Un boia con un cappuccio nero ha appena azionato una ghigliottina. Il condannato è steso pronto ad essere decollato. Dietro di lui altri colpevoli. La folla di spettatori stipata tutt’intorno alla pedana. Il riferimento storico è chiaro e la rappresentazione non è nuova, non fosse altro per gli interpreti: bottiglie di birra! I condannati, colpevoli di essere portatori di ingredienti di scarsa qualità, pessimo stile oltre che di procedimenti produttivi non artigianali: Stella Artois, la bottiglia distesa e in fila i morituri Grolsch, Beck’s e Carlsberg, rei delle stesse colpe. Gli astanti: i migliori rappresentanti della grande famiglia Brewdog. Uno slogan a sottolineare il momento di rottura: The Craft Beer Revolution! Non a caso a condurre giustiziera, sotto un cappuccio nero (buchi degli occhi compreso) un boia d’eccezione, una bottiglia di Punk IPA, capolista nomen omen dell’ormai famoso birrificio scozzese. Una pubblicità divertente e indicativa della filosofia di casa, e certamente non fuori misura rispetto alle ben altre provocazioni (e qualche scandalo) che due ragazzi (e un cane) sfrontati e innovatori hanno portato avanti in pochi anni dalla fondazione del marchio Brewdog.
Potrei narrare infatti di tutte le esagerazioni che accompagnano queste birre da sempre (qualche nome: Punk, Anarchist Alchemist, Paradox, Speedball o Dead Pony Club per capirci), le campagne marketing e i video girati dagli stessi fondatori, in cui sfidano più o meno goliardicamente la concorrenza, ad esempio colpendo con mazze da golf lattine e bottiglie di marchi piuttosto commerciali (e di pessima qualità aggiungerei), la sfida alla birra più alcolica al mondo in una competizione pubblica con il birrificio tedesco Schorschbräu, (vi rimando a qualche riga in basso per la simpatica vicenda), fino alle trovate pubblicitarie di dubbio gusto che hanno visto coinvolti particolari contenitori di birra, per edizioni limitatissime e molto costose. Ciò detto, Brewdog merita attenzione: perché in pochi anni è diventato famoso in tutto il mondo, perché ogni anno produce circa un milione e mezzo di bottiglie, perché le esporta a più non posso e soprattutto perché, al di là di alcuni esperimenti del tutto paradossali…la birra la sa fare! L’inizio della storia, come sempre ha due narrazioni parallele, da un lato il modo romanticamente scanzonato, i giovani 24enni James Watt e Martin Dickie, un van e il cane, prime produzioni proprie, tante ubriacature, tanta faccia tosta e non poche provocazioni, le prime vendite ai mercatini e poi il successo in pochi anni, senza abbandonare le provocazioni di cui sopra. L’altro inizio li vede chiedere spaventosi finanziamenti bancari, fare tanti sacrifici, e più di qualche barriera alzata contro di loro da parte di marchi già noti al momento della commercializzazione nella grande distribuzione. Tra l’altro proprio pochi anni fa hanno avviato la campagna Equity For Punks per l’acquisto da parte di qualsiasi cittadino europeo di una piccola quota del birrificio (max 9%) per finanziare alcuni lavori tali da renderlo ecosostenibile. A coniugare entrambe le narrazioni, il cane, tenerissimo, in suo onore il logo onnipresente, e la passione per la birra artigianale, vero motore che li ha portati in pochi anni, dal 2007 ad oggi, ad imporsi sulla scena mondiale. La loro produzione è vasta, e non può prescindere da una filosofia del tutto particolare, a metà strada tra la continua irriverenza (ad iniziare dai nomi delle birre) e la grande distribuzione. Trattandosi di molte birre, purtroppo (o per fortuna) a parte una breve introduzione sulle dissidenti storiche, per tutte le altre l’assaggio sarà dettato solo dalla curiosità di ciascuno.
LE CLASSICONE Quelle che…ribelli sì, ma equilibrate e ben fatte. Quelle che…Brewdog sa brassare, irriverenza o meno.
Dead Pony Club APA 3,8% Partiamo dall’ultima arrivata, la più giovane, piccina lei…solo 3,8% di gradazione per una potenza enorme. Ragazzina vivace! Birra in perfetto stile pale ale californiana è profumata e dal colore ambrato. Con un corpo generoso (e ricordiamoci ancora 3,8%!), al palato il malto caramello è lievemente accennato. Il finale è secco e molto luppolato. E amaro, quell’amaro che invita ad un nuovo sorso. Buona e beverina, è come le ciliegie, una tira l’altra!
Punk IPA (inizialmente 6,0% ABV, successivamente 5,6% ABV) La ribelle. La punk! Colei che incarna al meglio l’intenzione di rottura dei ragazzi di Aberdeen, colei che ad oggi, quasi come per una dantesca legge del contrappasso, rappresenta una delle birre più diffuse, quasi troppo, rischiando in tal modo di essere fraintesa nella sua artigianalità. La punkipa tuttattaccato, così chiamata dalle orde di appassionati italiani, rappresenta pertanto il manifesto del birrificio. Un bel colore oro sotto una schiuma compatta, al naso la freschezza del luppolo si mischia alle leggere note fruttate. C’è equilibrio tra la dolcezza dell’attacco e l’amaro nel finale che presenta note agrumate. Anche in questo caso il finale è pericoloso, invitando immediatamente al sorso successivo. Nata con una gradazione alcolica di 6 gradi, un paio d’anni fa la ricetta fu modificata in quella che è che tuttora, meno alcolica, meno amara (ahimè), molto più bilanciata, in favore di una birra meno selvaggia e più elegante. Altra novità che l’ha coinvolta: il contenitore. E’ stata infatti proposta in lattina, una sfida non da poco essendo il mercato anglosassone profondamente avverso, qui infatti sono le bevande di pessima qualità a finirvi dentro. Personalmente posso assicurarvi che il gusto non viene meno, pur aprendosi in modo poi diverso nel bicchiere, presenta i suoi vantaggi: maggiore trasportabilità e possibilità di utilizzo nelle situazioni più estreme. Quali? Fate voi…ehi! È pur sempre una Punk!
5am Saint 5.0% Amber Ale dal bel colore ramato, molto limpida, con riflessi tendenti all’arancio vivo. Al naso intensa, dall’aroma fruttato, in bocca il corpo è piuttosto leggero. Schiuma fine e aderente. Finale mediamente secco e amaro, di buona persistenza.
77 Lager 4,9% A differenza delle birre estreme di Brewdog, ecco che l’eccezione si nasconde…nella semplicità. Birra a bassa fermentazione, segue il classico stile pils. Di colore dorato limpido presenta una schiuma abbondante. Bevibilità e fragranza la rendono dissetante e fresca, frizzantezza infatti mai troppo accentuata, retrogusto amaro dovuto all’utilizzo di soli luppoli americani (che luppoli…Chinook, Amarillo e Cascade) uniti a tre malti diversi. Piena e leggera, equilibrata.
Hardcore IPA 9,2% Imperial IPA, da molti considerata la prima double IPA britannica. Color ambra scuro, aromi esotici, approccio corposo, un forte malto subito accompagnato dall’amaro sostenuto. Il finale, erbaceo e di tabacco. In tutto ciò, una birra equilibrata. Da ricordare la sua medaglia d’oro nella categora Imperial India Pale Ale al World Beer Cup 2010, anche se probabilmente altri nomi avrebbero meritato maggiormente il primato.
Alice Porter 6,2% La nera impenetrabile. Nasce da una storia romantica: Matt il titolare del pub North Bar di Leeds, crea la ricetta insieme ad alcuni amici, dedicandola alla sua neo sposa, Alice appunto. Dopo il successo riscontrato della piccola quantità inizialmente prodotta e distribuita anche nel pub di Brewdog ad Aberdeen, il birrificio scozzese decide di farla diventare una birra stagionale in edizione limitata prodotta esclusivamente nei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Una porter vellutata dalla schiuma color nocciola fine e compatto. Naso decisamente complesso con note di tostato (nocciole tostate), cacao, e una vena fresca (ma non ditelo in giro, rovinerebbe la sua reputazione maudit). In bocca il corpo è leggero, l’attacco piuttosto morbido dagli aromi di cioccolato fondente, si allarga poi su note amare e resinose grazie al luppolo che domina il finale, lasciando in bocca una percezione quasi di liquirizia che si va a unire alle intense sensazioni di tostato.
LE PROVOCAZIONI Quelle che…let’s punk! Nate per dare scandalo. Quelle che…l’opinione pubblica dà fiato alle trombe prima ancora dei palati.
Tokyo 18,2% Birra del tutto particolare, a cominciare dalla gradazione 18,2 %. Imbottigliata nel 2008, edizione unica di 2000 bottiglie, è una Imperial Stout, dedicata a Space Invaders, il videogame anni ’80 più famoso di tutti i tempi. Sfido a trovare almeno qualcuno che non lo conosca. Brassata con l’aggiunta di gelsomino e mirtillo rosso, e sottoposta a dry hopping (l’aggiunta di luppolo avviene non solo nelle fasi di bollitura, in funzione amaricante, ma anche successivamente, a freddo, in funzione aromatica) con luppoli nordamericani e neozelandesi. A seguire un invecchiamento di 4 settimane con trucioli tostati di rovere francese, che aumentano le sensazioni di legno e torrefatto. Petroleosa, schiuma poco persistente di colore nocciola, profumi intensi di bruciato e cioccolato amaro. Al palato poco dolce, è il tostato a predominare. Finale molto amaro e persistente. Alla sua uscita fu oggetto di scandalo e di accusa da parte dell’opinione pubblica britannica, a causa dell’alto grado alcolico. In un Paese in cui la bevanda più diffusa è probabilmente il whisky (anche tra le fasce di giovanissimi) ciò fa quantomeno sorridere.
Dogma 7,8% Speedball, stupefacente, il suo nome iniziale, ma considerato che è anche il nome di un noto mix di droghe, i ragazzi di Brewdog hanno ben pensato che la rivoluzione sarebbe passata per altre provocazioni (alcune non da meno a mio avviso). Certamente la miriade di elementi presenti al suo interno (dal guaranà contenente caffeina, ai più calmanti semi di papavero, fino al miele scozzese) crea una miscela piuttosto varia, forse anche troppo ricercata per una strong ale a metà strada tra una belga e una ipa. Consigliato l’assaggio soprattutto a chi ama il primo tra i due stili.
LA SFIDA ESTREMA: LA’ DOVE OSANO LE AQUILE (GERMANIA – SCOZIA 0-1) Quelle che…la Germania rilancia e loro affondano il Bismarck! Qui i ragazzi effettivamente si lasciano prendere un po’ la mano…e le birre evidentemente ne risentono, ma non possono non essere citate, se non altro per la stravaganza.
Tactical Nuclear Penguin 32% (l’inizio…della fine) Nata tra i pinguini (da cui il nome), deve i suoi 32 gradi alla tecnica della crioconcentrazione, nasce infatti come un Imperial Stout (10%) che viene poi lasciata invecchiare per 8 mesi in cask di whisky Arran e 8 di Islay. Viene, a questo punto, lasciata per tre settimane a -20 gradi per poi subire un’asportazione, come accade per le tedesche eisbock, della parte della massa gelata, composta da acqua (l’alcool congela a temperature inferiori). Si può immaginare quanto possa aver fatto parlare di sè una birra le cui caratteristiche siano più vicine a quelle di un distillato, regalandole il primato di birra più alcolica al mondo. Tutto ciò, sommato alla solita campagna pubblicitaria esagerata e sui generis, ha portato alla ribalta mondiale il birrificio. Ciò ovviamente ha dato luogo ad una reazione a catena, una sorta di sindrome da spogliatoio europea tarata sulle gradazioni. A sentirsi presi in causa i tedeschi. Era infatti lo Schorschbräu, con la sua Schorschbock (31% alc.) ad aver conquistato il primato nel dicembre del 2008. Alla notizia che Brewdog l’aveva fatta grossa (e alcolica), ha deciso di rilanciare con una nuova Schorschbock di 40 gradi. E a questo punto? Secondo voi i due scozzesi si sono fatti intimidire? Assolutamente no! Anzi, partendo da un nome che è tutto un programma hanno diramato un ►filmato, una goliardica presa in giro dei concorrenti continentali, per presentare la detentrice di appena un grado di più, la bomba alcolica Sink the Bismarck 41% (al di là del nome dal dubbio gusto). Sulla The End of the history 55% preferisco sorvolare, ultimo criticabile esempio a noi giunto. Queste pertanto le tappe di una insensata rincorsa ad un primato inutile, che ha danneggiato la qualità di questa parte della produzione, essendo passata la birra completamente in secondo piano (penso si sia notato che non è stato fatto cenno alle caratteristiche sensoriali). Ma come una delicata saponaria di roccia, in questo appiattimento una piccolina fuoriscita merita certamente menzione. Strettamente legata alla Tactical, di cui è effettivamente figlia, la Nanny State è prodotta dalla massa gelata che viene asportata nel processo di separazione. Le caratteristiche in grado di renderla rendono unica sono il grado alcolico (ora 0,5 % prima 1,1%) e l’estrema esagerata luppolatura (60 kg di luppolo per ogni cotta da 20 hl) che avviene a freddo. Lanciata come Imperial Mild (un accostamento di estremi anche nella definizione) per il grande utilizzo di malti necessari a dare struttura alla birra, si presenta in toni scuri come una Brown Ale e un naso intenso, luppolato e resinoso. Al palato è ugualmente luppolata, per un finale amaro. Buona, dovendo trovarle proprio un difetto forse nella struttura, nonostante infatti l’utilizzo dei malti, sarebbe stata forse più adeguata sostenuta da qualche grado alcolico in più.
SERIE ABSTRAKT: RARE E NUMERATE Quelle che…siamo solo noi! Iniziate a contare AB:01, AB:02
Progetto ambizioso: una sola cotta per ogni birra, così da renderle uniche. Imbottigliate in formati da champagne (0,375) numerate una ad una, ciascuna a tiratura limitata, libere dagli stili convenzionali e tutte adatte all’invecchiamento. Realizzate con aggiunta di aromi, di frutta, di liquori, le combinazioni sono tante, mentre altre variano per il tipo di botti in cui vengono fatte maturare Impossibile qui nominarle una ad una, ma se necessità aguzza l’ingegno oltre la curiosità mi auguro, diventa estremamente divertente, per gli appassionati soprattutto, andare a cercarsi la birra su misura, trattandosi di tante tipologie diverse, ogni volta giocate su ingredienti piuttosto variegati e collaborazioni con birrifici di altissimo livello. Solo un nome, Three Floyds, incoronato dall’autorevole ►Ratebeer per quattro volte negli ultimi cinque anni, come miglior birrificio al mondo. Per il momento mi sembra possa bastare, questa volta poche ulteriori chiacchiere a corredo. Consiglio, più del giro su internet, un giro in birreria. E se il mio consiglio non basta, lasciatevi affascinare dalle affinità elettive locali, e dal progetto Birra Del Borgo – Brewdog che ha messo il kilt alla ReAle, con la nascita di…ma no, non ve lo dico. Leonardo Di Vincenzo vi invita a immaginare: E se la ReAle fosse nata in Scozia? Immaginate. E poi assaggiate.
Appassionata di birra artigianale, con un debole da anni per Franconia e West Coast USA coltiva quotidianamente la sua passione tra pub, amici publican, birrai e non, e viaggi fino all'altro capo del mondo. Lasciando poco spazio alle mode, il suo posto preferito era e resta il bancone del pub. Tra una birra e l'altra si occupa di promozione e tutela del Made in Italy agroalimentare nel mondo.
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Giornalista cresciuto con Montanelli al giornale, si occupa da sempre di agricoltura, agroalimentare enogastronomia e viaggi. Ha lavorato tra gl (...)
Figlio di un musicista e una scrittrice, è rimasto da sempre legato a questi due mestieri pur avendoli traditi per trent’anni come programmatore (...)
Sociologo e giornalista enogastronomico, è direttore responsabile di laVINIum - rivista di vino e cultura online e collabora con diverse testate (...)
Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del setto (...)
Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilanci (...)
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma a (...)
Maestro Assaggiatore e Docente O.N.A.V., Delegato per la provincia di Lecco; svolge numerose attività come Docente presso Slow Food, Scuola de L (...)
Appassionata di birra artigianale, con un debole da anni per Franconia e West Coast USA coltiva quotidianamente la sua passione tra pub, amici p (...)
Sommelier da circa 20 anni, master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di appro (...)
Cresciuta con una nonna contadina e una nonna nobile ha imparato a cucinare sin dall’età di 4 anni maionese fatta a mano, insalata russa con le (...)
Originaria dell'Oltrepò Pavese ma per metà spagnola. L'interesse per il mondo del cibo e del vino nasce in famiglia, grazie a papà salumiere e f (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comi (...)
Ha conseguito il diploma di Sommelier AIS nel 2001. È Degustatore per la regione Lombardia e giudice per le guide Vitae e Viniplus. Ha partecipa (...)
Laureata in giurisprudenza, giurista di formazione, è giornalista dal 1996, settore turismo enogastronomico, responsabile agroalimentare PMI - p (...)
Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
Giornalista pubblicista, collabora dal 1979 con numerose testate. È direttore responsabile di InternetGourmet.it. Ha pubblicato vari libri dedic (...)
Nato nel 1974 a Roma in una annata che si ricorderà pessima per la produzione del vino mondiale. Sarà proprio per ribaltare questo infame inizio (...)
Aspirante agronomo, laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e poi in Scienze agrarie, innamorato tanto della vite che del frumento (...)
La passione per il mondo del vino inizia nel 1999, per curiosità intellettuale, seguendo vari percorsi di studio (Diploma di Assaggiatore ONAV, (...)
Per quasi 10 anni tra gli autori della guida I Vini d'Italia de L'Espresso, docente di materie vinose ad ALMA - La Scuola Internazionale di Cuci (...)
Laureato in Scienze della Formazione presso l’università di Tor Vergata a Roma, continua gli studi a Roma laureandosi in Dirigenza e coordinamen (...)
Nata a Lugo di Ravenna, sommelier AIS, laureata in Viticoltura ed Enologia presso l'Università di Bologna; ad oggi Tecnico Commerciale e docente (...)
Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve (...)
Tutte le cose belle nascono per caso, così la sua passione per la ristorazione e subito dopo quella per il mondo del vino e le sue mille sfaccet (...)
Il vino ha sempre fatto parte della sua vita; dal 1974 vinifica le uve acquistate e nel 1981 ha impiantato una piccola vigna che coltiva tutt'og (...)
È nato a Novara, sin da giovanissimo è stato preso da mille passioni, ma la cucina è quella che lo ha man mano coinvolto maggiormente, fino a qu (...)
Dopo anni passati nel mondo dell'editoria ad organizzare eventi legati ai libri, ora lavora da freelance come content writer. Cresciuto in una f (...)
Si definisce un umile discepolo di Dioniso, il suo motto è: "Non nobis Dionysus, non nobis, sed Nomini Tuo da gloriam". Ha iniziato a conoscere (...)
Nato il 22 febbraio 1952 a Pavia, dove risiede. Si è laureato nel 1984 in Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Dal 1996 al 2014 è s (...)
Di formazione classica, è assistente amministrativo nel settore dei progetti europei e giornalista. La passione e gli studi lo hanno portato ad (...)
Conseguita la maturità artistica, il primo lavoro nel 1997 è stato nel mondo illuminotecnico, ma la vera passione è sempre stata l'enogastronomi (...)
Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, ortofrutta e grande distribuzione, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Assoc (...)
Di formazione psicologa dello sviluppo e istruttore federale di nuoto, si appassiona fin da giovane al vino, a livello puramente edonistico. Nel (...)
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