente il numero dei vini prodotti non cambierà, ho iniziato da un po’ a coltivare la malvasia che utilizzo nell’uvaggio, ecco, potrei in futuro sacrificare un bianco per dar spazio alla malvasia in purezza.

Vai a passare un week end in un’isola deserta, dove oltre ai beni di prima necessità puoi portarti solo due bottiglie di vino, una italiana e una del Friuli Venezia Giulia, la tua scelta dove ricade?
Soluzione non facile visto l’imbarazzo della scelta che avrei, ma visto che devo fare due nomi, un Ben Ryè di Donnafugata e un Calvari di Miani possono andare bene.

Stefano Cergolj

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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