Laura Donadoni
Non so se vi sia mai capitato di fare una cena un po’ pesante e quando giunge l’ora di buttarvi nel letto, nella speranza di un riposo ristoratore, in cuor vostro sapete già che sarà una notte travagliata. Ed è proprio in queste notti che mi capita di sognare le cose più strane e bizzarre e di diventare protagonista, mio malgrado, di qualche incubo, o simil tale, che ha il potere di generarti una fastidiosa agitazione che ha fine solo quando arriva il risveglio e tutto trafelato tiri un sospiro di sollievo e ringrazi perché è stato solamente un brutto sogno. In questo momento però capisci in cuor tuo che di sera gli gnocchi con il gulash e il frico di patate non sono gli alimenti ideali da consumare prima di andare a dormire. Ma in una notte dei primi giorni di marzo, sebbene a tavola quella sera non avessi esagerato, la cosa si è ripetuta. Non mi crederete, mi vergogno quasi a raccontarvelo, ma ho sognato che da un giorno all’altro, a causa di un malefico virus che aveva trovato gradita dimora praticamente in tutti i paesi del pianeta, siamo stati obbligati a rinunciare a gran parte della nostra vita e delle nostre relazioni, costretti a una quarantena forzata nelle nostre abitazioni. Tutto questo per evitare che questo invisibile ma subdolo “personaggino”, che ama riprodursi velocemente, venisse a contatto con noi creandoci dei grossi problemi di salute come aveva già fatto purtroppo con un gran numero di persone. La cosa strana è che da questo incubo non riesco ancora a svegliarmi e mai come questa volta, la sveglia, che suonerà per annunciare l’inizio di una nuova giornata, sarà accolta con gioia e grandi festeggiamenti. In attesa che ciò avvenga, la mia vita è molto cambiata, e fra un po’ di ginnastica e qualche lavoretto casalingo, una delle cose che hanno dato quotidiana energia, soprattutto alla mia mente, è stato il sacro momento serale con l’apertura di una bottiglia e l’assaggio di un buon bicchiere di vino che riescono sempre a portare un po’ di allegria e un pizzico di sana ebrezza a giornate altrimenti poco solari. Questo momento surreale, con tanto tempo libero, è servito però per dedicarmi a qualche istruttiva lettura, e a proposito di cambiamento di vita e di vino, coglierò l’occasione per raccontarvi la storia di un personaggio che proprio da questi due elementi ha trovato lo spunto per scrivere un racconto che parla di rinascita legata al nettare dionisiaco: sto parlando di Laura Donadoni e del libro “Come il vino ti cambia la vita”.
La copertina del volume Come il vino ti cambia la vita
Originaria di Bergamo, dopo una laurea in Scienze della Comunicazione, inizia la propria carriera professionale come giornalista occupandosi di politica e cronaca giudiziaria, lavorando in radio e in televisione negli ambienti milanesi fino a quando una vicenda che riguarda l’attività lavorativa del marito non la costringe a dover fare la scelta dolorosa di lasciare l’Italia per trasferirsi in California negli United States. L’inizio della nuova avventura non è per niente facile perché si vede costretta a ricominciare tutto da zero e cercare di reinventarsi ex novo la vita professionale. In suo soccorso arriva l’antico amore, mai affievolito, per l’enogastronomia, il vino in particolare. Ecco che quindi inizia a studiare, cercando di aumentare la propria cultura in materia enoica, conseguendo i vari diplomi da Sommelier, WSET, studiando le tecniche di comunicazione del vino, prendendo varie certificazioni. Questi investimenti sulla propria formazione la portano a iniziare attivamente la sua avventura creando una community intorno al vino italiano con il suo blog in lingua inglese “The Italian Wine Girl” dove scrive recensioni sulle zone vitivinicole, sui produttori, e ci tiene informati sulle tendenze e sull’andamento del mercato del vino statunitense.
Seguitissimi sono diventati con il tempo i suoi canali social di Instagram e Youtube, ma progetto molto importante è stata l’apertura dell’agenzia di comunicazione La Com tramite la quale offre servizi a produttori e Consorzi italiani, ma anche stranieri, per promuovere i loro prodotti negli USA. Ora sono sette anni che vive in California e da cinque è residente a San Diego. In breve tempo è riuscita a costruirsi una nuova e realizzata vita professionale, diventando una sorta di ambasciatrice del vino italiano nel paese a stelle e strisce. Da quanto è successo in questi sette anni, Laura ha preso lo spunto per mettere in cantiere la stesura di un libro dove ha voluto raccontare la sua storia di rinascita legata al mondo del vino insieme a quella di sei imprenditori, alcuni dei quali provenienti da altri settori, che hanno deciso d’investire tempo e risorse nel loro territorio puntando sulle tipicità della loro terra di origine. Come il vino in senso positivo ha prodotto un grande cambiamento nella vita di Laura, adesso un altro elemento, che però non ha niente di magico e romantico, ha cambiato momentaneamente le vite di tutti noi, e messo in stand by la presentazione del libro e la sua uscita nelle librerie. Ma niente drammi, si tratta solo di aspettare che la situazione possa ritornare quanto prima alla normalità e poi avremo il piacere di celebrare l’uscita del libro e scoprire come il vino può a tutti gli effetti davvero cambiarti la vita.
Dialogando con Laura Donadoni S.C. – Era una soleggiata giornata di febbraio quando da San Diego, in California, con un video annunciavi l’imminente presentazione del tuo primo libro “Come il vino ti cambia la vita” che sarebbe dovuta avvenire in Italia il 19 marzo. Entusiasmo alle stelle e giustificata bramosia di far conoscere un lavoro che racconta il tuo personale e profondo cambiamento e che ha avuto come catalizzatore il vino. Accanto alla tua storia, che nel libro fa da apripista, una serie di racconti che hanno come protagonisti sei imprenditori e imprenditrici che hanno deciso di investire tempo e risorse nei propri territori puntando su vitigni storici e dimenticati. Se lo hai fatto apposta è stata una scelta commerciale lungimirante, perché in questo periodo il tuo libro sembra disegnato ad arte ed è di estrema attualità se si parla del cambiamento della vita, che però in questo caso non ha a che fare con il mondo del vino e interessa qualche miliardo di persone in più, sparse per il globo terrestre. A parte il tentativo di sdrammatizzare un’analogia che ovviamente non ha niente a che vedere con il tuo libro, quello che è indiscutibile è che in un paio di mesi il mondo e le nostre abitudini sono state stravolte. Ovviamente hai dovuto annullare la presentazione del libro, l’uscita nelle librerie e le conseguenti giornate di promozione in calendario, anche se comunque su amazon, in formato kindle, c’è già la possibilità di averne un’anteprima. Come è nata l’idea e il progetto di questo libro, che emozioni personali ti hanno trasmesso i sei personaggi di cui racconti la storia, ed erano quelli su cui hai puntato da subito o avevi anche altre opzioni meritevoli di essere narrate ma che per il momento hai dovuto mettere nel cassetto? L.D. – L’idea di questo progetto è nata dalle chiacchiere “terapeutiche” con la mia amica Raffaella. Io vivo a San Diego, lei a Milano e ci raccontiamo le nostre vite quasi quotidianamente attraverso messaggi audio su Whatsapp (sentirsi in diretta, date le 9 ore di fuso e gli impegni è complicato). Riflettevo su come il vino mi ha accompagnata in tanti momenti difficili della mia vita, dall’infanzia alla carriera giornalistica, al trasferimento negli Usa dove è diventato il catalizzatore di un grande cambiamento. E lei mi disse: “Beh, il vino non è una cosa da poco, è stato perfino il primo miracolo di Gesù durante le nozze di Cana”. E ho pensato a come il vino è stato un miracolo nella mia vita e nella vita di altri uomini e donne straordinari che ho incontrato in questi anni di reportage tra vigneti e cantine. Così ho deciso di raccontare il vino a modo mio, ovvero attraverso il lato umano e le storie personali di chi lo crea, storie che possono e devono essere di ispirazione per altri. Scegliere i protagonisti non è stato difficile, perché il mio criterio non è stato quello del vino “famoso”, celebrato, o della casa blasonata, ma il mio istinto umano: ho scelto persone che attraverso il loro lavoro e la loro vita hanno un messaggio importante e autentico da comunicare al mondo. E lo fanno attraverso il vino. Oltre alle sei storie narrate, ce ne sono altre che sto preparando per la prossima edizione… perché in Italia abbiamo la fortuna di avere molti produttori, viticoltori e imprenditori di cui vale la pena raccontare la storia.
Veduta di Bergamo, sua città natale
S.C. – Forse è prematuro, ma hai già un programma di massima (coronavirus permettendo) per quelli che saranno i nuovi tempi di presentazione del libro e il suo arrivo nelle librerie? L.D. – Abbiamo rimandato due volte l’uscita nelle librerie, questo lancio è diventato un’odissea per me, come per tutti gli autori che si sono trovati in questa situazione. Ogni tanto, per sdrammatizzare, dico che dovrei modificare il titolo in “Come il virus (anziché il vino) mi ha cambiato la vita”. Ora, se le librerie riapriranno come previsto entro fine maggio, stiamo pensando a metà giugno per l’uscita della versione cartacea con una presentazione virtuale e poi in autunno il vero e proprio tour con degustazioni di vino incluse, sempre coronavirus permettendo. Avevamo preparato degli eventi davvero speciali, coinvolgendo molte realtà culturali ed enogastronomiche di diversi territori, in occasione di Vinitaly e non solo, ma è stato tutto rimandato. La versione digitale è in vendita su Amazon, ed è anche in arrivo l’audiolibro, probabilmente entro la prima metà di maggio. Ci sto lavorando.
S.C. – I protagonisti del tuo libro sono: Gianluca Bisol, colonna di una famiglia istituzione nel mondo del Prosecco. Albino Armani che partendo dalla sua Vallagarina è oggi protagonista in aziende del Trentino, del Veneto e del Friuli. Leonardo Beconcini e il suo Tempranillo in terra di Chianti. Claudio Quarta che da ricercatore genetico in territorio statunitense ritorna e investe nel suo Salento. Elisa Dilavanzo, la miss del Moscato Giallo Fior d’Arancio. Elena Fucci, l’Aglianico e la sua Basilicata. Immagino che i personaggi che hai scelto siano persone che già conoscevi e che stimavi per il loro operato e le loro storie tutte da raccontare. Ma nel momento che sei entrata a stretto contatto con l’anima di ciascun personaggio, rapita dai loro racconti, oltre alle normali conferme che hai ricevuto, c’è stato qualcuno o qualcuna che ti ha sorpreso in maniera esagerata perché hai scoperto dei valori aggiunti che hanno arricchito ancora di più la sostanza del racconto? L.D. – Devo dire che la decisione di raccontare le loro storie è nata dopo il momento in cui sono entrata a stretto contatto con loro, non prima. È stata proprio la sorpresa di scoprire che dietro a queste aziende e vini eccezionali c’era un tesoro ancora più prezioso, c’erano tutti i valori e le aspirazioni nobili che sostengono i loro percorsi di vita, c’erano storie di difficoltà, di battaglie, di tenacia e di grande senso della comunità. E così il focus della mia ricerca è passato dal vino, dal vitigno, alle persone, ai loro caratteri e percorsi. Per scoprire che dentro ai loro vini c’è tutto questo, in forma liquida. È la magia del vino.
Laura Donadoni con il Moscato Fior d’Arancio di Cantina Maeli
S.C. – Il libro parla di sei personaggi che raccontano la loro storia, ma ce n’è un settimo che forse più di tutti ha messo a nudo la propria situazione personale toccando argomenti intimi che ancora oggi, da come li descrive, rappresentano delle ferite, probabilmente non completamente emarginate: sto parlando di Laura Donadoni. Nel capitolo iniziale dedichi ampio spazio a un argomento che ha toccato la professione politica e la vita di tuo marito e che è stato il motivo del profondo cambiamento che hai dovuto intraprendere, iniziato con il trasferimento negli Stati Uniti. Di quanto successo a tuo marito ne parli tu nel libro e io non voglio entrare in un argomento delicato che ignoravo e che quindi non voglio trattare con superficialità, dando giudizi basati su qualche informazione di archivio giornalistico. Resta il fatto che la cosa ti ha profondamente segnato, ma alla fine questa scelta obbligata è stata quasi un colpo di fortuna perché hai percorso una strada che poi ti ha riservato mille sorprese positive. Quanto è stato importante per te questo libro, non dal punto di vista professionale ma come occasione per entrare ancor più nel tuo intimo, come in una sorta di auto psicoanalisi e magari scoprire qualche aspetto di te che tenevi ancora nascosto nel subconscio e che sei riuscita a portare alla luce con questo tuo lavoro? L.D. – Domanda difficile che meriterebbe una risposta altrettanto articolata. Posso dirti che inizialmente avevo considerato di non raccontare la mia storia nel libro, lasciando il palcoscenico tutto ai protagonisti. Ma poi mi sono detta che il mio lettore meritava la verità e non avrebbe potuto comprendere come mai ho scelto di raccontare il vino attraverso le trasformazioni personali dei protagonisti, in modo quasi psicologico, senza poter conoscere la mia storia. Perfino i produttori, dopo aver letto l’introduzione, mi hanno manifestato una vicinanza ancora più profonda di quella alla base delle amicizie che questo progetto ha fatto nascere con ognuno di loro. C’è ancora molto da tirare fuori da quell’orribile vicenda personale che mi ha portata però al meraviglioso percorso nel mondo del vino, ma siccome è intrecciata con la storia di mio marito Marcello, vorrei che fosse lui a parlarne pubblicamente e ti confido che ci sta lavorando…
San Diego
S.C. – Oramai sono sette anni che vivi negli United States, la tua grande passione per il mondo del vino ti ha permesso di trovare tanto entusiasmo ed energie per iniziare una nuova vita e intraprendere una carriera di vera ambasciatrice del vino italiano, soprattutto con la tua agenzia di comunicazione La Com, i tuoi canali social, il tuo blog e il progetto del tuo primo libro. Prima di questo tornado sanitario il mondo commerciale del vino italiano viveva un momento positivo in termini di volumi di vendita, con il Prosecco a farla da padrone, beneficiato di una bevibilità molto vicina al gusto americano e una collocazione di mercato bassa se si parla di prezzi. Altre tipologie come Chianti, Amarone, Barolo e Barbaresco, solo per citarne alcune, si facevano comunque anch’esse rispettare. Ma il tuo lavoro di comunicatrice e ambasciatrice era, ed è tuttora, comunque molto impegnativo perché negli USA c’è da combattere con i vini di tutto il mondo e sebbene le potenzialità, in termini di valore, sono enormi per i nostri prodotti, per svariati motivi, che aprirebbero ampi capitoli di discussione, corriamo sempre con il freno a mano un po’ tirato, non raccogliendo per quanto meriteremmo. Domandarti un’analisi sullo stato di salute e le prospettive di crescita del vino italiano sarebbe già di difficile risposta in una situazione normale, fartela in questo momento mi fa sentire un po’ diabolico. È indubbio però che molte cose cambieranno, molti equilibri non saranno più gli stessi e dovremo destreggiarci tutti fra situazioni al limite e ricostruire, in alcuni casi, ex novo partendo da qualche cumulo di macerie che il virus avrà metaforicamente creato. Da amante passionale dell’Italia e della sua enogastronomia e da attenta conoscitrice del sistema economico e sociale americano, che futuro vedi all’orizzonte per il vino italiano una volta passata l’emergenza e quali sono, secondo te, le carenze più limitanti del nostro apparato vinicolo che se risolte potrebbero aprire nuove e grandi prospettive nei mercati americani? L.D. – Il momento, come hai anticipato, non è dei migliori, ma ci sono delle notizie positive e dobbiamo concentrarci su queste per ripartire. Innanzitutto dobbiamo capire quali sono le caratteristiche del vino italiano che lo rendono unico, differente, rispetto alla grande competizione sul mercato statunitense. E la risposta secondo me è la diversità e la tipicità. Il mondo è cambiato, gli americani in lockdown stanno divorando corsi e corsi online sul vino, sugli abbinamenti, sulle degustazioni virtuali. La noia della quarantena ci lascerà in eredità un bacino di utenti più informati e ancora più aperti alle novità, e noi siamo il Paese al mondo che può soddisfare maggiormente le voglie di curiosità con una miriade di vini differenti. Inoltre, come hai ben spiegato, l’Italia in questo momento ha dalla sua il rapporto qualità prezzo che per esempio la Francia non ha. Secondo i dati delle vendite di vino online di marzo 2020, l’unico comparto che non ha avuto un’impennata è stato quello dello champagne francese: costa troppo, in questo momento in pochi se lo possono permettere, mentre il vino italiano ha retto, anzi incrementato le vendite. Questo non ci deve incoraggiare a svendere il nostro valore, anzi, ma è un asset che abbiamo ora per stare a galla durante la crisi. La terza buona notizia è che il mercato ripartirà alla grande. Gli Stati Uniti stanno iniettando liquidità come non mai per sostenere l’economia e nei prossimi 12 mesi ci sarà sicuramente quello che chiamano “rebounce”, il rilancio dopo la recessione. Ora veniamo alle note dolenti: le modalità di vendita e di promozione del vino sono profondamente cambiate e purtroppo le aziende italiane non sono sempre al passo con i tempi. Se pensiamo che oggi tutto corre online e che più della metà delle cantine italiane non ha nemmeno un sito web aggiornato è evidente che c’è un problema di andatura che va risolto al più presto. Credo che questa crisi segnerà una linea netta tra chi sopravviverà e fiorirà con nuovi linguaggi e chi, ancorato al passato, purtroppo non ce la farà.
Charles Krug Winery, Napa Valley
S.C. – Lasciamo il libro alla curiosità dei lettori per entrare invece negli interessanti racconti su podcast pubblicati sul tuo portale internet “The Italian Wine Girl”: mi ha fatto morire, o sarebbe meglio dire rabbrividire, ascoltare l’intervista al professore dell’Università di Miami, Barry Gump, docente di fama, molto quotato in patria, che insegna abbinamento cibo-vino ai futuri operatori del settore statunitense. In USA si consuma vino con regolarità da qualche decennio e quindi manca ancora una vera cultura degustativa. È risaputo che il palato degli americani è attratto dai vini fruttati, morbidi, con poca acidità e pochi tannini e che hanno una predilezione sfrenata per tutto quello che è dolce. Detto questo, ascoltare un luminare del settore, raccontare di molti suoi allievi contrariati da certi Bordeaux o Bordolesi perché ritenuti troppo acidi e secchi, e che lui come soluzione da prendere in quei casi consiglia di tenere a portata di mano un po’ di zucchero o dolcificante, da aggiungere quando necessario nel bicchiere di vino, mi ha lasciato esterrefatto. Penso a tanti miei amici produttori, che fanno del rispetto per il vitigno, l’annata, il terroir, i loro capisaldi e che censurano ogni intervento in cantina che non sia in linea con le regole della natura, e immagino che se io facessi una cosa del genere davanti a loro, con un loro vino, rischierei l’incolumità fisica reo di aver denigrato il duro lavoro da loro fatto in vigna. Fatta questa premessa e fermo restando che seppur in evoluzione, il gusto americano resta al momento questo, pensi che, tolti i vari Prosecco, Moscato, Amarone che rispondono già a certi canoni, ci può essere in futuro spazio anche per tutti quei vitigni autoctoni che hanno nel loro DNA come caratteristiche virtuose, acidità, sapidità, mineralità e se si parla di rossi, tannini di elegante spessore? Questa domanda presuppone l’auspicio che il gusto del consumatore americano medio possa nel futuro evolversi per poter apprezzare anche vini di maggior carattere e complessità. L.D. – Mentre registravo quell’intervista con il professor Gump, alla sua risposta, pensavo stesse scherzando, e al di là della videocamera ho accennato una risatina, ma lui non ha sorriso e mi ha ribadito il concetto. Era serio. Mi sono venuti i brividi, proprio pensando a tutti gli sforzi che ci sono dietro a un bicchiere di vino, alle persone, al lavoro, alle notti insonni. È incredibile come per noi il vino rappresenti molto di più di una bevanda, mentre negli States in molti casi è considerato alla stregua di qualsiasi altro drink, quindi non ci vedono nulla di strano ad aggiungere elementi, come lo zucchero o il ghiaccio. Ma per fortuna il palato degli americani si sta evolvendo. Molto lentamente, ma si sa che i cambiamenti culturali richiedono tempo e soprattutto un grande lavoro di educazione che è quello in cui mi sono impegnata in questi anni con il supporto di Consorzi e cantine italiani presenti su questo mercato. Le nuove generazioni di consumatori sono molto curiose, si annoiano facilmente e amano viaggiare. La combinazione di questi tre elementi porta i giovani a cercare prodotti non ovvi o mainstream, a sperimentare, assaggiando anche vini da vitigni meno scontati, perché affascinati dalle storie e dai territori. Si tratta di connettere la domanda con l’offerta. In questo frangente dobbiamo inserisci come un cuneo per aprire un varco e creare spazio commerciale per la nostra diversità e i nostri prodotti italiani.
Tenuta Beconcini a San Miniato
S.C. – La speranza di ritornare a una vita normale è uno dei desideri comuni che più abbiamo sentito pronunciare in queste settimane di emergenza coronavirus. Il dover restare confinati nelle nostre abitazioni, subendo pesanti limitazioni alle nostre libertà personali ha rappresentato una sorta di tortura per chi da sempre è abituato a non avere vincoli di movimento e azione, fermo restando che c’è una parte della società che non si è mai fermata e che ha sacrificato anche la propria vita per l’interesse della comunità. Ma se ci fermiamo a riflettere su come conducevamo le nostre esistenze, siamo sicuri che la strada intrapresa fosse quella giusta? Volendo analizzare solo la parte che ci interessa e che è argomento primario del tuo lavoro e del libro, quindi il vino, ma mettiamoci pure tutto il comparto dell’agroalimentare, siamo sicuri che fare un passo indietro non rappresenti la strada più sensata da intraprendere? Perdita della biodiversità, allevamenti intensivi, cambiamenti climatici, uso scellerato della chimica, sono solo alcuni degli argomenti che aprirebbero ampi e urgenti dibattiti su quante cose ci sarebbero da cambiare e modificare nell’attuale operato del mondo globale. Pensi che da questo difficile e tragico momento si potranno trarre spunti di riflessone e sana autocritica e sei dell’opinione che ci siano veramente tante cose da cambiare per garantire un sano futuro a questo pianeta e quindi salvaguardare tutti quei settori fondamentali per la stessa sussistenza ed esistenza del genere umano? L.D. – Altra domanda che meriterebbe un dibattito di ore. Cercherò di riassumere la mia opinione in poche righe. Penso che questa crisi e questa pandemia stiano contribuendo a far capire alle persone che ci eravamo circondati di troppo rumore, di troppi oggetti, di troppe cose inutili. Siamo tornati a cucinare con ciò che c’è in frigorifero, siamo tornati a impastare il pane per averlo fresco ogni giorno, siamo tornati a rifornirci dai negozi di vicinato, incluse le cantine locali che possono consegnare a casa velocemente il vino, anche sfuso. Questo ritorno alla dimensione locale è preziosissimo per tutte le questioni che hai citato, ovvero la lotta agli allevamenti intensivi, alla massificazione delle colture e l’inquinamento che ne consegue. Abbiamo anche imparato a spostarci a piedi per andare a fare la spesa sotto casa, limitando l’uso dei mezzi. Ma, nella contraddizione del nuovo paradigma sociale, in contemporanea, abbiamo imparato che la tecnologia è fondamentale per mantenere il collegamento con il mondo, quindi abbiamo imparato a utilizzarla in modo intelligente (si spera), per lavorare, per acquisire nuove competenze, per promuovere i nostri business. Ecco, credo che queste due cose: rimanere con le radici nel “locale”, ma pensare con una mentalità globale, siano due grandi e preziosi insegnamenti di questa pandemia. E pensare che Ampelio Bucci, che ho citato all’inizio del mio libro, lo sta dicendo da anni… i nostri saggi l’hanno imparato senza pandemia, noi ci arriveremo pian piano. La chiamano la ruota della vita. Gira.
vigneto di aglianico a Barile
S.C. – La cosa resta fra noi ma a me non me la conti. 🙂 Gli Stati Uniti ti hanno accolto, offerto la possibilità del sogno americano, sono diventati la tua seconda terra e tu gli sarai sempre tremendamente grata per tutto quello che hanno rappresentato per te, una sorta di salvagente in un momento di estrema difficoltà che poi si è trasformato in una grande opportunità di realizzazione sociale e professionale. Ma quando parli dell’Italia, della sua storia, della sua cultura e del suo calore, gli occhi ti si illuminano di un amore sfrenato, ed è evidente che fra la tua terra natia e quella che ti ha accolto in un secondo momento non c’è partita e il primo tempo siamo già sul 3-0 per l’azzurro stivale. Dopo quanto detto, pensi quindi che gli United States possano diventare la tua dimora perenne o nel tuo intimo culli il sogno di una nuova primavera in una terra dalle mille contraddizioni ma con radici e tradizioni profonde che in ogni angolo, anche quello più nascosto, profumano di storia e poesia? L.D. – L’amore per la mia Italia è così grande che non riesco a contenerlo e a celarlo dietro alla gratitudine per gli Stati Uniti, come hai ben descritto. Hai proprio colto nel segno, pungolandomi là dove sono più vulnerabile. La mia terra mi manca da impazzire, non c’è giorno che non pensi ai posti meravigliosi, ai sapori, alle persone che popolano il Paese più bello del mondo. Ho emozioni contrastanti: da un lato volerei subito in Italia, attratta da questo amore per la mia patria e dalla mancanza di tutto ciò che ho lasciato a casa, soprattutto gli affetti, dall’altro provo tanto dolore nel vedere come abbiamo il potenziale per brillare a livello internazionale e invece siamo campioni mondiali di occasioni sprecate. Abbiamo una classe dirigente che non è in grado di mettere il Paese nelle condizioni di rifiorire, gli imprenditori non vengono sostenuti, dilaga il pessimismo. Constatare questo, a distanza, è frustrante e doloroso. Quindi, per rispondere alla tua domanda, vorrei rientrare con tutto il cuore, ma per il momento gli Stati Uniti mi offrono la possibilità di portare avanti i miei progetti imprenditoriali, l’Italia? Sto cercando di capirlo, magari con questa crisi e la nuova ripartenza le cose cambieranno, ma per il momento purtroppo non è così.
Laura Donadoni e Alessandra Quarta presso le Tenute Eméra a Lizzano
Proviamo a giocare un po’ e voliamo con l’immaginazione in una situazione virtuale dove per far venire meno la diplomazia che talvolta tutti tendiamo ad avere ci immergiamo in una degustazione di vini autoctoni della mia regione: una Vitovska del Carso, una Ribolla Gialla del Collio, un Friulano dei Colli Orientali a cui aggiungo anche uno Schioppettino per avere un rappresentante dei rossi. Sulle ali del famoso proverbio latino “In vino veritas” allentiamo il freno a mano e siamo quindi pronti per una veloce serie di domande a risposta secca.
C’è una lista molto lunga, purtroppo. Vengo invitata spesso come giudice nelle competizioni statunitensi e il mio palato viene messo a dura prova. Il peggiore forse è stato un White Zinfandel, ovvero uno Zinfandel vinificato in bianco (senza lunga macerazione), con un residuo zuccherino degno degli sciroppi Fabbri. Stucchevole.
Come si fa a scegliere? In questo momento storico sceglierei l’Aglianico. Grande potenziale per le sue caratteristiche di pulizia, austerità, profondità e longevità, molte opzioni territoriali (Campania e Basilicata) con molti stili diversi, su questo mercato statunitense potrebbe trovare il suo posto tra Nebbioli ed Etna rossi, senza problemi.
Il White Zinfandel te l’ho appena citato come il peggiore che abbia mai provato, quindi una volta mi è bastata. Il vino in lattina l’ho bevuto in occasione di party e barbecue a cui sono stata invitata e, errore mio madornale, non avevo portato il vino!
Dipende da che cosa viene servito alla cena importante, ma ti direi Moscato Fior d’Arancio Metodo Classico di Maeli sugli antipasti con formaggi freschi erborinati e Moscato di Scanzo sul dessert a base di frutti rossi e cioccolato. Così apriamo e chiudiamo con il moscato, cosa dici?
Salento, non ci penso due volte. A volte (i bergamaschi tralascino questa riga, per favore), mi sento più a casa in Salento che in Lombardia.
La parola “interessante” ti salva sempre. Perché anche qualcosa che non ti piace può essere interessante, giusto? È come dire che uno è simpatico… Tecnicamente non menti.
Questa è facile. La gola.
Piatto: spaghetti con trito di erbe aromatiche, gambero rosso crudo, pomodorino Pachino fresco, qualche scaglia di bottarga.
Vino: non esiste, ce ne sono tantissimi che non ho ancora assaggiato e ogni volta è una scoperta. In questo momento mi piace bere il Grillo, non so perché, sarà nostalgia della Sicilia.
Canzone: Ironic di Alanis Morissette, credo descriva bene con poche metafore l’ironia della vita, soprattutto quando dice che ogni volta che cerchi un coltello, nel cassetto trovi sempre solo cucchiai e forchette. E allora che fai? Aggiungo io: impari a tagliare con i rebbi e le rotondità finché il coltello non salta fuori. Probabilmente non ti servirà più, ma avrai acquisito una nuova capacità che senza le difficoltà non avresti mai sviluppato. Isn’t it ironic?
Una persona famosa che vorrei conoscere oggi: non c’è dubbio, è Jeff Bezos, ho una lista di mille domande per lui. Un visionario.
Amo esplorare. Sia il mondo, sia gli esseri umani e il vino mi dà l’occasione unica di fare entrambe le cose in un momento solo.
Mi fanno arrabbiare l’incompetenza e i talenti sprecati.
Maggior rimpianto: non aver assecondato la mia inclinazione per gli studi filosofici e aver scelto una laurea più “spendibile” in Scienze della Comunicazione. Oggi mi rendo conto di aver bisogno più che mai di fondamenti del pensiero, tutto il resto si impara strada facendo.
Sogno nel cassetto: trasferirmi in Salento, scrivere e crescere una bambina di nome Maria.
La data di uscita. No, scherzo, non avremmo mai potuto sapere che il mondo fosse alle porte di un cambiamento epocale. Forse, a posteriori, dedicherei più spazio alla mia storia, perché dai feedback che ricevo ha colpito molto e non credevo fosse un messaggio così profondo per i miei lettori.
9, perché mentiamo perfino a noi stessi, quel che manca per arrivare a 10 lo sa solo il Signore.
Stefano Cergolj
Come il vino ti cambia la vita comeilvinoticambialavita.com
The Italian Wine Girl Podcast: Uno sguardo sul mondo del vino dagli Stati Uniti: mercato, consumi, mode, stili di vita, racconti di regioni vinicole statunitensi, di storie umane, di vigneti e imprenditori. anchor.fm/theitalianwinegirl/episodes/
Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.
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Per quasi 10 anni tra gli autori della guida I Vini d'Italia de L'Espresso, docente di materie vinose ad ALMA - La Scuola Internazionale di Cuci (...)
Non ha certificazioni, non è sommelier, né degustatrice ufficiale del gran Regno. Si occupa di comunicazione e di digital design dal 2002 in una (...)
Torinese, sognatore, osservatore, escursionista, scrittore. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Torino e Mast (...)
Classe ‘77, Nadia è nata ad Ischia. Dopo quindici anni di "soggiorno" romano che le è valso il diploma di Sommelier AIS e un'importante collabor (...)
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Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, grande distribuzione e ortofrutta, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Assoc (...)
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Conseguita la maturità artistica, il primo lavoro nel 1997 è stato nel mondo illuminotecnico, ma la vera passione è sempre stata l'enogastronomi (...)
Musicista e scrittrice, da sempre amante di tutto ciò che è bello e trasmette emozioni, si è diplomata in pianoforte e per un certo periodo dell (...)
Ha iniziato la carriera lavorativa come segretaria di direzione, che ai suoi tempi si usava molto ed era proprio quello che desiderava fare! Con (...)
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È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a qu (...)
Economista di formazione, si avvicina al giornalismo durante gli anni universitari, con una collaborazione con il quotidiano L'Arena. Da allora (...)
Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha conseguito il diploma di Sommelier AIS nel 2001. È Degustatore per la regione Lombardia e giudice per le guide Vitae e Viniplus. Ha partecipa (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Donatella Cinelli Colombini è una produttrice di vino figlia di Franco Cinelli e Francesca Colombini della Fattoria dei Barbi, in cui ha lavorat (...)
Bolognese dentro, grafico di giorno e rapito dal mondo enologico la sera. Per un periodo la sera l'ha condivisa con un'altra passione viscerale (...)
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